Il 21 gennaio 1921 nel teatro San Marco di Livorno, da una scissione del Partito Socialista Italiano, nacque il Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale Comunista, che nel 1943 prese il nome di Partito Comunista Italiano, e il 3 febbraio 1991 fu sciolto, confluendo nel Partito Democratico della Sinistra. Il teatro San Marco si trovava nel quartiere della Venezia Nuova a Livorno, in via San Marco, ma fu distrutto dai bombardamenti dell'ultima guerra. Oggi rimangono i resti della facciata sui quali una lapide ricorda l'evento.
Le ragioni
della scissione
I delegati del Partito Socialista, al 16° congresso nell'ottobre
del 1919, avevano approvato per acclamazione le decisione della
Direzione di aderire alla III Internazionale (l'Internazionale
Comunista o Comintern), nonostante la forte opposizione del leader
dell'ala destra del partito, Filippo Turati. Tra riformisti e
massimalisti rimase comunque una frattura aperta, in aggiunta
ai forti contrasti sulla posizione del partito sulla partecipazione
dell'Italia alla prima guerra mondiale e sulla strategia del proletariato
per prendere il potere.
Una lettera di Amadeo Bordiga del 1919 spiegava "oggi
noi ci prefiggiamo di lavorare alla costituzione di un partito
veramente comunista e per ciò lavora la nostra Frazione
nel seno del PSI" (Spriano, pag. 38), mentre il 16 maggio 1920 il giornale "Il
Soviet", che si definiva "organo della frazione
comunista astensionista del PSI", annunciava che sarebbe
stato necessario "convocare, dopo il Congresso dell'Internazionale
comunista, un Congresso-costituente del PCI". (Spriano, pag.
43)
Il 2° Congresso dell'Internazionale comunista, dal 19 luglio
al 7 agosto 1920 a Pietrogrado e Mosca, stabilì che "i
partiti che vogliono appartenere alla Internazionale comunista
debbono cambiare il loro nome. Qualunque partito voglia appartenere
all'Internazionale comunista deve portare il nome: partito comunista
di ... (sezione della III Internazionale). (Spriano, pag. 71)
Un altro motivo che spinse alla scissione fu il fallimento dell'esperienza
dell'occupazione delle fabbriche del settembre 1920, che dimostrò
che il Partito socialista non disponeva di un'organizzazione politica
e militare in grado di guidare l'insurrezione armata, ma che si
doveva creare un partito comunista organizzato come strumento
per questo compito. Bordiga scrisse sul "Soviet" "non
si deve esitare a denunziare il vecchio partito, questo vecchio
amalgama insuscettibile di rigenerarsi, e a costituire il nuovo
organo necessario, indispensabile per la rivoluzione proletaria".
(Spriano,
pag. 94)
Il congresso
socialista
Il 17° congresso
nazionale del Partito Socialista Italiano si svolse tra il
15 e il 20 gennaio 1921 nel Teatro
Carlo Goldoni di Livorno. La possibilità di una scissione
da parte della frazione dei comunisti "puri" (distinti
da quelli "unitari") era chiara leggendo il punto terzo
della loro mozione, che
impegnava il Partito Socialista a cambiare "il nome del
partito in quello di Partito Comunista d'Italia (sezione della
Terza Internazionale comunista)" mentre il quarto punto
affermava "essere incompatibile la presenza nel Partito
di tutti coloro che sono contro i principi e le condizioni dell'Internazionale
comunista". La mozione era firmata da Nicola Bombacci,
Amadeo Bordiga, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci, Francesco
Misiano, Luigi Polano, Luigi Repossi e Umberto Terracini.
I congressi di sezione del PSI avevano però dato la maggioranza
ai massimalisti unitari di Giacinto Menotti Serrati con 98.028
voti, i comunisti puri di Amadeo Bordiga e di Antonio Gramsci
contavano 58.783 voti e i riformisti concentrazionisti di Filippo
Turati 14.695. (Spriano,
pag. 106)
Umberto Terracini nel suo intervento al Congresso confermò,
tra l'altro che: "il Partito politico di classe è
un'arma la quale è assolutamente necessaria per la lotta
proletaria della conquista del potere". (Spriano, pag.
114)
Il pomeriggio del 20 gennaio si andò al voto sulle mozioni,
e la mattina del 21 ne fu proclamato l'esito, che determinò
la scissione: dapprima Luigi Polano, a nome della Federazione
Giovanile Socialista Italiana (FGSI), dichiarò che essa
"scioglie ogni impegno col partito e delibera di seguire
le decisioni che prenderà la frazione comunista".
(Spriano,
pag. 115)
Quindi Amadeo Bordiga lesse una dichiarazione, redatta da Ruggero
Grieco, con la quale la frazione comunista abbandonava i lavori
del congresso e si convocava per le 11:00 al Teatro San Marco
per fondare il PCd'I. I delegati della mozione dei comunisti "puri"
abbandonarono il congresso socialista cantando "l'Internazionale"
per raggiungere il teatro, distante circa 1.300 metri, dove fondarono
il nuovo partito.
Una vignetta del grande
disegnatore del quotidiano socialista Avanti! Giuseppe
Scalarini raccontò la separazione del Partito comunista
come una rottura tra generazioni, forse anche perché, come
visto, la stragrande maggioranza della Federazione giovanile si
era schierata a favore della scissione, mentre lo stesso Avanti!
il giorno successivo
imputò la scissione ad un ordine esterno di Mosca.
La fondazione
del Partito Comunista d'Italia
Al teatro San Marco alcuni incaricati controllarono le tessere
dei delegati, apponendovi il timbro con la falce e martello. Il
teatro, come racconta Terracini, era in abbandono, con le finestre
senza vetri, i palchi senza parapetti e i sudici tendaggi sbrindellati,
per essere stato usato come deposito di materiali dell'esercito.
I delegati dovettero restare per ore in piedi, in assenza di sedie
o panche, e dovettero aprire l'ombrello anche all'interno della
sala, perché il tetto infracidito lasciava entrare scrosci
di pioggia. Anche il pavimento era fatiscente, con avvallamenti
e buche.
Venne eletto il Comitato centrale del nuovo partito, composto
da Bordiga, Grieco, Parodi, Sessa, Tarsia, Polano, Gramsci, Terracini,
Belloni, Bombacci, Gennari, Misiano, Marabini, Repossi e Fortichiari
e venne fissata la sede del partito a Milano.
Il Partito
sotto la dittatura fascista
Sin dal suo primo anno di vita il P.C. d'I si trovò in
una condizione di semilegalità imposta dalle autorità,
e i militanti furono vittima di innumerevoli aggressioni, anche
letali, delle squadracce fasciste. Il 28 ottobre 1922 i fascisti
presero il potere e il 13 febbraio 1923 Umberto Terracini scriveva:
"Il governo fascista ha aperto la grande battuta anticomunista
da tempo preannunciata. Nello spazio di una settimana la polizia
ha arrestato oltre 5000 compagni fra i quali tutti i segretari
delle nostre federazioni, tutti gli organizzatori sindacali comunisti,
tutti i nostri consiglieri comunali e provinciali. Inoltre, essa
è riuscita ad impadronirsi di tutti i nostri fondi dando
un colpo forse mortale alla nostra stampa". (Spriano, pag.
260)
Il 5 novembre 1926 il consiglio dei ministri varò le leggi
speciali imposte dalla dittatura fascista che decretarono lo scioglimento
delle organizzazioni antifasciste e il 25 novembre fu istituito
il cosiddetto tribunale speciale per la difesa dello Stato, costituito
da miliziani e non da magistrati, che condannò un totale
di 4.671 antifascisti, dei quali 4.030 erano comunisti. (Spriano, pag.
513)
Nel corso del ventennio fascista i membri del P.C.d'I. furono
continuamente arrestati, confinati, perseguitati in ogni modo,
e in molti casi assassinati. Durante l'occupazione nazista dell'Italia
il Partito fu il più attivo nella lotta contro l'oppressore
nazifascista, diede un contributo di morti, feriti, torturati
e incarcerati particolarmente rilevante e fu il più attivo
e capillare nello spingere
la popolazione a ribellarsi. Trenta delle 335 vittime del massacro
delle Fosse Ardeatine appartenevano
al Partito Comunista Italiano.
Nel secondo dopoguerra il PCI si organizzò come partito
di massa (nel 1948 superò i due milioni di iscritti), partecipò
con successo alle elezioni e fu parte
determinante dell'Assemblea costituente e dei primi governi della
Repubblica, finchè nel 1947 il leader della Democrazia
cristiana Alcide De Gasperi, di ritorno da un viaggio negli USA,
non decretò la fine della collaborazione di governo con
il PCI.
Negli anni successivi il PCI si mise in evidenza come il più
grande partito comunista dell'Europa occidentale, sempre rimanendo
all'opposizione, ma risultando determinante nella tenuta democratica
del Paese contro le aggressioni del terrorismo fascista e di quello
delle Brigate rosse e degli altri gruppi "comunisti".
Al termine del 20° Congresso, tenuto a Rimini dal 31 gennaio
al 3 febbraio 1991, il PCI fu sciolto e fu fondato il Partito
Democratico della Sinistra.
I segretari
generali del Partito
Il primo segretario (in realtà leader di fatto) fu Amadeo Bordiga (dal 1921 al 1923), quindi
Antonio Gramsci (da agosto 1924 all'8
novembre 1926), Palmiro Togliatti
(dal novembre 1926 al gennaio 1934), Ruggero
Grieco (dal 1934 al 1938), Giuseppe
Berti (aprile 1938), di nuovo Palmiro
Togliatti (dal maggio 1938 al 21 agosto 1964), Luigi
Longo (dal 22 agosto 1964 al 16 marzo 1972), Enrico
Berlinguer (dal 17 marzo 1972 al 11 giugno 1984), Alessandro
Natta (dal 26 giugno 1984 al 10 giugno 1988), Achille
Occhetto (dal 21 giugno 1988 al 3 febbraio 1991).
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BIBLIOGRAFIA:
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AMENDOLA Eva Paola (2006) Storia fotografica del Partito Comunista
Italiano. II edizione. Editori Riuniti, Roma.
- CATALANO Franco (1965) Storia dei partiti politici italiani.
ERI Edizioni Rai, Torino.
- SPRIANO Paolo (1967) Storia del Partito Comunista Italiano.
1. Da Bordiga a Gramsci, Giulio Einaudi editore, Torino.
SITI CONSULTATI:
-
http://www.resistenzatoscana.org/monumenti/livorno/lapide_della_fondazione_del_partito_comunista/
- Fondazione Gramsci - immagini del novecento dall'archivio fotografico
del PCI https://immaginidelnovecento.fondazionegramsci.org/
- Senato della Repubblica - Biblioteca digitalizzata - Avanti!
http://avanti.senato.it/avanti/controller.php?page=archivio-pubblicazione
- Raccolta digitale di periodici della Biblioteca Nazionale Centrale
di Roma (Il Messaggero, Il Giornale d'Italia)