I |
[1] Quae in emendis bubus sequenda quae que vitanda sint,
non ex facili dixerim, cum pecudes pro regionis caelique statu
et habitum corporis et ingenium animi et pili colorem gerant.
Aliae formae sunt Asiaticis, aliae Gallicis, Epiroticis aliae.
Nec tantum diversitas provinciarum, sed ipsa quoque Italia partibus
suis discrepat. Campania plerumque boves progenerat albos et
exiles, labori tamen et culturae patrii soli non inhabiles. |
[1] Non è facile per me dire quali principi sono
da seguire e quali da evitare nel comprare dei bovini, poiché
il bestiame mostra, a seconda delle regioni e del clima, differenti
conformazione fisiche, temperamenti e colori del mantello. I
bovini asiatici hanno forme diverse da quelli gallici e da quelli
dell'Epiro. E non c'è solo differenza tra le province,
ma le varie zone differiscono anche all'interno dell'Italia stessa.
La Campania produce soprattutto bovini bianchi ed esili, tuttavia
non inadatti alla fatica e alla coltura della terra da cui provengono. |
[2] Umbria vastos et albos; eademque robios, nec minus
probabiles animis quam corporibus. Etruria et Latium compactos,
sed ad opera fortes. Apenninus durissimos omnemque difficultatem
tolerantes, nec ab aspectu decoros. Quae cum tam varia et diversa
sint, tamen quaedam quasi communia et certa praecepta in emendis
iuvencis arator sequi debet; eaque Mago Carthaginiensis ita prodidit,
ut nos deinceps memorabimus. |
[2] L'Umbria ne produce di grandissimi e bianchi; ma anche
di rossicci, non meno pregiati sia come indole sia come struttura
fisica. L'Etruria ed il Lazio li hanno tarchiati, ma forti nel
lavoro. Gli Appennini danno bovini robustissimi che sopportano
qualunque avversità, ma non belli da vedere. Sebbene siano
così diversi e vari, l'aratore deve seguire, nel comprare
i vitelli, delle regole quasi comuni e fissate; e come il cartaginese
Magone ce le ha tramandate, così qui di seguito le ricordiamo. |
[3] Parandi sunt boves novelli, quadrati, grandibus membris,
cornibus proceris ac nigrantibus et robustis, fronte lata et
crispa, hirtis auribus, oculis et labris nigris, naribus resimis
patulisque, cervice longa et torosa, palearibus amplis et paene
ad genua promissis, pectore magno, armis vastis, capaci et tamquam
implente utero, lateribus porrectis, lumbis latis, dorso recto
planoque vel etiam subsidente, clunibus rotundis, cruribus compactis
ac rectis, sed brevioribus potius quam longis, nec genibus improbis,
ungulis magnis, caudis longissimis et setosis, piloque corporis
denso brevique, coloris robii vel fusci, tactu corporis mollissimo. |
[3] I giovani bovini da comprare devono essere vigorosi,
dalle grandi membra, con le corna lunghe, nere e robuste, la
fronte larga e riccia, le orecchie irsute, gli occhi e le labbra
neri, le narici larghe e all'insù, il collo lungo e muscoloso,
la giogaia ampia e discesa quasi fino alle ginocchia, il petto
largo, le spalle ampie, il ventre capace e quasi come gravido,
i fianchi estesi, lombi larghi, il dorso diritto e piano o anche
leggermente insellato, le natiche rotonde, le zampe compatte
e diritte, meglio brevi che lunghe, con ginocchia non difettose,
unghioni ampi, la coda lunghissima e setosa, il pelo folto e
corto, di colore rossiccio o nero, morbidissimo al tatto. |
II |
[1] Talis notae vitulos oportet, cum adhuc teneri sunt,
consuescere manu tractari, ad praesepia religari, ut exiguus
in domitura labor eorum et minus sit periculi. Verum nec ante
tertium neque post quintum annum iuvencos domari placet, quoniam
illa aetas adhuc tenera est, haec iam praedura. Eos autem, qui
de grege feri comprehenduntur, sic subigi convenit. |
[1] È necessario che i vitelli con queste qualità
si abituino fin da piccoli ad essere maneggiati, ad essere legati
alla mangiatoia, in modo che nella loro doma la fatica sia ridotta
ed il pericolo sia minore. Di certo non è opportuno che
i giovenchi siano domati prima del terzo anno d'età né
dopo il quinto, poiché la prima età è ancora
precoce e la seconda è già troppo indurita. Quelli
poi che vengono catturati selvaggi dalla mandria vanno addomesticati
così. |
[2] Primum omnium spatiosum stabulum praeparetur, ubi
domitor facile versari, et unde degredi sine periculo possit.
Ante stabulum nullae angustiae sint, sed aut campus aut via late
patens, ut, cum producentur iuvenci, liberum habeant excursum,
ne pavidi aut arboribus aut obiacenti cuilibet rei se implicent
noxamque capiant. |
[2] Prima di tutto si prepari una stalla spaziosa in cui
l'addestratore possa girarsi con facilità e da cui possa
uscire senza pericolo. Davanti alla stalla non ci deve essere
nessuna strettoia, ma un campo o una strada ampiamente accessibile,
perché quando i giovenchi vengono portati fuori abbiano
libertà di correre e non incappino per la paura in alberi
o qualunque altra cosa si trovino davanti e si procurino dei
danni. |
[3] In stabulo sint ampla praesepia, supraque transversi
asseres in modum iugorum a terra septem pedibus elati configantur,
ad quos religari possint iuvenci. Diem deinde, quo domituram
auspiceris, liberum a tempestatibus et a religionibus matutinum
eligito; cannabinisque funibus cornua iuvencorum ligato. |
[3] Nella stalla ci siano ampie mangiatoie sopra le quali
si fissino dei pali trasversali, messi come dei gioghi, ad un'altezza
da terra di 7 piedi, ai quali si possano legare i giovenchi.
E poi la mattina in cui comincerai la doma sceglila propizia
come tempo atmosferico e per i riti sacri e lega le corna dei
giovenchi con funi di canapa. |
[4] Sed laquei, quibus capulabuntur, lanatis pellibus
involuti sint, ne tenerae frontes sub cornua laedantur. Cum deinde
buculos comprehenderis, perducito ad stabulum, et ad stipites
religato ita ut exiguum laxamenti habeant, distentque inter se
aliquanto spatio, ne in colluctatione alter alteri noceat. Si
nimis asperi erunt, patere unum diem noctemque desaeviant. Simul
atque iras contuderint, mane producantur, ita ut a tergo complures,
qui sequuntur, retinaculis eos contineant, et unus cum clava
salignea procedens modicis ictibus subinde impetus eorum coerceat. |
[4] I lacci con cui sono incapezzati i giovenchi siano
avvolti in pelli coperte di lana, perché non feriscano
le tenere fronti sotto le corna. Quindi, una volta che avrai
legato i giovenchi, conducili alla stalla e legali ai pali in
modo che abbiano poco gioco ed abbiano tra di loro un certo spazio
in modo che non si facciano male a vicenda lottando. Se saranno
troppo selvatici, siano liberi di calmarsi un giorno e una notte,
e non appena le ire gli saranno scemate, la mattina siano portati
fuori, in modo che ci siano sia parecchi che li seguano da dietro
e li trattengano con delle briglie, sia uno con un bastone di
salice che avanzi frenando di quando in quando il loro impeto
con leggeri colpi. |
[5] Sin autem placidi et quieti boves erunt, vel eodem
die, quo alligaveris, ante vesperum licebit producere, et docere
per mille passus composite ac sine pavore ambulare; cum domum
perduxeris, arcte ad stipites religato, ita ne capite moveri
possint. Tum demum ad alligatos boves neque a posteriore parte
neque a latere, sed adversus, placide et cum quadam vocis adulatione
venito, ut accedentem consuescant aspicere. Deinde nares perfricato,
ut hominem discant odorari. |
[5] Se invece i giovenchi saranno placidi e quieti, perfino
nella stessa giornata in cui li avrai legati, prima di sera potrai
portarli fuori e insegnargli a camminare tranquillamente e senza
paura per mille passi; quando li avrai riportati in stalla, legali
strettamente ai pali, in modo che non possano muovere il capo.
Allora finalmente avanzerai verso i bovini legati non da dietro
né di fianco, ma da davanti, con calma e con una certa
lusinga nella voce, in modo che si abituino a vedere qualcuno
che si avvicina. Poi sfregagli le narici perché imparino
a sentire l'odore dell'uomo. |
[6] Mox etiam convenit tota tergora et tractare et respergere
mero, quo familiariores bubulco fiant; ventri quoque et sub femina
manum subicere, ne ad eiusmodi tactum postmodum pavescant, et
ut ricini qui plerumque feminibus inhaerent, eximantur. Idque
cum fit, a latere domitor stare debet, ne calce contingi possit. |
[6] Inoltre è anche opportuno massaggiare e spruzzare
di vino tutte le terga degli animali, perché diventino
più avvezzi al bovaro; è bene anche mettere la
mano sotto la pancia e sotto le cosce, sia perché in seguito
non si spaventino se toccati in questo modo, sia per togliere
le zecche, che si attaccano soprattutto alle cosce. Quando l'addestratore
farà questo deve stare di fianco all'animale, perché
non possa essere raggiunto da un calcio. |
[7] Post haec diductis malis educito linguam, totumque
eorum palatum sale defricato, libralesque offas in praesulsae
adipis liquamine tinctas in gulam demittito, ac vini singulos
sextarios per cornu faucibus infundito; nam per haec blandimenta
triduo fere mansuescunt, iugumque quarto die accipiunt, cui ramus
illigatus temonis vice traicitur; interdum et pondus aliquod
iniungitur, ut maiore nisu laboris exploretur patientia. |
[7] Fatto questo, dopo avergli spalancato le mascelle,
tira fuori la lingua e strofina tutta la bocca ed il palato con
sale e mandagli in gola dei bocconi da una libbra di grasso molto
salato e versagli dentro con un corno un sestario di vino ciascuno.
Poiché con questa dolcezza in circa tre giorni si ammansiranno,
il quarto giorno accetteranno il giogo in cui sarà fissato
un ramo, fatto passare al posto del timone; talvolta ad esso
è anche unito qualche peso, perché con un maggiore
sforzo si metta alla prova la loro sopportazione della fatica. |
[8] Post eiusmodi experimenta vacuo plostro subiungendi
et paulatim longius cum oneribus producendi sunt. Sic perdomiti
mox ad aratrum instituantur, sed in subacto agro, ne statim difficultatem
operis reformident neve adhuc tenera colla dura proscissione
terrae contundant. Quemadmodum autem bubulcus in arando bovem
instituat, primo praecepi volumine. Curandum ne in domitura bos
calce aut cornu quemquam contingat. Nam nisi haec caveantur,
numquam eiusmodi vitia quamvis subacto eximi poterunt. |
[8] Dopo le prove fatte in questo modo bisogna aggiogarli
ad un carro vuoto e poco a poco bisogna farli uscire con pesi
per tempi più lunghi. Una volta domati così, bisogna
abituarli all'aratro, ma in un campo già lavorato, in
modo che non si spaventino subito delle difficoltà del
lavoro e non si facciano male al tenero collo con la dura aratura
della terra. Nel primo volume ho già insegnato in che
modo il bovaro deve istruire il bue all'aratura. Si deve curare
che nella doma nessuno sia raggiunto da un calcio o da una cornata,
infatti se non si fa attenzione a questo, non si potranno più
togliere questi vizi, anche in animali sottomessi. |
[9] Verum ista sic agenda praecipimus, si veteranum pecus
non aderit. Nam si aderit, expeditior tutiorque ratio domandi
est, quam nos in nostris agris sequimur. Nam ubi plostro aut
aratro iuvencum consuescimus, ex domitis bubus valentissimum
eundemque placidissimo cum indomito iungimus. Is et procurrentem
retrahit et cunctantem producit. |
[9] Ma queste cose che abbiamo insegnato in realtà
non vanno fatte se si ha a disposizione bestiame già addestrato,
con il quale infatti la procedura di doma è più
rapida e sicura, ed è quella che seguiamo nei nostri campi.
Infatti quando abituiamo un giovenco al carro o all'aratro, aggioghiamo
il più vigoroso e anche più placido dei buoi addomesticati
con uno non ancora domato, in modo che se questo va troppo veloce,
quello lo frena e se si attarda l'altro lo tira avanti |
[10] Si vero non pigeat iugum fabricare, quo tres iungantur,
hac machinatione consequemur, ut etiam contumaces boves gravissima
opera non recusent. Nam ubi piger iuvencus medius inter duos
veteranos iungitur, aratroque iniuncto terram moliri cogitur,
nulla est imperium respuendi facultas. Sive enim efferatus prosilit,
duorum arbitrio inhibetur; seu consistit, duobus gradientibus
etiam invitus obsequitur; seu conatur decumbere, a valentioribus
sublevatus trahitur; propter quae undique necessitate contumaciam
deponit, et ad patientiam laboris paucissimis verberibus perducitur. |
[10] Se poi ci va di fabbricare un giogo al quale si possano
attaccare tre animali, con questo accorgimento riusciremo ad
ottenere che neanche i buoi riottosi rifiutino il lavoro più
pesante: infatti quando un giovenco pigro è aggiogato
tra due veterani, posto l'aratro nella terra molle, viene forzato
e non ha nessuna possibilità di rifiutare i comandi. Se
poi si slancia furioso in avanti è bloccato dalla volontà
degli altri due, se invece si ferma deve cedere, anche se controvoglia,
ai due che avanzano, sollevato e trascinato dai più forti,
perciò per necessità rinuncia del tutto alla cocciutaggine
ed è persuaso a sopportare il lavoro con pochissime frustate. |
[11] Est etiam post domituram mollioris generis bos, qui
decumbit in sulco; eum non saevitia, sed ratione censeo emendandum.
Nam qui stimulis aut ignibus aliisque tormentis id vitium eximi
melius iudicant, verae rationis ignari sunt, quoniam pervicax
contumacia plerumque saevientem fatigat. Propter quod utilius
est citra corporis vexationem fame potius et siti cubitorem bovem
emendare. Nam eum vehementius afficiunt naturalia desideria quam
plagae. |
[11] C'è anche un genere di buoi più delicati
che anche dopo la doma si coricano nel solco; credo che vadano
corretti non con l'asprezza ma con la cura; infatti quelli che
giudicano meglio togliere questo difetto con il pungolo o il
fuoco o con altre sofferenze, non conoscono il metodo giusto,
poiché l'ostinata cocciutaggine in genere stanca chi si
accanisce. Perciò è più utile correggere
senza maltrattamenti corporali quei buoi che tendono a sdraiarsi
ma piuttosto per mezzo della fame e della sete. |
[12] Itaque si bos decubuit, utilissimum est pedes eius
sic vinculis obligari, ne aut insistere aut progredi aut pasci
possit. Quo facto inedia et siti compulsus deponit ignaviam;
quae tamen rarissima est in pecore vernaculo; longeque omnis
bos indigena melior est quam peregrinus. Nam neque aquae nec
pabuli nec caeli mutatione tentatur, neque infestatur condicione
regionis, sicut ille, qui ex planis et campestribus locis in
montana et aspera perductus est, vel ex montanis in campestria. |
[12] Perciò se un bue si sdraia, è più
utile legargli i piedi con cinghie, in modo che non possa stare
in piedi né camminare, e quindi pascolare; in questo modo,
spinto dalla fame e dalla sete, abbandonerà la sua pigrizia.
Questo però accade molto di rado nel bestiame nato in
casa, e tutti i buoi indigeni sono molto migliori di quelli forestieri:
infatti non sono danneggiati dal cambiamento d'acqua, di cibo
o di clima, né sono disturbati dalla forma del territorio,
come quelli che da zone pianeggianti e campestri sono portati
in aspre zone montane o da quelle montane vanno in zone pianeggianti. |
[13] Itaque etiam, cum cogimur ex longinquo boves arcessere,
curandum est, ut in similia patriis locis traducantur. Item custodiendum
est, ne in comparatione vel statura vel viribus impar cum valentiore
iungatur. Nam utraque res inferiori celeriter affert exitium. |
[13] Quindi se siamo costretti a far venire dei buoi da
lontano, dobbiamo fare attenzione che siano portati in luoghi
simili a quelli di origine. Inoltre bisogna badare a non attaccare
un bue più debole con uno più forte per corporatura,
per statura o per vigore: infatti queste cose portano rapidamente
il più debole alla rovina. |
[14] Mores huius pecudis probabiles habentur, qui sunt
propiores placidis quam concitatis, sed non inertes; qui sunt
verentes plagarum et acclamationum, sed fiducia virium nec auditu
nec visu pavidi, nec ad ingredienda flumina aut pontes formidolosi;
multi cibi [edaces] verum in eo conficiendo lenti. Nam hi melius
concoquunt, ideoque robora corporum citra maciem conservant,
qui ex commodo, quam qui festinanter mandunt. |
[14] Si ritiene che le qualità più apprezzabili
in questo bestiame sono di essere più placidi che ardenti,
ma non torpidi, che obbediscano alle percosse e alle grida, ma
abbiano fiducia nelle proprie forze e non temano ciò che
sentono e vedono e non abbiano paura di attraversare fiumi o
ponti, voraci di molti cibi diversi, ma tuttavia lenti nel consumarli:
infatti quelli che masticano nel tempo dovuto digeriscono meglio
e perciò conservano le forze del corpo senza dimagrire
rispetto a quelli che si affrettano. |
[15] Sed tam vitium est bubulci pinguem quam exilem bovem
reddere; habilis enim et modica corporatura pecoris operarii
debet esse, nervisque et musculis robusta, non adipibus obesa,
ut nec sui tergoris mole nec labore operis degravetur. Sed quoniam
quae sequenda sunt in emendis domandisque bubus tradidimus, tutelam
eorum praecipiemus. |
[15] Ma per il bovaro è un difetto far diventare
un bue grasso, oppure magro; infatti la corporatura del bestiame
da lavoro deve essere agile e contenuta, robusta nei tendini
e nei muscoli, non eccessivamente grassa, perché non siano
gravati né dalla mole delle terga, né dalla fatica
del lavoro. Dopo che abbiamo esposto le regole da seguire nel
comprare e nel domare i buoi, insegniamo la loro cura. |
III |
[1] Boves calore sub divo, frigoribus intra tectum manere
oportet. Itaque hibernae stabulationi eorum praeparanda sunt
stramenta, quae mense Augusto intra dies triginta sublatae messis
praecisa in acervum exstrui debent. Horum desectio cum pecori
tum agro est utilis: liberantur arva sentibus, qui aestivo tempore
per Caniculae ortum recisi plerumque radicitus intereunt, et
stramenta pecori subiecta plurimum stercoris efficiunt. Haec
cum ita curaverimus, tum et omne genus pabuli praeparabimus,
dabimusque operam, ne penuria cibi maciescat pecus. |
[1] Bisogna far stare i buoi sotto il cielo con il caldo
e al coperto con il freddo. Perciò bisogna preparare per
la loro stabulazione invernale della paglia, che nel mese di
agosto va ammucchiata in cumuli, entro trenta giorni dalla mietitura.
Il taglio della paglia è utile sia al bestiame sia alle
colture: i campi sono liberati dai rovi, che per lo più
muoiono con tutte le radici se tagliati nella stagione estiva,
al sorgere di Sirio, e la paglia usata come lettiera per il bestiame
produce moltissimo letame. Una volta che ci saremo occupati di
tutte queste cose, allora prepareremo ogni genere di foraggio
e ci impegneremo a che la scarsità di cibo non faccia
dimagrire il bestiame. |
[2] Boves autem recte pascendi non una ratio est. Nam
si ubertas regionis viride pabulum subministrat, nemo dubitat
quin id genus cibi ceteris praeponendum sit; quod tamen nisi
riguis aut roscidis locis non contingit. Itaque in iis ipsis
vel maximum commodum est, quod sufficit una opera duobus iugis,
quae eodem die alterna temporum vice vel arant vel pascuntur. |
[2] Non c'è un unico modo per far pascolare bene
i bovini. Infatti se la fertilità della regione fornisce
foraggio verde, nessuno dubita che tale tipo di cibo sia da preferire,
tuttavia esso si ritrova solo in luoghi irrigui o umidi. E così
in tali luoghi c'e' anche un grande vantaggio, perché
basta una giornata di lavoro per due pariglie di buoi, le quali
alternativamente arano o pascolano. |
[3] Siccioribus agris ad praesepia boves alendi sunt,
quibus pro condicione regionum cibi praebentur; eosque nemo dubitat,
quin optimi sint vicia in fascem ligata et cicercula itemque
pratense foenum. Minus commode tuemur armentum paleis, quae ubique
et quibusdam regionibus solae praesidio sunt. Eae probantur maxime
ex milio, tum ex ordeo, mox etiam ex tritico. Sed iumentis iusta
operum reddentibus ordeum praeter has praebetur. |
[3] Nelle zone più siccitose i bovini vanno nutriti
alla mangiatoia, e secondo le caratteristiche del luogo verranno
loro forniti i cibi, dei quali nessuno dubita che i migliori
sia la veccia legata in fasci e la cicerchia, come anche il fieno
di prato. Meno bene manterremo il bestiame con la paglia, che
c'è ovunque e per alcune regioni è l'unico aiuto.
Tra le paglie si dimostrano migliori quella di miglio, poi quella
d'orzo, poi ancora quella di grano, ma ai buoi che forniscono
lavoro si deve dare anche dell'orzo, oltre alla paglia. |
[4] Bubus autem pro temporibus anni pabula dispensantur.
Ianuario mense [singulis] fresi et aqua macerati ervi quaternos
sextarios mistos paleis dare convenit, vel lupini macerati modios,
vel cicerculae maceratae semodios, et super haec affatim paleas.
Licet etiam, si sit leguminum inopia, et eluta et siccata vinacia,
quae de lora eximuntur, cum paleis miscere. |
[4] Ai buoi inoltre si somministra foraggio a seconda
delle stagioni dell'anno. Nel mese di gennaio a ogni capo vanno
dati 4 sestari (8,7 kg) di ervo macinato e macerato in acqua
misto a paglia, o un moggio (8,7 kg) di lupini macerati oppure
mezzo moggio di cicerchia macerata e, oltre a tutto questo, paglia
in abbondanza. Si può anche, se c'è carenza di
leguminose, mescolare alla paglia della vinaccia lavata ed essiccata,
estratta dal vinello. |
[5] Nec dubium [est] quin ea longe melius cum suis folliculis,
ante quam eluantur, praeberi possint. Nam et cibi et vini vires
habent, nitidumque et hilare et corpulentum pecus faciunt. Si
grano abstinemus, frondis aridae corbis pabulatorius modiorum
viginti sufficit, vel foeni pondo triginta, vel sine modo viridis
laurea et ilignea frondes. Et his, si regionis copia permittat,
glans adicitur; quae nisi ad satietatem detur, scabiem parit.
Potest etiam si proventus vilitatem facit, semodius fabae fresae
praeberi. Mense Februario plerumque eadem sunt cibaria. |
[5] E non c'è dubbio che le vinacce sono molto
migliori se date con tutte le bucce, prima di lavarle, così
hanno le energie sia del vino sia del cibo e rendono il bestiame
lustro, di buon umore e ben nutrito. Se vogliamo risparmiare
il grano, basta un cesto da foraggio da venti moggi (175 kg)
di fronda secca o trenta libbre di fieno o fronde di alloro e
leccio senza limiti,e a tutto questo, se la fertilità
della regione lo permette, si aggiungono ghiande, che se non
sono date fino a sazietà, fanno venire la scabbia. Si
può anche, se l'abbondanza genera un buon prezzo, dare
mezzo moggio (4 kg) di fave. Nel mese di febbraio per lo più
i foraggi sono gli stessi. |
[6] Martio et Aprili debet ad foeni pondus adici, quia
terra proscinditur; sat autem erit pondo quadragena singulis
dari. Ab Idibus Aprilis usque in Idus Iunias viride pabulum recte
secatur; potest etiam in Kal. iulias frigidioribus locis idem
praestari; a quo tempore in Kal. Novembres tota aestate et deinde
autumno satientur fronde; quae tamen ante est utilis, quam cum
maturuerit vel imbribus vel assiduis roribus; probaturque maxime
ulmea, post fraxinea, et ab hac populnea. Ultimae sunt ilignea
et quernea et laurea; sed eae post aestatem necessariae deficientibus
ceteris. |
[6] A marzo ed aprile si deve aumentare il peso del fieno,
perché si ara la terra, ma basteranno quaranta libbre
(12 kg) in più per capo. Da metà aprile a metà
giugno sarà bene falciare il foraggio verde; nei luoghi
più freddi si può anche dare fino ai primi di luglio.
Da questa stagione fino a inizio novembre, per tutta l'estate
e poi per l'autunno, vanno saziati con la fronda, la quale però
non è utile prima che maturi o con le piogge o con le
frequenti rugiade; le fronde di olmo sono considerate le più
adatte, seguono quelle di frassino e poi di pioppo. Ultime sono
quelle di leccio, di quercia e di alloro, che sono necessarie
dopo l'estate, quando le altre mancano. |
[7] Possunt etiam folia ficulnea probe dari, si sit eorum
copia, aut stringere arbores expediat. Ilignea tamen [vel] melior
est quernea, sed eius generis, quod spinas non habet. Nam id
quoque, uti iuniperus, respuitur a pecore propter aculeos. Novembri
mense ac Decembri per sementem quantum appetit bos, tantum praebendum
est; plerumque tamen sufficiunt singulis modii glandis et paleae
ad satietatem datae, vel lupini macerati modii, vel ervi aqua
conspersi, sextarii VII permisti paleis, vel cicerculae similiter
conspersae sextarii XII misti paleis, vel singuli modii vinaceorum,
si iis, ut supra dixi, large paleae adiciantur; vel si nihil
horum est, per se foeni pondo quadraginta. |
[7] Si possono benissimo dare anche foglie di fico, se
ce n'è in abbondanza o se è il caso di potare gli
alberi. La fronda di leccio è migliore di quella di quercia,
se è del tipo senza spine, altrimenti il bestiame la rifiuta,
come fa anche con quella di ginepro. Nei mesi di novembre e dicembre,
quando si fa la semina, al bue va dato tanto cibo quanto ne chiede;
per lo più bastano un moggio (8,7 kg) di ghiande e paglia
a volontà, o un moggio di lupino macerato o sette sestari
(15 kg) di ervo bagnato con acqua e misto a paglia, o dodici
sestari (26 kg) di cicerchia anch'essa bagnata con acqua e mista
a paglia, o un moggio di vinacce se, come ho detto prima, si
aggiunge molta paglia; se invece non si ha nessuna di queste
cose, si diano quaranta libbre di fieno da solo. |
IV |
[1] Sed non proderit cibis satiari pecora, nisi omnis
adhibeatur diligentia, ut salubri sint corpore, viresque conservent;
quae utraque custodiuntur large dato per triduum medicamento,
quod componitur pari pondere triti lupini, cupressique et cum
aqua nocte una sub divo habetur; idque quater anno fieri debet
ultimis temporibus veris, aestatis autumni, hiemis. |
[1] Però non servirà saziare il bestiame
di cibo, se non si userà tutta l'attenzione perché
sia sano di corpo e conservi le forze; questi risultati si ottengono
facilmente dando per tre giorni un medicamento, composto da parti
uguali in peso di lupino tritato e (coccole di) cipresso, tenuto
una notte all'aria aperta a bagno nell'acqua; questo medicamento
si deve dare quattro volte l'anno, alla fine della primavera,
estate, autunno e inverno. |
[2] Saepe etiam languor et nausea discutitur, si integrum
gallinaceum crudum ovum ieiuni faucibus inseras, ac postero die
spicas ulpici vel alii cum vino conteras, et in naribus infundas;
neque haec tantum remedia salubritatem faciunt. Multi et largo
sale miscent pabula; quidam marrubium deterunt cum oleo et vino;
quidam porri fibras, alii grana thuris, alii sabinam herbam rutamque
cum mero diluunt. Eaque medicamenta potanda praebent. |
[2] Spesso poi potrai combattere la nausea e la spossatezza
se metterai in bocca all'animale a digiuno un uovo di gallina
crudo intero, e il giorno dopo triterai una testa di erba cipollina
o d'aglio nel vino, e glielo verserai nelle narici. Ma non solo
questi rimedi giovano alla salute: molti mescolano abbondante
sale alla razione, alcuni tritano del marrubio con olio e vino;
altri versano nel vino puro dei gambi di porro, o dei grani d'incenso
o della sabina o della ruta, e danno da bere questi medicamenti
al bestiame. |
[3] Multi caulibus vitis albae et valvulis ervi bubus
medentur; nonnulli pellem serpentis obtritam cum vino miscent.
Est etiam remedio cum dulci vino tritum serpyllum, et concisa
et in aqua macerata scilla. Quae omnes praedictae potiones trium
heminarum singulis diebus per triduum datae alvum purgant, depulsisque
vitiis recreant vires. |
[3] Molti curano i buoi con gambi di vitalba e baccelli
di ervo; alcuni mescolano al vino della pelle tritata di serpente.
Anche il vino dolce con timo serpillo tritato è un rimedio,
come anche la scilla tagliuzzata e macerata in acqua. Tutte le
pozioni appena citate, date per tre giorni, in quantità
di tre emine (0,825 l) al giorno, purgano l'intestino, e ridanno
le forze, scacciando i malanni. |
[4] Maxime tamen habetur salutaris amurca, si tantundem
aquae misceas, et ea pecus insuescas; quae protinus dari non
potest, sed primo cibi asperguntur, deinde exigua portione medicatur
aqua, mox pari mensura mista datur ad saturitatem. |
[4] Ma la morchia dell'olio è considerata molto
salutare, se mescolata in parti uguali con l'acqua, e se il bestiame
ci si abitua, visto che non si può dargliela subito, ma
prima si sparge sulla razione, poi si aggiunge in piccole dosi
all'acqua, infine si mescola con una pari quantità d'acqua
e si dà al bestiame a volontà. |
V |
[1] Nullo autem tempore et minime aestate utile est boves
in cursum concitari; nam ea res aut cit alvum, aut movet febrem.
Cavendum quoque est, ne ad praesepia sus aut gallina perrepat.
Nam hoc quod decidit, immistum pabulo, bubus affert necem; et
id praecipue, quod egerit sus aegra, pestilentiam facere valet.
Quae cum in gregem incidit, confestim mutandus est caeli status,
et in plures partes distributo pecore longinquae regiones petendae
sunt, atque ita segregandi a sanis morbidi, ne quis interveniat,
qui contagione ceteros labefaciat. |
[1] In nessuna stagione, e meno che mai d'estate, è
il caso di spingere i buoi alla corsa, poiché questo gli
smuove l'intestino e fa venire la febbre. Bisogna anche stare
attenti che i maiali o le galline non si infiltrino nelle mangiatoie,
poiché le deiezioni che cadono sul cibo portano i buoi
alla morte; e in particolare ciò che emette una scrofa
malata basta a dare il contagio. Quando questo accade nella mandria,
bisogna subito cambiare cielo e andare in zone lontane, dove
si deve distribuire il bestiame in diversi gruppi, e così
separare gli animali malati dai sani, in modo che non succeda
che uno non danneggi gli altri contagiandoli. |
[2] Itaque cum ablegabuntur, in ea loca perducendi sunt,
quibus nullum impascitur pecus, ne adventu suo etiam illi tabem
afferant. Evincendi sunt autem quamvis pestiferi morbi, et exquisitis
remediis propulsandi. Tunc panacis et eryngii radices foeniculi
seminibus miscendae, et cum fricti ac moliti tritici farina candenti
aqua conspergendae, eoque medicamine salivandum aegrotum pecus. |
[2] Perciò, quando si trasferiranno gli animali,
bisognerà portarli in zone in cui non pascola altro bestiame,
per evitare che con il loro arrivo portino la malattia anche
a questo. Ma per quanto terribili siano le malattie, bisogna
sconfiggerle e tenerle lontane con rimedi sperimentati. Allora
si devono mescolare radici di panacea ed eringio con semi di
finocchio e, aggiunta farina di frumento tostato e molito, si
deve cospargere il tutto di acqua bollente, e gli animali malati
vanno curati provocando la salivazione con questo medicamento. |
[3] Tunc paribus casiae myrrhaeque et thuris ponderibus,
ac tantumdem sanguinis marinae testudinis miscetur potio cum
vini veteris sextariis tribus, et ita per nares infunditur. Sed
ipsum medicamentum ponderis sescunciae divisum, portione aequa
per triduum cum vino dedisse sat erit. Praesens etiam remedium
cognovimus radiculae, quam pastores consiliginem vocant. Ea in
Marsis montibus plurima nascitur, omnique pecori maxime est salutaris.
Laeva manu effoditur ante solis ortum. Sic enim lecta maiorem
vim creditur habere. |
[3] Allora si prepara una pozione con cassia, mirra e
incenso in parti uguali per peso e altrettanto sangue di testuggine
marina e si mescola a tre sestari (1,6 l) di vino vecchio e si
versa nelle narici. Ma sarà sufficiente dare lo stesso
medicamento, diviso in parti da un'oncia e mezza (40 g), in quantità
uguali per tre giorni. Conosco anche un efficace rimedio fatto
con la radichetta di un elleboro, che i pastori chiamano consiligine.
Essa nasce fittissima sui monti della Marsica ed è molto
salutare per tutto il bestiame. Si deve sradicare con la mano
sinistra prima che sorga il sole, perché si crede che
raccolta in questo modo abbia più forza. |
[4] Usus eius traditur talis. Aenea fibula pars auriculae
latissima circumscribitur, ita ut manante sanguine tamquam O
litterae ductus appareat orbiculus. Hoc et intrinsecus et ex
superiore parte auriculae cum factum est, media pars descripti
orbiculi eadem fibula transuitur, et facto foramini praedicta
radicula inseritur; quam cum recens plaga comprehendit, ita continet,
ut elabi non possit; in eam deinde auriculam omnis vis morbi
pestilensque virus elicitur, donec pars, quae fibula circumscripta
est, demortua excidit, et minimae partis iactura caput conservatur.
Cornelius Celsus etiam visci folia cum vino trita per nares infundere
iubet. Haec facienda, si gregatim pecora laborant; illa deinceps,
si singula. |
[4] Consigliano di usare la medicina in questo modo: con
una spilla di bronzo si traccia un cerchio sulla parte più
larga dell'orecchio, in modo che il sangue che gocciola lasci
un segno simile ad una O. Quando questo è stato fatto
sia nella parte interna, sia in quella superiore dell'orecchio,
il centro del cerchio stesso si trapassa con la stessa spilla,
e nel buco che si forma si inserisce la radichetta sopra nominata.che,
poiché la ferita recente la stringe, così la tiene
ferma, in modo che non possa scivolare fuori; quindi in quell'orecchio
sono concentrati tutta la forza della malattia e l'umore nocivo,
finché la parte che è stata circoscritta con la
spilla muore e cade, e con la perdita di una minima parte, si
salva la vita a un animale. Cornelio Celso raccomanda di versare
nelle narici anche foglie di visco tritate nel vino. Queste sono
le cose da fare se il bestiame è affetto in massa, quelli
che seguono sono invece i rimedi se sono colpiti singoli animali. |
VI |
[1] Cruditatis signa sunt crebri ructus ac ventris sonitus,
fastidia cibi, nervorum intentio, hebetes oculi. Propter quae
bos neque ruminat neque lingua se deterget. Remedio erunt aquae
calidae duo congii, et mox triginta brassicae caules modice cocti
et ex aceto dati. Sed uno die abstinendum est alio cibo. |
[1] I sintomi dell'indigestione sono rutti frequenti e
rumori di ventre, rifiuto del cibo, tensione dei nervi, sguardo
spento. A causa di ciò il bue né rumina né
si pulisce con la lingua. Il rimedio saranno due congi (6,5 l)
di acqua calda, e poi trenta gambi di cavolo poco cotti e dati
con aceto. Bisogna però che per un giorno l'animale sia
tenuto a digiuno da altro cibo. |
[2] Quidam clausum intra tecta continent, ne pasci possit.
Tum lentisci oleastrique cacuminum pondo IIII, et libram mellis
una trita permiscent aquae congio, quam nocte una sub dio habent,
atque ita faucibus infundunt. Deinde interposita hora macerati
ervi quattuor libras obiciunt, aliaque potione prohibent. |
[2] Alcuni tengono il bue chiuso nella stalla, in modo
che non possa pascolare. Poi mescolano quattro libbre (1,3 kg)
di cime di lentisco e di oleastro e una libbra (0,33 kg) di miele,
tritati insieme con un congio (3,25 l) d'acqua e tenuti per una
notte all'aria aperta, e lo versano in bocca all'animale. Poi,
passata un'ora, gli mettono davanti quattro libbre (1,3 kg) di
ervo macinato, e gli tolgono le altre bevande. |
[3] Hoc per triduum fieri debet, dum omnis causa languoris
discutiatur. Nam si neglecta cruditas est, et inflatio ventris
et intestinorum maior dolor insequitur, qui nec capere cibos
sinit, gemitus exprimit, locoque stare non patitur, saepe decumbere,
et agitare caput caudamque crebrius agere cogit. Manifestum remedium
est proximam clunibus partem caudae vinculo vehementer obstringere,
vinique sextarium cum olei hemina faucibus infundere atque ita
citatum per mille et quingentos passus agere. |
[3] Questo si deve fare per tre giorni, finché
ogni causa di malattia sia stata eliminata. Infatti, se si trascura
un'indigestione, ne consegue gonfiore del ventre e un dolore
intestinale ancora maggiore, che non permette all'animale di
prendere cibo, gli strappa lamenti, non lo lascia stare fermo
sul posto, e lo costringe a sdraiarsi spesso, ad agitare la testa
e muovere la coda più spesso del solito. Il rimedio evidente
è stringere fortemente con una corda la parte della coda
che è vicina alle natiche, versare in bocca all'animale
un sestario (0,54 l) di vino con un'emina (0,27 l) d'olio e farlo
correre per millecinquecento passi. |
[4] Si dolor remanet, ungulas circumsecare, et uncta manu
per anum inserta fimum extrahere, rursusque agere currentem.
Si nec hoc profuit, tres caprifici aridi conteruntur, et cum
dodrante aquae calidae dantur. Ubi nec haec medicina processit,
myrti silvestris foliorum duae librae laevigantur, totidemque
sextarii calidae aquae misti per vas ligneum faucibus infunduntur.
Atque ita sub cauda sanguis emittitur. Qui cum satis profluxit,
inhibetur papyri ligamine. Tum concitate agitur pecus eo usque,
dum anhelat. |
[4] Se il dolore rimane, si devono tagliare gli unghioni
tutto intorno e, ungendosi la mano, infilarla nell'ano ed estrarre
le feci, e di nuovo far correre l'animale. Se neanche questo
funziona, tritare tre caprifichi secchi e darli con tre quarti
di congio (2,5 l) di acqua calda. Se neanche questa cura giova,
si riducono in polvere due libbre (650 g) di foglie di mirto
selvatico, si mescolano con due sestari (1,1 l) di acqua calda,
e con un vaso di legno si versano in gola all'animale, infine
si salassa sotto la coda; quando è uscito abbastanza sangue,
si tampona con una fasciatura di papiro. Allora si fa correre
la bestia finché ansima. |
[5] Sunt et ante detractionem sanguinis illa remedia:
tribus heminis vini tres unciae pinsiti alii permiscentur, et
post eam potionem currere cogitur. Vel salis sextans cum cepis
decem conteritur, et admisto melle decocto collyria immittuntur
alvo, atque ita citatus bos agitur. |
[5] Prima di salassare si possono anche provare altri
rimedi: si mescolano tre emine (0,81 l) di vino con tre once
(82 g) di aglio pestato, e dopo aver dato questa pozione si fa
correre l'animale. Oppure si trita un sestante (9 cl) di sale
con dieci cipolle, poi si mescola con del miele bollito a lungo
e l'unguento ottenuto si introduce come clistere, e si incita
l'animale a correre veloce. |
VII |
[1] Ventris quoque et intestinorum
dolor sedatur visu nantium et maxime anatis. Quam si conspexerit,
cui intestinum dolet, celeriter tormento liberatur. Eadem anas
maiore profectu mulos et equinum genus conspectu suo sanat. Sed
interdum nulla prodest medicina. Sequitur torminum vitium, quorum
signum est cruenta et mucosa ventris proluvies. |
[1] Il dolore di ventre e di intestini
si placa con la vista di animali che nuotano, e soprattutto di
anatre. Infatti se il bue che ha dolori intestinali le vedrà,
rapidamente sarà liberato dal fastidio. Ma la vista dell'anatra
stessa sana con maggiore efficacia i muli e i cavalli. Ma alle
volte nessuna medicina funziona, e subentra la dissenteria, il
cui segnale è una diarrea con sangue e muco. |
[2] Remedio sunt cupressini quindecim coni, totidemque
gallae, et utrorumque ponderis vetustissimus caseus. Quibus in
unum tunsis admiscentur austeri vini quattuor sextarii, qui pari
mensura per quatriduum dispensati dantur; nec desint lentisci
myrtique et oleastri cacumina viridis. Alvus corpus ac vires
carpit, operique inutilem reddit. Quae cum accident, prohibendus
erit bos potione per triduum, primoque die cibo abstinendus. |
[2] Il rimedio sono quindici coccole di cipresso, altrettante
galle, e un pari peso di formaggio molto invecchiato. Questi
ingredienti si pestano insieme e si mescolano a quattro sestari
(2,2 l) di vino aspro e, divisi in pari quantità si somministrano
per quattro giorni; e poi non manchino cime di lentisco, mirto
e oleastro. Il male all'intestino fa perdere peso e toglie le
forze e rende il bue inetto al lavoro. Quando questo accade,
bisognerà impedire al bue di bere per tre giorni, e nel
primo giorno si deve tenere anche senza cibo. |
[3] Sed mox cacumina oleastri et arundinis, item baccae
lentisci et myrti dandae; nec potestas aquae nisi quam parcissimae
facienda est. Sunt qui tenerorum lauri foliorum libram et abrotonum
erraticum pari portione deterant cum aquae calidae duobus sextariis,
atque ita faucibus infundant, eademque pabula, ut supra diximus,
obiciant. |
[3] Ma poi gli si devono dare cime di oleastro e cannuccia,
e anche bacche di lentisco e di mirto; inoltre non gli si deve
dare acqua, se non in quantità minima. Alcuni tritano
una libbra (325 g) di foglie di alloro e una pari quantità
di abrotano selvatico con due sestari (1,1 l) di acqua calda,
e versano il tutto nelle fauci del bue, e gli somministrano lo
stesso foraggio che abbiamo descritto sopra. |
[4] Quidam vinaceorum duas libras torrefaciunt, et ita
conterunt cum totidem sextariis vini austeri, potandumque medicamentum
praebent, omnique alio humore prohibent, nec minus cacumina praedictarum
arborum obiciunt. Quod si neque ventris restiterit citata proluvies,
neque intestinorum ac ventris dolor, cibosque respuet, et praegravato
capite saepius quam consuevit, lacrymae ab oculis et pituita
a naribus profluent, usque ad ossa frons media uratur, auresque
ferro scindantur. Sed vulnera facta igne dum sanescunt, defricare
bubula urina convenit. Ac ferro rescissa melius pice et oleo
curantur. |
[4] Alcuni tostano due libbre (650 g) di vinaccioli, e
li tritano con la stessa quantità di vino aspro, e danno
da bere questa medicina all'animale, togliendogli ogni altra
bevanda, e gli danno cime degli alberi sopra elencati. Se tutto
questo non fermerà la diarrea sopra descritta, né
il dolore di intestini e di ventre, e l'animale rifiuterà
il cibo, e lascerà cadere la testa più spesso del
solito, e gli usciranno lacrime dagli occhi e muco dalle narici,
si deve bruciare la parte centrale della fronte fino all'osso
e incidere le orecchie con una lama. Finché le ferite
fatte col fuoco non guariscono, è meglio sfregarle con
urina bovina. I tagli fatti con il ferro è meglio curarle
con pece ed olio. |
VIII |
[1] Solent etiam fastidia ciborum afferre vitiosa incrementa
linguae, quas ranas veterinarii vocant. Haec ferro reciduntur,
et sale cum alio pariter trito vulnera defricantur, donec lacessita
pituita decedit. Tum vino proluitur os, et interposito unius
horae spatio virides herbae et frondes dantur, dum facta ulcera
cicatrices ducant. Si neque ranae fuerint, neque alvus citata,
et nihilo minus cibos non appetet, proderit alium pinsitum cum
oleo per nares infundere, vel sale, vel cunila defricare fauces,
vel eandem partem alio tunso et hallecula linire. Sed haec si
solum fastidium est. |
[1] Di solito alcune difficoltà nel prendere il
cibo sono anche provocate da quelle escrescenze patologiche della
lingua, che i veterinari chiamano rane. Esse vanno recise con
un ferro, poi si deve sfregare la ferita con sale e aglio tritato
in parte uguali, finché si provoca una colatura di muco.
Allora la bocca va sciacquata con vino, e dopo un'ora si danno
erbe e foglie tenere, che facilitino la cicatrizzazione delle
ferite. Se pur non avendo né le rane, né la diarrea
già descritta, il bue non prende lo stesso il cibo, sarà
utile introdurre nelle narici dell'aglio pestato con olio, oppure
sfregare la bocca con sale o con origano, o ancora ungere le
stesse parti con aglio pestato e acciughine. Ma questo va bene
se si tratta solo un'indisposizione. |
IX |
[1] Febricitanti bovi convenit abstineri cibo uno die,
postero deinde exiguum sanguinem ieiuno sub cauda emitti, atque
interposita hora modicae magnitudinis coctos brassicae coliculos
triginta ex oleo et garo salivati more demitti, eamque escam
per quinque dies ieiuno dari. Praeterea cacumina lentisci aut
oleae, vel tenerrimam quamque frondem, aut pampinos vitis obici;
tum etiam spongia labra detergeri, et aquam frigidam ter die
praeberi potandam. |
[1] Il bue con la febbre è meglio sia lasciato
senza cibo per un giorno, il giorno seguente poi va fatto un
leggero salasso sotto la coda, e dopo un'ora gli si fanno inghiottire
come un salivatorio trenta gambi di cavolo di media grandezza
cotti in olio e salsa di pesce fermentato, e questo cibo va dato
a digiuno per cinque giorni. Dopo di che gli si danno cime di
lentisco o di olivo, oppure fronde, purché tenerissime,
o ancora pampini di vite; quindi si puliscono anche le labbra
con una spugna, e gli si dà da bere acqua fredda per tre
giorni. |
[2] Quae medicina sub tecto fieri debet, nec ante sanitatem
bos emitti. Signa febricitantis manantes lacrimae, gravatum caput,
oculi compressi, fluidum salivis os, longior et cum quodam impedimento
tractus spiritus, interdum et cum gemitu. |
[2] Questa medicina va somministrata al coperto, e il
bue non va fatto uscire finché non guarisce. I sintomi
degli animali con la febbre sono la lacrimazione, la testa appesantita,
gli occhi infossati, la saliva che cola dalla bocca, i respiri
prolungati e difficoltosi, che ogni tanto si trasformano in gemiti. |
X |
[1] Recens tussis optime salivato farinae ordeaceae discutitur.
Interdum magis prosunt gramina concisa, et his admista fresa
faba. Lentis quoque valvulis exemptae, et minute molitae, miscentur
aquae calidae sextarii duo, factaque sorbitio per cornu infunditur.
Veterem tussim sanant duae librae hyssopi macerati sextariis
aquae tribus. Nam id medicamentum teritur, et cum lentis minute,
ut dixi, molitae sextariis quattuor more salivati datur, ac postea
aqua hyssopi per cornu infunditur. |
[1] La tosse comparsa da poco si combatte molto bene con
un salivatorio di farina d'orzo. Ogni tanto giovano di più
dei cereali spezzettati, misti a fave macinate. Anche le lenticchie,
purché mondate dai baccelli, e macinate finemente, si
mescolano a due sestari (1,1 l) di acqua calda e si fanno ingoiare
per mezzo di un corno. Se la tosse è di vecchia data si
guarisce con due libbre (1,6 l) di issopo macerate in tre sestari
di acqua. Questo medicamento si trita e, dopo averlo mescolato
alle lenticchie macinate finemente, come visto prima, se ne danno
quattro sestari (2,2 l) come salivatorio, e poi con un corno
si fa ingoiare l'acqua usata per macerare l'issopo. |
[2] Porri enim succus oleo, vel ipsa fibra cum ordeacea
farina contrita remedio est. Eiusdem radices diligenter lotae,
et cum farre triticeo pinsitae ieiunoque datae vetustissimam
tussim discutiunt. Facit idem pari mensura ervum sine valvulis
cum torrefacto ordeo molitum, et salivati more in fauces demissum. |
[2] Un buon rimedio è anche il succo di porro con
olio, oppure la parte solida che resta dello stesso porro, tritata
con farina d'orzo. Le radici del porro accuratamente lavate e
pestate con farina di grano e poi date all'animale a digiuno
scacciano la tosse di vecchissima data. Lo stesso effetto si
ottiene con ervo senza baccelli macinato con una pari quantità
di orzo tostato, e versato in gola come un salivatorio. |
XI |
[1] Suppuratio melius ferro rescinditur, quam medicamento.
Expressa deinde sanie sinus ipse, qui eam continebat, calida
bubula urina eluitur, atque ita linamentis pice liquida et oleo
imbutis colligatur. Vel si colligari ea pars non potest, lamina
candenti sevum caprinum aut bubulum instillatur. Quidam, cum
vitiosam partem inusserunt, urina vetere eluunt, atque ita aequis
ponderibus incocta pice liquida cum vetere axungia linunt. |
[1] Un ascesso, piuttosto che curarlo con medicine, è
meglio inciderlo con una lama. Quindi, spremuto il pus che conteneva,
si sciacqua con urina bovina calda, e si fascia on bende imbevute
di pece liquida e olio. Oppure, se la parte malata non si può
fasciare, con una lama incandescente fanno gocciolare grasso
caprino o bovino. Alcuni, dopo aver cauterizzato la parte malata,
la sciacquano con urina vecchia, e poi la ungono con pece liquida
cotta insieme a una pari quantità di sugna vecchia. |
XII |
[1] Sanguis demissus in pedes claudicationem affert. Quod
cum accidit, statim ungula inspicitur. Tactus autem fervorem
demonstrat; nec bos vitiatam partem vehementius premi patitur.
Sed si sanguis adhuc supra ungulas in cruribus est, fricatione
assidua discutitur; vel cum ea nihil profuit, scarificatione
demitur. At si iam in ungulis est, inter duos ungues cultello
leviter aperies. |
[1] Se il sangue si accumula nei piedi provoca zoppia.
Quando questo accade, va subito esaminato l'unghione: infatti
toccandolo risulta caldo, e il bue non sopporta che si prema
con forza la parte malata. Però se il sangue è
ancora nella zampa, al di sopra dell'unghione, si elimina massaggiando
a lungo. Se però questo trattamento non funziona, il sangue
si elimina con un'incisione. Se il sangue è già
negli unghioni, allora con un coltello si incide delicatamente
tra le due dita. |
[2] Postea linamenta sale atque aceto imbuta applicantur,
ac solea spartea pes induitur, maximeque datur opera, ne bos
in aquam pedem mittat, et ut sicce stabuletur. Hic idem sanguis
nisi emissus fuerit, famicem creabit, qui si suppuraverit, tarde
percurabitur; ac primum ferro circumcisus et expurgatus, deinde
pannis aceto et sale et oleo madentibus inculcatis, mox axungia
vetere et sevo hircino pari pondere decoctis, ad sanitatem perducitur. |
[2] Dopo di questo si applicano bende imbevute di sale
ed aceto, e il piede si avvolge in una soletta di ginestra, e
soprattutto ci si deve adoperare perché il bue non metta
il piede nell'acqua e sia stabulato in luogo asciutto. Se il
sangue non sarà uscito, creerà un ematoma, che
se andrà in suppurazione, guarirà più lentamente;
allora per prima cosa con una lama si taglierà tutto intorno
e si farà spurgare, poi si fascerà stretto con
panni imbevuti di aceto, sale e olio, e si guarirà la
lesione con sugna vecchia e grasso di capra cotti e in pari quantità. |
[3] Si sanguis in inferiore parte ungulae est, extrema
pars ipsius unguis ad vivum resecatur, et ita emittitur, ac linamentis
pes involutus spartea munitur. Mediam ungulam ab inferiore parte
non expedit aperire, nisi eo loco iam suppuratio facta est. Si
dolore nervorum claudicat, oleo et sale genua poplitesque et
crura confricanda sunt, donec sanetur. |
[3] Se il sangue è rimasto nella parte inferiore
dell'unghione, si taglierà l'estremità dell'unghione
stesso fino alla carne viva, e così lo si farà
uscire, e si avvolgerà il piede con fasciature di lino
e si proteggerà con una soletta di ginestra. Non conviene
aprire l'unghione interno dalla parte inferiore, a meno che non
vi si sia già formata una suppurazione. Se il bue zoppica
per il dolore ai tendini, bisogna sfregare le ginocchia, i garretti
e le gambe con olio e sale, finché non guarisce. |
[4] Si genua intumuerint, calido aceto fovenda sunt, et
lini semen aut milium detritum conspersumque aqua mulsa imponendum;
spongia quoque ferventi aqua imbuta et expressa litaque melle
recte genibus applicatur, ac fasciis circumdatur. Quod si tumori
subest aliquis humor, fermentum vel farina ordeacea ex passo
aut aqua mulsa decocta imponitur; et cum maturuerit suppuratio,
rescinditur ferro, eaque emissa, ut supra docuimus, linamentis
curatur. |
[4] Se si gonfiano le ginocchia, si devono fare impacchi
con aceto caldo, e poi metterci sopra dei semi di lino o del
miglio tritato e bagnato con acqua mista a miele; va bene anche
applicare alle ginocchia spugne imbevute di acqua bollente e
poi strizzate, e tenute in posto con bende. Se sotto il gonfiore
c'è del liquido, ci si applica orzo fermentato o farina
d'orzo cotta nel vino passito o nell'acqua con miele; e quando
l'ascesso sarà maturato, lo si apre con una lama, e dopo
aver fatto uscire il pus, si cura con le fasciature che abbiamo
descritto in precedenza. |
[5] Possunt etiam, ut Cornelius Celsus praecipit, lilii
radix aut scilla cum sale, vel sanguinalis herba, quam polygonon
Graeci appellant, vel marrubium ferro reclusa sanare. Fere autem
omnis dolor corporis, si sine vulnere est, recens melius fomentis
discutitur; vetus uritur, et supra ustum butyrum vel caprina
instillatur adeps. |
[5] Si possono anche a guarire gli ascessi aperti dalla
lama, come insegna Cornelio Celso, con radici di giglio o scilla
con sale, o l'erba sanguinella, che i Greci chiamano polygonon,
o marrobio. Quasi ogni dolore del corpo poi, se non dipende da
ferite, si combatte meglio con impiastri, se è recente,
o va bruciato se è vecchio, e sopra la bruciatura si fa
gocciolare burro o grasso di capra. |
XIII |
[1] Scabies extenuatur trito alio defricto; eademque remedio
curatur rabiosae canis vel lupi morsus, qui tamen et ipse imposito
vulneri vetere salsamento aeque bene sanatur. Et ad scabiem praesentior
alia medicina est. Cunila bubula et sulphur conteruntur, admistaque
amurca cum oleo atque aceto incoquuntur. Deinde tepefactis scissum
alumen tritum spargitur. Id medicamentum candente sole illitum
maxime prodest. |
[1] La scabbia svanisce sfregandola con aglio tritato;
e con lo stesso rimedio si cura il morso del cane rabbioso o
del lupo, che però guarisce altrettanto bene se si pone
sulla ferita stessa della salamoia vecchia. E per la scabbia
c'è un'altra medicina più efficace. Si tritano
insieme dittamo e zolfo, e dopo averli mescolati a della morchia,
si cuociono con olio ed aceto. Poi si lascia intiepidire e si
cosparge con allume a pezzi tritato. Questa medicina ha la massima
efficacia se spalmata sotto il sole battente. |
[2] Ulceribus gallae tritae remedio sunt. Nec minus succus
marrubii cum fuligine. Est et infesta pestis bubulo pecori; coriaginem
rustici appellant, cum pellis ita tergori adhaeret, ut apprehensa
manibus deduci a costis non possit. Ea res non aliter accidit,
quam si bos aut ex languore aliquo ad maciem perductus est, aut
sudans in opere faciendo refrixit, aut si sub onere pluvia madefactus
est. |
[2] Le galle tritate sono un rimedio per le ulcerazioni.
E non è meno utile il succo di marrubio con la fuliggine.
C'è anche una pericolosa malattia del bestiame bovino,
che gli allevatori chiamano coriagine, per la quale la pelle
aderisce talmente al corpo, che se afferrata con le mani non
si riesce a staccarla dalle costole. Questo male si verifica
solo per alcuni motivi ben definiti: o è stato reso macilento
da qualche malattia, oppure ha preso
freddo mentre era sudato per il lavoro, o ancora si è
inzuppato di pioggia mentre portava pesi. |
[3] Quae quoniam perniciosa sunt, custodiendum est, ut
cum ab onere boves redierint, adhuc aestuantes anhelantesque
vino aspergantur, et offae adipis faucibus eorum inserantur.
Quod si praedictum vitium inhaeserit, proderit decoquere laurum
et ea calda fovere terga, multoque oleo et vino confestim subigere,
ac per omnes partes apprehendere et attrahere pellem. Idque optime
fit sub dio, sole fervente. Quidam fraces vino et adipi commiscent,
eoque medicamento post fomenta praedicta utuntur. |
[3] Visto che questo male è pernicioso, si deve
badare a che quando i buoi tornano dal lavoro, ancora accaldati
e ansimanti, siano aspersi di vino, e gli siano messi in gola
dei bocconi di lardo. Però se i buoi saranno già
stati attaccati dalla malattia descritta, sarà utile fare
un decotto di alloro e, mentre è ancora caldo, fargli
impacchi sul dorso, e subito massaggiare con molto olio e vino
e afferrare e tirare la pelle in ogni punto. Tutto questo è
meglio farlo all'aperto, sotto il sole battente. Alcuni mescolano
sanse di oliva a vino e lardo, e usano questo medicamento dopo
aver fatto gli impacchi sopra descritti. |
XIV |
[1] Est etiam illa gravis pernicies, cum pulmones exulcerantur.
Inde tussis et macies et ad ultimum phthisis invadit. Quae ne
mortem afferant, radix consiliginis ita, ut supra docuimus, perforatae
auriculae inseritur, tum porri succus instar heminae pari olei
mensurae miscetur, et cum vini sextario potandus datur diebus
compluribus. |
[1] E c'è anche quell'altra grave malattia, nella
quale i polmoni si ulcerano. Poi irrompono tosse, deperimento
e infine la tisi. Per non permettere che tutto questo porti alla
morte, si deve inserire della radice di consiligine in un foro
praticato nell'orecchia, come abbiamo descritto in precedenza,
quindi si mescola circa un'emina (0,27 l) di succo di porro ad
una uguale quantità di olio, e si dà da bere per
diversi giorni con un sestario (0,54 l) di vino. |
[2] Interdum et tumor palati cibos respuit, crebrumque
suspirium facit, et hanc speciem praebet, ut bos in latus pendere
videatur. Ferro palatum opus est sauciare, ut sanguis profluat,
et exemptum valvulis ervum maceratum viridemque frondem, vel
aliud molle pabulum, dum sanetur praebere. |
[2] A volte rifiutano il cibo anche per un rigonfiamento
del palato, che rende il respiro affannoso, e crea un aspetto
tale per cui il bue sembra pendere da una parte. Si deve incidere
il palato con una lama, per far uscire il sangue, e dare dell'ervo
macerato privato dei baccelli e fronde verdi, oppure altro foraggio
tenero, finché il bue non guarisce. |
[3] Si in opere collum contuderit, praestantissimum est
remedium sanguis de aure emissus; aut si id factum non erit,
herba, quae vocatur avia, cum sale trite et imposita. Si cervix
mota et deiecta est, considerabimus quam in partem declinet,
et ex diversa auricula sanguinem detrahemus. Ea porro vena, quae
in aure videtur esse amplissima, sarmento prius verberatur. Deinde
cum ad ictum intumuit, cultello solvitur; et postero die iterum
ex eodem loco sanguis emittitur, ac biduo ab opere datur vacatio.
Tertio deinde die levis iniungitur labor, et paulatim ad iusta
perducitur. |
[3] Se durante il lavoro il collo del bue è rimasto
contuso, c'è il rimedio efficacissimo di salassare un
orecchio, oppure se non si sarà fatto questo, ci si deve
mettere sopra la senecione, cioè l'erba chiamata avia,
tritata col sale. Se il collo si è spostato o abbassato,
verificheremo da quale parte pende, e poi salasseremo l'orecchio
dell'altro lato. Quindi per prima cosa si sferzerà con
un ramoscello quella vena che si vede molto in rilievo nell'orecchio.
Poi quando si gonfia a causa dei colpi, si incide con un coltello;
e il giorno dopo si salassa di nuovo dallo stesso punto, e poi
per due giorni si esenta il bue dal lavoro. Poi il terzo giorno
gli si impone un po' di lavoro leggero, e poco a poco si riporta
al lavoro normale. |
[4] Quod si cervix in neutram partem deiecta est, mediaque
intumuit, ex utraque auricula sanguis emittitur. Qui cum intra
triduum, cum bos vitium cepit, emissus non est, intumescit collum,
nervique tenduntur, et inde nata durities iugum non patitur. |
[4] E se il collo non pende da uno dei due lati, ma si
è gonfiato in mezzo, si salasseranno entrambe le orecchie.
Se non si salassa entro tre giorni dal comparire del male, il
collo si gonfia, i tendini si contraggono e si crea un indurimento
che non fa sopportare il giogo. |
[5] Tali vitio comperimus aureum esse medicamentum ex
pice liquida et bubula medulla et hircino sevo et vetere oleo
aequis ponderibus compositum atque incoctum. Hac compositione
sic utendum est. Cum disiungitur ab opere, in ea piscina, ex
qua bibit, tumor cervicis aqua madefactus subigitur, praedictoque
medicamento defricatur et illinitur. |
[5] Per questa malattia abbiamo imparato che c'è
un ottimo medicamento fatto con pece liquida, midollo bovino,
grasso di capra e olio vecchio mescolati in quantità uguali
e fatti bollire. Questo composto si deve usare in questo modo:
quando dopo il lavoro si toglie il giogo al bue, e nella stessa
vasca in cui beve, si bagna il rigonfiamento e lo si massaggia,
e poi lo si strofina e spalma con il medicamento prima descritto. |
[6] Si ex toto propter cervicis tumorem iugum recuset,
paucis diebus requies ab opere danda est. Tum cervix aqua frigida
defricanda et spuma argenti illinenda est. Celsus quidem tumenti
cervici herbam, quae vocatur avia, ut supra dixi, contundi et
imponi iubet. Clavorum, qui fere cervicem infestant, minor molestia
est; nam facile oleo per ardentem lucernam instillato curantur. |
[6] Se il bue rifiuta del tutto il giogo per il gonfiore
al collo, si devono dare pochi giorni di riposo dal lavoro. Poi
si deve strofinare il collo con acqua fredda e spalmarla con
litargirio. Celso prescrive proprio di pestare e applicare sul
collo gonfio quell'erba che chiamano avia, come ho detto
prima. Minore è il fastidio dato dalle escrescenze che
comunemente affliggono il collo, infatti si curano facilmente
facendo sgocciolare dell'olio da una lucerna accesa. |
[7] Potior tamen ratio est custodiendi, ne nascantur,
neve colla calvescant, quae non aliter glabra fiunt, nisi cum
sudore aut pluvia cervix in opere madefacta est. Itaque cum id
accidit, lateritio trito prius quam disiungantur colla conspergi
oportet; deinde cum id siccum erit, subinde oleo imbui. |
[7] La soluzione migliore è però stare attenti
a che le escrescenze non si formino, e non si speli il collo,
e questo non diventa glabro per nessun altro motivo, se non perché
si è inzuppato di sudore e di pioggia durante il lavoro.
E quando questo accade, bisogna cospargere il collo di polvere
di mattoni, prima di staccarlo dal giogo; poi quando si è
asciugato, si impregna subito d'olio. |
XV |
[1] Si talum aut ungulam vomer laeserit, picem duram et
axungiam cum sulphura et lana succida involutam candente ferro
supra vulnus inurito. Quod idem remedium optime facit exempta
stirpe, si forte surculum calcaverit, aut acuta testa vel lapide
ungulam pertuderit; quae tamen si altius vulnerata est, latius
ferro circumciditur, et ita inuritur, ut supra praecepi; deinde
spartea calceata per triduum suffuso aceto curatur. |
[1] Se il vomere ferisce il pastorale o l'unghione, con
un ferro incandescente si deve sciogliere sulla ferita pece solida
e sugna avvolta in lana sucida con zolfo. Questo stesso rimedio
funziona benissimo se estirpando un arbusto, per caso ha calpestato
un ramo, o un unghione è stato ferito da un coccio appuntito
o da un sasso; se poi l'unghione è stato ferito più
in alto, si allarga tutto intorno il taglio con una lama, e poi
si sciolgono sopra le sostanze che ho citato sopra; poi, messa
una soletta di ginestra, si cura bagnando con aceto per tre giorni. |
[2] Item si vomer crus sauciarit, marina lactuca, quam
Graeci tithymalon vocant, admisto sale imponitur. Subtriti pedes
eluuntur calefacta bubula urina; deinde fasce sarmentorum incenso,
cum iam ignis in favillam recidit, ferventibus cineribus cogitur
insistere, ac pice liquida cum oleo vel axungia cornua eius linuntur.
Minus tamen claudicabunt armenta, si opere disiunctis multa frigida
laventur pedes; et deinde suffragines, coronae, ac discrimen
ipsum, quo divisa est bovis ungula, vetere axungia defricentur. |
[2] Allo stesso modo se il vomere ferisce una zampa, ci
si mette sopra la lattuga marina, che i Greci chiamano tithymalon,
mista a sale. Se i piedi sono consumati sotto si lavano con orina
bovina riscaldata; poi si dà fuoco a una fascina di sarmenti,
e appena la fiamma si trasforma in faville, si forza il bue a
camminare sulle ceneri ardenti, e gli si spalma la parte cornea
dell'unghione con pece liquida con olio o sugna. Il bestiame
poi zoppicherà di meno, se staccati dal giogo gli saranno
lavati i piedi con molta acqua fredda, e poi si sfregheranno
con sugna vecchia il garretto, la corona, e il solco che divide
i due unghioni del bue. |
XVI |
[1] Saepe etiam vel gravitate longi laboris, vel [cum]
in proscindendo, aut duriori solo, aut obviae radici obluctatus,
convellit armos. Quod cum accidit, et prioribus cruribus sanguis
mittendus est; si dextrum armum laesit, in sinistro; si laevum,
in dextro; si vehementius utrumque vitiavit, item in posterioribus
cruribus venae solventur. |
[1] Spesso anche per la pesantezza di un lungo lavoro,
o durante l'aratura, o per la durezza del terreno, o nello sforzarsi
contro una radice trovata sul tragitto, il bue si sloga una spalla.
Quando questo accade, si salassa la gamba anteriore sinistra,
se la spalla ferita è la destra; se invece è lesa
la sinistra, si salassa la gamba destra; se per uno sforzo più
violento si sono lese entrambe le spalle, si aprono anche le
vene nelle zampe posteriori. |
[2] Praefractis cornibus linteola sale atque aceto et
oleo imbuta superponuntur, ligatisque per triduum eadem infunduntur.
Quarto demum axungia pari pondere cum pice liquida, et cortice
pineo, levigata imponitur. Et ad ultimum cum iam cicatricem ducunt,
fuligo infricatur. Solent etiam neglecta ulcera scatere vermibus;
qui si mane perfunduntur aqua frigida, rigore contracti decidunt,
vel si hac ratione non possunt eximi, marrubium aut porrum conteritur,
et admisto sale imponitur. Id celeriter necat praedicta animalia. |
[2] Sulle corna rotte si mettono delle bende imbevute
di sale, aceto e olio, si legano e si imbevono ancora per tre
giorni. Infine al quarto giorno ci si mette sopra sugna e pece
liquida in pari quantità, con corteccia di pino polverizzata.
Poi, infine, quando le corna hanno già fatto la cicatrice,
si sfregano con fuliggine. Accade anche che dalle ferite trascurate
si formino dei vermi, che se al mattino si bagnano con acqua
fredda, si contraggono e cadono, e se non si possono rimuovere
in questo modo, si trita del marrubio o del porro, si mescola
con sale e si mette sulla ferita. Questo trattamento uccide rapidamente
i predetti animali. |
[3] Sed expurgatis ulceribus confestim adhibenda sunt
linamenta cum pice et oleo vetereque axungia, et extra vulnera
eodem medicamento circumlinienda, ne infestentur a muscis, quae,
ubi ulceribus insederunt, vermes creant. |
[3] Ma, una volta spurgate le ferite, si devono subito
applicare delle fasciature con pece, olio e sugna vecchia, e
si deve spalmare tutto intorno lo stesso medicamento anche fuori
dalla ferita, perché questa non sia infestata da mosche,
le quali, se si fermano sulle ferite, creano i vermi. |
XVII |
[1] Est etiam mortiferus serpentis ictus, est et minorum
animalium noxium virus. Nam et vipera et caecilia saepe cum in
pascuo bos improvide supercubuit, lacessita onere morsum imprimit.
Musque araneus, quem Graeci mygalen appellant, quamvis exiguis
dentibus non exiguam pestem molitur. Venena viperae depellit
super scarificationem ferro factam herba, quam vocant personatam,
trita et cum sale imposita. |
[1] Anche il morso del serpente è letale, e il
veleno di animali più piccoli è nocivo. Infatti
spesso la vipera e l'orbettino, quando nel pascolo il bue incautamente
ci si sdraia sopra, disturbati dal peso, affondano un morso.
E il toporagno, che i greci chiamano migale, per quanto abbia
dei piccoli denti, produce un danno non piccolo. Il veleno della
vipera si rimuove facendo un'incisione con una lama e mettendoci
sopra l'erba chiamata personata (la bardana), tritata e mista
a sale. |
[2] Plus etiam eiusdem radix contusa prodest, vel si montanum
trifolium invenitur, quod confragosis locis efficacissimum nascitur,
odoris gravis, neque absimilis bitumini, et idcirco Graeci eam
asphalton appellant; nostri autem propter figuram vocant acutum
trifolium; nam longis et hirsutis foliis viret, caulemque robustiorem
facit, quam pratense. |
[2] Fa ancora più bene la radice pestata della
stessa pianta o, se si trova, del trifoglio montano, efficacissimo
se nasce in luoghi dirupati, e che ha odore forte, non dissimile
da quello del bitume, e che per questo i greci chiamano asphalton;
da noi invece lo chiamano trifoglio appuntito, per la sua forma:
infatti è dotato di foglie lunghe e pelose, ed ha un gambo
più robusto di quello pratense. |
[3] Huius herbae succus vino mistus infunditur faucibus,
atque ipsa folia cum sale trita malagmatis more, scarificationi
intenditur; vel si hanc herbam viridem tempus anni negat, semina
eius collecta et levigata cum vino dantur potanda, radicesque
cum suo caulae tritae, atque hordeaceae farinae et sali commistae
ex aqua mulsa scarificationi superponuntur. |
[3] Il succo di questa erba, misto al vino, si
versa nelle fauci dell'animale, e le foglie stesse tritate e
addizionate di sale, sono spalmate come impiastro sull'incisione;
oppure, se quest'erba non è disponibile fresca a causa
della stagione, raccolti e ridotti in polvere i suoi semi, si
danno da bere mescolati al vino, e le radici tritate con i gambi
e farina d'orzo mescolate con acqua e miele, si pongono sull'incisione. |
[4] Est etiam praesens remedium, si conteras fraxini tenera
cacumina quinque librarum, cum totidem vini et duobus sextariis
olei, expressumque succum faucibus infundas; itemque cacumina
eiusdem arboris cum sale trita laesae parti superponas. Caeciliae
morsus tumorem, suppurationem molitur. Idem facit etiam muris
aranei. Sed illius sanatur noxa subula aenea, si locum laesum
compungas, cretaque cimolia ex aceto linas. |
[4] Si avrà anche un rimedio efficace, se si tritano
cinque libbre (1600 g) di tenere cime di frassino, e il succo
che ne esce, misto con la stessa quantità di vino e due
sestari (1 l) d'olio, e si versa nelle fauci dell'animale, e
si mettono anche sulla parte ferita le cime dello stesso albero
tritate con sale. Il morso dell'orbettino produce gonfiore e
suppurazione. Lo stesso fa il morso del toporagno. Ma il morso
del primo si cura pungendo la parte lesa con una lama di rame,
spalmandoci poi della creta di Cimolo con aceto. |
[5] Mus perniciem, quam intulit, suo corpore luit; nam
animal ipsum oleo mersum necatur, et cum imputruit, conteritur,
eaque medicamine morsus muris aranei linitur. Vel si id non adest,
tumorque ostendit iniuriam dentium, cuminum conteritur, eique
adicitur exiguum picis liquidae et axungiae, ut lentorem malagmatis
habeat. |
[5] Il male che fa il toporagno è guarito dal suo
stesso corpo: infatti l'animale stesso si uccide immergendono
nell'olio e, quando si decompone, si trita e si spalma questo
medicamento sul morso del toporagno. Oppure, se non si trova
il toporagno, e un gonfiore dimostra il danno fatto dai denti,
si trita del cumino, ci si aggiunge un po' di pece liquida e
di sugna, per dargli la pastosità dell'impiastro. |
[6] Id impositum pernicem commovet. Vel si antequam tumor
discutiatur, in suppurationem convertitur, optimum est ignea
lamina conversionem resecare, et quicquid vitiosi est, inurere,
atque ita liquida pice cum oleo linire. Solet etiam ipsum animal
creta figulari circumdari; quae cum siccata est, collo boum suspenditur.
Ea res innoxium pecus a morsu muris aranei praebet. |
[6] Mettendo questa mistura sul morso, lo si guarisce.
Oppure se, prima di essere curato, il gonfiore va in suppurazione,
la cosa migliore è incidere l'alterazione con una lama
rovente, e bruciare tutte le parti marce, e spalmarle di pece
liquida con olio. Spesso si avvolge lo stesso toporagno con creta
da vasaio, e quando si secca, lo si appende al collo del bue.
Questo rende il bestiame immune dal morso del toporagno. |
[7] Oculorum vitia plerumque melle sanantur. Nam sive
intumuerunt, aqua mulsa triticea farina conspergitur et imponitur;
sive album in oculo est, montanus sal Hispanus vel Ammoniacus
vel etiam Cappadocus, minute tritus et immistus melli vitium
extenuat. Facit idem trita sepiae testa, et per fistulam ter
die oculo inspirata. Facit et radix, quam Graeci silphion vocant,
vulgus autem nostra consuetudine laserpitium appellant. |
[7] I disturbi agli occhi si curano per lo più
con il miele. Infatti, quando si gonfiano, si bagna con acqua
e miele della farina di frumento, e poi la si applica; se nell'occhio
c'è del bianco, il malanno si riduce con del sale di montagna
spagnolo, ammoniaco o della Cappadocia, tritato finemente e misto
a miele. Ha lo stesso effetto un osso di seppia tritato e soffiato
nell'occhio con una canna per tre giorni. Fa effetto anche la
radice che i Greci chiamano silphion, mentre da noi per
consuetudine popolare la chiamano laserpizio. |
[8] Huius quantocumque ponderi decima pars salis ammoniaci
adicitur, eaque pariter trita oculo similiter infunduntur, vel
eadem radix contusa et cum oleo lentisci inuncta vitium expurgat.
Epiphoram supprimit polenta conspersa mulsa aqua, et in supercilia
genasque imposita, pastinacae quoque agrestis semina, et succus
armoraceae, cum melle laevigata oculorum sedant dolorem. |
[8] A una qualunque quantità in peso di questa
si aggiunge la decima parte di sale ammoniaco, e dopo averle
tritate allo stesso modo, si versano nell'occhio come visto prima,
oppure la stessa radice, pestata e unta con olio si lentisco,
elimina il disturbo. Della farinata d'orzo bagnata con acqua
e miele e messa sulle sopracciglia e nel cavo dell'orbita, elimina
la lacrimazione, e anche dei semi di pastinaca di campo, e succo
di rafano, allungati con miele, calmano il dolore agli occhi. |
[9] Sed quotiescumque mel aliusve succus remediis adhibetur,
circumliniendus erit oculus pice liquida cum oleo, ne a muscis
infestetur. Nam et ad dulcedinem mellis aliorumque medicamentorum
non hae solae sed et apes advolant. |
[9] Ma tutte le volte che si userà come rimedio
del miele o qualche altro succo dolce, si dovrà spalmare
tutto intorno all'occhio della pece liquida con olio, perché
non sia infestato dalle mosche. E di certo la dolcezza del miele
e degli altri medicamenti ci fa volare sopra non solo le mosche,
ma anche le api. |
XVIII |
[1] Magnam etiam perniciem saepe affert hirudo hausta
cum aqua. Ea adhaerens faucibus sanguinem ducit et incremento
suo transitum cibis praecludit. Si tam difficili loco est, ut
manu trahi non possit, fistulam vel arundinem inserito, et ita
calidum oleum infundito; nam eo contactum animal confestim decedit. |
[1] Spesso anche la sanguisuga, inghiottita con l'acqua,
porta un gran danno. Essa, attaccandosi con la bocca, succhia
il sangue, e gonfiandosi blocca il transito del cibo. Se si trova
in un punto talmente difficile da non poter essere strappata
con le mani, si dovrà inserire un tubicino o una cannuccia,
e versarci dell'olio caldo; infatti al suo contatto l'animale
muore immediatamente. |
[2] Potest etiam per fistulam deusti cimicis nidor immitti;
qui ubi superponitur igni, fumum emittit, et conceptum nidorem
fistula usque ad hirundinem perfert; isque nidor depellit haerentem.
Si tamen vel stomachum vel intestinum tenet, calido aceto per
cornu infuso necatur. Has medicinas quamvis bubus adhibendas
praeceperim, posse tamen ex his plurima etiam maiori pecori convenire
nihil dubium est. |
[2] Si può anche far entrare con una cannuccia
del fumo di cimice bruciata: questo insetto, quando è
messo sul fuoco, produce fumo, che si raccoglie con una cannuccia
si fa arrivare alla sanguisuga, e questo la costringe a staccarsi;
se invece si è attaccata nello stomaco o nell'intestino,
la si uccide facendo inghiottire al bue dell'aceto caldo usando
un corno come imbuto. Queste medicine, che ho consigliato di
dare soprattutto ai buoi, possono comunque per la maggior parte
essere efficaci senza alcun dubbio anche per il bestiame grosso. |
XIX |
[1] Sed et machina fabricanda est, qua clausa, iumenta
bovesque curentur, ut et tutus accessus ad pecudem medenti sit,
nec in ipsa curatione quadrupes reluctando remedia respuat. Est
autem talis machinae forma. Roboreis axibus compingitur solum,
quod habet in longitudinem pedes novem, et in latitudinem pars
prior dupondium semissem, pars posterior quattuor pedes. |
[1] Bisogna però fabbricare anche un travaglio
nel quale curare i cavalli e i buoi, chiudendoceli dentro, in
modo che chi li cura si possa avvicinare al bestiame restando
protetto, e i quadrupedi durante la cura stessa non possano rifiutare
i medicamenti. La forma di questo travaglio è questa:
il fondo è fatto di assi di quercia, ed è lungo
nove piedi (2,70 m) ed è largo due piedi e mezzo (75 cm)
nella parte anteriore, e quattro piedi (1,20 m) nella parte posteriore. |
[2] Huic solo septenum pedum stipites recti ab utroque
latere quaterni applicantur. Ii autem in ipsis quattuor angulis
affixi sunt, omnesque transversis sex temonibus quasi vacerrae
inter se ligantur, ita ut a posteriore parte, quae latior est,
velut in caveam quadrupes possit induci, nec exire alia parte
prohibentibus adversis axiculis. Primis autem duobus statuminibus
imponitur firmum iugum, ad quod iumenta capistrantur, vel boum
cornua religantur. Ubi potest etiam numella fabricari, ut inserto
capite descendentibus per foramina regulis cervix catenetur. |
[2] A questo fondo si applicano da ogni lato quattro montanti
verticali alti sette piedi (2,10 m). Questi poi sono piantati
agli stessi quattro angoli, e tutti sono legati tra loro da sei
pali trasversali, come una palizzata, in modo che il quadrupede
possa essere fatto entrare come in una gabbia dalla parte posteriore,
che è più larga, e non possa uscire dall'altra
parte, bloccato dalle assicelle messe davanti. Sopra ai primi
due montanti si mette poi un solido giogo, al quale si incapezzano
i cavalli, o si legano i buoi per le corna. Qui si può
anche fabbricare una testiera, in modo che, inseritaci la testa,
il collo si possa legare alle stanghe verticali, per mezzo dei
fori su di esse. |
[3] Ceterum corpus laqueatum et distentum temonibus obligatur,
immotumque medentis arbitrio est expositum. Haec ipsa machina
communis erit omnium maiorum quadrupedum. |
[3] Il resto del corpo, legato e disteso, è assicurato
ai pali trasversali ed è immobilizzato, a disposizione
di chi fa le medicazioni. Questo stesso travaglio sarà
comunemente usato per tutto il bestiame di grossa taglia. |
XX |
[1] Quoniam de bubus satis praecepimus, opportune de tauris
vaccisque dicemus. Tauros maxime membris amplissimis, moribus
placidis, media aetate probandos censeo. Cetera fere omnia eadem
in his observabimus, quae in bubus eligendis. Neque enim alio
distat bonus taurus a castrato, nisi quod huic torva facies est,
vegetior aspectus, breviora cornua, torosior cervix, et ita vasta,
ut sit maxima portio corporis, venter paulo substrictior, qui
magis rectus et ad ineundas feminas habilis sit. |
[1] Siccome abbiamo dato abbastanza consigli sui buoi,
è opportuno parlare dei tori e delle vacche. Credo che
si debbano soprattutto scegliere dei tori di grandi proporzioni,
di indole tranquilla e di età media. Per quasi tutte le
altre caratteristiche seguiremo le stesse indicazioni date per
la scelta dei buoi. Infatti un buon toro non differisce da un
castrato se non perché ha un atteggiamento minaccioso,
un aspetto più vigoroso, le corna più corte, il
collo più muscoloso e talmente ampio da essere la parte
più larga del corpo, il ventre un po' più stretto
e che, essendo più diritto sia adatto all'accoppiamento
con le vacche. |
XXI |
[1] Vaccae quoque probantur altissimae formae longaeque,
maximis uteris, frontibus latissimis, oculis nigris et patentibus,
cornibus venustis et levibus et nigrantibus, pilosis auribus,
compressis malis, palearibus et caudis amplissimis, ungulis modicis,
et modicis cruribus. Cetera quoque fere eadem in feminis, quae
et in maribus, desiderantur, et praecipue ut sint novellae, quoniam,
cum excesserunt annos decem, foetibus inutiles sunt. Rursus minores
bimis iniri non oportet. |
[1] Anche le vacche sono apprezzate se sono di corporatura
molto alta e lunga, con ventre ampio, fronte molto larga, occhi
neri e grandi, corna aggraziate, leggere e nere, orecchie pelose,
mascelle serrate, giogaia e coda molto grandi, unghioni leggeri
e zampe non troppo grandi. Le altre caratteristiche che si ricercano
nelle femmine sono quasi le stesse cercate nei maschi, e soprattutto
che siano giovani poiché, una volta superati i dieci anni
di età, sono inadatte alla procreazione. Invece non conviene
far accoppiare le manze di meno di due anni. |
[2] Si ante tamen conceperint, partum earum removeri placet,
ac per triduum, ne laborent, ubera exprimi, postea mulctra prohiberi. |
[2] Se nonostante ciò resteranno comunque gravide,
sarà opportuno togliere loro il vitello, e per tre giorni
spremere loro le mammelle, perché non soffrano, ma poi
non mungerle più. |
XXII |
[1] Sed et curandum est omnibus annis [in hoc] aeque in
reliquis gregibus pecoris, ut delectus habeatur. Nam et enixae
et vetustae quae gignere desierunt, summovendae sunt, et utique
taurae, quae locum fecundarum occupant, ablegandae vel aratro
domandae, quoniam laboris et operis non minus quam iuvenci, propter
uteri sterilitatem, patientes sunt. |
[1] Ma bisogna anche badare a che ogni anno si faccia
una scelta anche nelle altre mandrie di bestiame. Infatti si
devono scartare sia quelle esaurite dai parti, sia quelle vecchie,
che hanno smesso di partorire, e soprattutto le manze sterili,
che tolgono spazio a quelle fertili, vanno scartate oppure addestrate
a tirare l'aratro, dal momento che sono resistenti alla fatica
e al lavoro dei campi non meno dei buoi, a causa della loro sterilità. |
[2] Eiusmodi armentum maritima et aprica hiberna desiderat;
aestate opacissima nemorum ac montium alta magis quam plana pascua.
Nam melius nemoribus herbidis et frutetis et carectis, * * *
. . . quoniam siccis ac lapidosis locis durantur ungulae. Nec
tam fluvios rivosque desiderat, quam lacus manu factos; quoniam
et fluvialis aqua, quae fere frigidior est, partum abigit, et
caelestis iucundior est. Omnes tamen externi frigoris tolerantior
equino armento vacca est, ideoque facile sub dio hibernat. |
[2] La mandria ha bisogno di svernare in luoghi vicini
al mare e soleggiati, d'estate ombrosissimi di boschi e più
in alta montagna che non su pascoli di pianura. Infatti è
meglio in boschi erbosi e arbusti e cariceti, * * * . . . poiché
gli unghioni si induriscono sui terreni aridi e sassosi. E non
hanno tanto bisogno di fiumi e ruscelli, ma piuttosto di laghetti
scavati apposta, dal momento che l'acqua di fiume, che spesso
è più fredda, provoca aborti, mentre quella piovana
è più gradevole. Le vacche sono poi molto più
tolleranti al freddo esterno del bestiame equino, e per questo
sverna più facilmente all'aperto. |
XXIII |
[1] Sed laxo spatio consepta facienda sunt, ne in angustiis
conceptum altera alterius elidat, et ut invalida fortioris ictus
effugiat. Stabula sunt optima saxo aut glarea strata, non incommoda
tamen etiam sabulosa: illa, quod imbres respuant; haec, quod
celeriter exsorbeant transmittantque. Sed utraque devexa sint,
ut humorem effundant; spectentque ad meridiem, ut facile siccentur,
et frigidis ventis non sint obnoxia. |
[1] Si devono poi fare dei recinti con ampio spazio, perché
che negli spazi stretti, una vacca non schiacci il feto dell'altra,
e le più deboli sfuggano ai colpi delle più forti.
Le stalle migliori sono quelle con pavimenti di pietra o ghiaia,
ma non sono male anche di sabbia: quelli perché respingono
l'acqua, questi perché la assorbono e la lasciano sgrondare
velocemente. Ma entrambi i tipi devono essere in pendenza, in
modo da far scorrere i liquidi; devono poi essere orientate a
sud, perché si asciughino facilmente, e non siano esposte
ai venti freddi. |
[2] Levis autem cura pascui est. Nam ut laetior herba
consurgat, fere ultimo tempore aestatis incenditur. Ea res et
teneriora pabula recreat, et sentibus ustis fruticem surrecturum
in altitudinem compescit. Ipsis vero corporibus affert salubritatem
iuxta conseptum saxis et canalibus sal superiectus, ad quem saturae
pabulo libenter recurrunt, cum pastorali signo quasi receptui
canitur. |
[2] La cura del pascolo invece è leggera. Infatti
perché l'erba ricresca rigogliosa, quasi alla fine dell'estate
la si incendia. Questa pratica fa rinascere pascoli teneri, e
bruciati i rovi, limita lo sviluppo in altezza degli arbusti.
Si assicura poi la salute fisica dei bovini stessi gettando vicino
ai recinti, sui sassi e negli abbeveratoi del sale, al quale
le bestie, saziate dal pascolo, fanno ricorso volentieri, quando
il segnale del mandriano risuona quasi per richiamarle in stalla. |
[3] Nam id quoque semper crepusculo fieri debet, ut ad
sonum buccinae pecus, si quod in silvis substiterit, septa repetere
consuescat. Sic enim recognosci grex poterit, numerusque constare,
si velut ex militari disciplina intra stabulorum castra manserint.
Sed non eadem in tauros exercentur imperia, qui freti viribus
per nemora vagantur, liberosque egressus et reditus habent, nec
revocantur nisi ad coitus feminarum. |
[3] Questo si deve fare sempre al crepuscolo, in modo
che al suono della buccina le bestie, se per caso si sono attardate
nei boschi, si abituino a ritornare in stalla. Infatti in questo
modo si potrà controllare la mandria e ricontarne i capi
se, con una disciplina quasi militare, resteranno nelle stalle
come in una caserma. Però la stessa disciplina non si
può esercitare sui tori, che vagano per i boschi, fieri
della loro forza, ed hanno libera uscita e libero rientro, e
non sono richiamati se non per accoppiarsi con le femmine. |
XXIV |
[1] Ex his, qui quadrimis minores sunt, maioresque quam
duodecim annorum, prohibentur admissura: illi, quoniam quasi
puerili aetate seminandis armentis parum idonei habentur; his,
quia senio sunt effeti. Mense Iulio feminae maribus plerumque
permittendae, ut eo tempore conceptos proximo vere adultis iam
pabulis edant. |
[1] Fra essi, a quelli che hanno meno di quattro anni
e più di dodici anni, si evita la monta: quelli, poiché
sono quasi in età puerile, si considerano poco adatti
a inseminare la mandria; questi, perché sono stremati
dalla vecchiaia. Alle femmine si deve permettere l'accesso al
toro perlopiù nel mese di luglio, in modo che i vitelli,
se concepiti in quel periodo, trovino nella primavera seguente
dei pascoli già cresciuti. |
[2] Nam decem mensibus ventrem proferunt, neque ex imperio
magistri, sed sua sponte marem patiuntur. Atque in id fere quod
dixi tempus, naturalia congruunt desideria, quoniam satietate
verni pabuli pecudes exhilaratae lasciviunt in venerem, quam
si aut femina recusat, aut non appetit taurus, eadem rationem,
qua fastidientibus equis mox praecipiemus, elicitur cupiditas
odore genitalium admoto naribus. |
[2] Infatti portano avanti la gravidanza per dieci mesi,
e accettano il maschio non per comando del padrone, ma per propria
volontà. E proprio nella stagione che ho nominato, soddisfano
il naturale desiderio poiché, allietate dall'essersi saziate
sui pascoli primaverili, si dilettano del sesso, ma se una femmina
lo rifiuta, oppure non gradisce il toro, con lo stesso metodo
che in seguito consiglieremo per i cavalli che rifiutano, si
induce il desiderio accostando alle loro narici l'odore dei genitali. |
[3] Sed et pabulum circa tempus admissurae subtrahitur
feminis, ne eas steriles reddat nimia corporis obesitas; et tauris
adicitur, quo fortius ineant. Unumque marem quindecim vaccis
sufficere abunde est. Qui ubi iuvencam supervenit, certis signis
comprehendere licet, quem sexum generaverit, quoniam, si parte
dextra desiluit, marem seminasse manifestum est; si laeva, feminam.
Id tamen verum esse non aliter apparet, quam si post unum coitum
forda non admittit taurum; quod et ipsum raro accidit. |
[3] Ma intorno al periodo dell'accoppiamento si toglie
alle femmine parte del foraggio, per evitare che l'eccessiva
grassezza del corpo le renda sterili; ai tori invece si aumenta
la razione, in modo che si accoppino con più energia.
Un maschio è più che sufficiente per quindici vacche.
Quando il toro monta la giovenca, da certi segni è possibile
comprendere il sesso del vitello che ha generato, poiché,
se dopo la monta scende dal lato destro, mostra di aver generato
un maschio; se scende da sinistra ha generato una femmina. Però
questo si dimostra vero solamente nel caso che la vacca dopo
il primo accoppiamento non accetti più il toro, cosa che
accade raramente. |
[4] Nam quamvis plena foetu non expletur libidine. Adeo
ultra naturae terminos etiam in pecudibus plurimum pollent blandae
voluptatis illecebrae! Sed non dubium est, ubi pabuli sit laetitia,
posse omnibus annis partum educari; at ubi penuria est, alternis
submitti; quod maxime in operariis vaccis fieri placet, ut et
vituli annui temporis spatio lacte satientur, nec forda simul
operis et uteri gravetur onere. Quae cum partum edidit, nisi
cibis fulta est, quamvis bona nutrix, labore fatigata nato subtrahit
alimentum. |
[4] Infatti sebbene la vacca porti il feto, non esaurisce
il desiderio. Fino a tanto anche nel bestiame influiscono al
massimo grado gli allettamenti della dolce voluttà, anche
oltre i limiti della natura! Ma non c'è dubbio che, dove
c'è abbondanza di cibo, si possano allevare facendole
partorire ogni anno; dove invece c'è carenza, si fanno
partorire ad anni alterni. Questo è opportuno farlo soprattutto
per le vacche adibite al lavoro, in modo che sia i vitelli possano
saziarsi per un anno con il latte, e in modo che la vacca non
sia gravata contemporaneamente dal peso del lavoro e della gravidanza.
Quando questa partorisce il vitello, se non è sostenuta
dal cibo, anche essendo una buona nutrice, affaticata dal lavoro,
sottrae alimento al vitello. |
[5] Itaque et foetae cytisus viridis et torrefactum ordeum,
maceratumque ervum praebetur, et tener vitulus torrido molitoque
milio, et permixto cum lacte salivatur. Melius etiam in hos usus
Altinae vaccae parantur, quos eius regionis incolae Cevas appellant.
Eae sunt humilis staturae, lactis abundantes, propter quod remotis
earum foetibus, generosum pecus alienis educatur uberibus; vel
si hoc praesidium non adest, faba fresa, et vinum recte tolerat,
idque praecipue in magnis gregibus fieri oportet. |
[5] Così, una volta che le vacche hanno partorito,
si dà loro citiso verde e orzo tostato e ervo macerato,
e al piccolo vitello si dà miglio macinato e tostato,
mescolato al latte. Ma per quest'uso è anche meglio comprare
le vacche di Altino, che gli abitanti di quella regione chiamano
ceve. Esse sono di bassa statura, grandi produttrici di latte,
e perciò, dopo averle separate dai loro vitelli, il bestiame
di buona razza è nutrito da mammelle di altre origini;
oppure se questo aiuto non è disponibile, accettano bene
anche fave macinate e vino, e questo bisogna farlo principalmente
nelle grandi mandrie. |
XXV |
[1] Solent autem vitulis nocere lumbrici, qui fere nascuntur
cruditatibus. Itaque moderandum est, ut bene concoquant; aut
si iam tali vitio laborant, lupini semicrudi conteruntur, et
offae salivati more faucibus ingeruntur. Potest etiam cum arida
fico et ervo conteri herba Santonica, et formata in offam, sicut
salivatum demitti. Facit idem axungiae pars una tribus partibus
hyssopi permista. Marrubii quoque succus et porri valet eiusmodi
necari animalia. |
[1] Di solito poi i vitelli soffrono di vermi, che spesso
derivano da cibi indigesti. Perciò si deve fare in modo
che digeriscano bene; oppure, se già soffrono di questo
disturbo, si tritano dei lupini semicrudi, e gli si mettono in
gola dei bocconi come salivatori. Si può anche tritare
dell'erba santonica con un fico secco e dell'ervo, e facendoci
dei bocconcini, lo si fa ingoiare come salivatorio. Fa bene anche
una parte di sugna mista a tre parti di issopo. Per uccidere
questi parassiti giova anche il succo di marrobio e porro. |
XXVI |
[1] Castrare vitulos Mago censet, dum adhuc teneri sunt;
neque id ferro facere, sed fissa ferula comprimere testiculos
et paulatim confringere. Idque optimum genus castrationum putat,
quod adhibetur aetati tenere sine vulnere. |
[1] Magone ritiene che i vitelli si debbano castrare finché
sono ancora piccoli; e non va fatto con un ferro, ma si devono
comprimere i testicoli con una cannuccia fessurata, e frantumandoli
poco a poco. Ed egli pensa che questo sia il modo migliore di
castrare, perché si può usare su vitelli in tenera
età senza ferirli. |
[2] Nam ubi iam induruit, melius bimus quam anniculus
castratur. Idque facere vere vel autumno luna decrescente praecipit,
vitulumque ad machinam deligare; deinde prius quam ferrum admoveas,
duabus angustis ligneis regulis veluti forcipibus apprehendere
testium nervos, quos Graeci krematheras ab eo appellant, quod
ex illis genitalis partes dependent. Comprehensos deinde testes
ferro reserare, et expressos ita recidere, ut extrema pars eorum
adhaerens praedictis nervis relinquatur. |
[2] Perché, se il vitello si è già
indurito, è meglio castrarlo ai due anni piuttosto che
a un anno. Egli consiglia di farlo in primavera o in autunno
con luna calante, e di legare il vitello ad un travaglio; poi,
prima di applicare il ferro, con due strette bacchette di legno,
a mo' di tenaglia, consiglia di afferrare i legamenti dei testicoli,
che i greci chiamano krematheras, dal fatto che da loro
pendono gli organi genitali. Afferrati quindi i testicoli, si
devono tirare fuori con il ferro, e avendoli così esposti,
li si deve tagliare, in modo che alle loro estremità restino
attaccati i legamenti prima nominati. |
[3] Nam hoc modo nec eruptione sanguinis periclitatur
iuvencus, nec in totum effeminatur adempta omni virilitate; formamque
servat maris cum generandi vim deposuit; quam tamen ipsam non
protinus amittit. Nam si patiaris eum a recenti curatione feminam
inire, constat ex eo posse generari. Sed minime id permittendum,
ne profluvio sanguinis intereat. Verum vulnera eius sarmenticio
cinere cum argenti spuma linenda sunt, abstinendusque eo die
ab humore, et exiguo cibo alendus. |
[3] E così in questa maniera il giovenco non viene
messo in pericolo dalla perdita di sangue, né viene del
tutto infiacchito per la perdita di ogni virilità, e inoltre
conserva l'aspetto del maschio sebbene abbia abbandonato la capacità
di fecondare, ma questa facoltà non è persa immediatamente.
Infatti se gli permetti di montare quando la castrazione è
ancora recente, è noto che possa generare. Ma questo non
va in nessun modo consentito, per evitare che l'animale muoia
per la perdita di sangue. Invece bisogna spalmargli le ferite
con cenere di tralci con litargirio, non dargli liquidi nel giorno
della castrazione e dargli da mangiare poco cibo. |
[4] Sequenti triduo velut aeger cacuminibus arborum et
desecto viridi pabulo oblectandus, prohibendusque multa potione.
Placet etiam pice liquida et cinere cum exiguo oleo ulcera ipsa
post triduum linere, quo et celerius cicatricem ducant, nec a
muscis infestentur. Hactenus de bubus dixisse abunde est. |
[4] Nei tre giorni successivi, come se fosse malato, lo
si conforta con getti di alberi ed erba tenera trinciata, e gli
si deve impedire di bere molto. È anche opportuno ungere
dopo tre giorni la ferita con pece liquida e cenere con poco
olio, che facciano formare più rapidamente la cicatrice,
e impediscono che la ferita sia infestata dalle mosche. A questo
punto abbiamo detto abbastanza dei bovini. |