L'operaio anarchico Costantino Quaglieri, morì il 12 febbraio 1895, tre giorni prima del suo ventiduesimo compleanno mentre era detenuto nelle carceri romane di Regina Coeli. Secondo la versione ufficiale della questura il giovane morì per "volontario strangolamento", ma da subito molti sospettarono un omicidio da parte della polizia.
Vita privata
Costantino era nato il 15 febbraio 1873 ad Arpino,
all'epoca nella provincia di Terra di Lavoro, (detta anche di
Caserta), oggi in provincia di Frosinone, figlio di Domenico e
di Vincenza Loreta Vallucci. Non militava in alcun gruppo politico
e, oltre a lavorare come operaio, era studente dell'Istituto
di Belle Arti (l'attuale Accademia di Belle Arti di Roma),
dove era regolarmente premiato a fine anno scolastico.
Le proteste
di fine '800
Alla fine dell'ottocento le classi subalterne soffrivano un forte
disagio per la disoccupazione, il rincaro dei prezzi e l'aumento
delle tasse. I socialisti, gli anarchici e i repubblicani organizzarono
manifestazioni di protesta in tutta Italia, duramente represse.
Nel 1882 Andrea Costa fu il primo
socialista ad essere eletto alla Camera dei Deputati, nel 1892
nacque il Partito Socialista Italiano e nel 1895 il Partito Repubblicano
Italiano.
Le bombe
del 1893
Nei primi mesi del 1893 nel centro di Roma si verificarono oltre
una dozzina di attentati con esplosivi, tra i quali uno nella
notte tra il 13 e il 14 febbraio, davanti al villino del senatore
della destra Corrado Tommasi Crudeli,
in via Balbo (vedi notizia su Il
Messaggero e su L'Osservatore
romano), e un altro il 20 febbraio davanti a casa del deputato
socialista Enrico Ferri in via
Cavour, 57 (vedi notizia su Il
Messaggero). Dopo qualche giorno, il 23 febbraio, la polizia
arrestò sette anarchici: Umberto Pagliai, Emilio Pocorni,
Michele Pulcini, Cesare Bensi, Domenico Fedeli, Raul Santiangeli
e Gualtiero De Angelis (vedi notizia su L'Osservatore
romano). I sette erano accusati di otto esplosioni avvenute
a partire del 22 gennaio. In seguito furono arrestati Carlo Celli,
Temistocle Monticelli, Giovanni Forbicini, Umberto Mancini, Alceo
Latini, Giuseppe Innocenzi, Tito Lubrano, Giacomo Moretti, Ernesto
Emiliani, Luigi Zecchini, Casimiro Chiocchini, Edoardo Orazi,
Giuseppe Del Bravo, Filippo Troia, Vincenzo Vittorio Orazi, Adriano
Vincenzoni ed Emilio Paolini.
Il processo
di Palermo
A partire dalla fine del 1893, le durissime condizioni di vita
delle classi subalterne della Sicilia generarono i moti dei Fasci
dei lavoratori, animati da braccianti, zolfatari, operai e minatori,
di ispirazione socialista, e repressi nel sangue dal governo del
siciliano Francesco Crispi. Dopo la repressione
fu inscenato un processo contro i capi della rivolta, iniziato
il 7 aprile 1894 davanti alla prima sezione del tribunale militare
di guerra di Palermo in via del
Parlamento, 32 (vedi la lapide).
La sentenza, pronunciata il 30 maggio 1894, condannò
il deputato socialista catanese Giuseppe
de Felice Giuffrida a 18 anni di carcere per cospirazione
contro i poteri dello Stato ed eccitamento alla guerra civile.
Rosario Garibaldi Bosco,
Nicola Barbato e Bernardino
Verro furono condannati a 12 anni, Giacomo
Montalto a 10 anni e altri tre imputati a pene fra i 2 e i
5 anni.
Le durissime condanne suscitarono manifestazioni di solidarietà
e protesta in tutta Italia. Furono anche compiuti numerosi attentati
dinamitardi, che scatenarono ulteriori arresti, che in assenza
di reali indizi di colpevolezza, colpivano persone già
note alla questura, come anarchici, socialisti e repubblicani.
Il governo Crispi introdusse dure misure repressive per contrastare
l'ondata di proteste popolari, tra le quali il domicilio coatto,
istituito con la legge n. 316 del 19 luglio 1894, imposto ai soggetti
"ritenuti pericolosi alla sicurezza pubblica",
che costringeva i condannati a soggiornare fino a tre anni in
luoghi lontani dalla loro residenza e spesso remoti, ad esempio
le isole di Lipari o di Ponza, senza disporre di mezzi di sussistenza.
Questi luoghi erano detti dalla stampa rivoluzionaria "le Cajenne d'Italia" con riferimento
alla colonia penale in cui dal 1895 fu relegato, tra gli altri,
Alfred Dreyfus.
L'assegnazione al domicilio coatto era decisa da una commissione
provinciale che per "gravi ragioni di pubblica sicurezza"
poteva anche deliberare l'arresto preventivo della persona proposta
per la misura restrittiva.
Le bombe
del 1894
La notte del 31 maggio 1894 due bombe scoppiarono al Ministero
della guerra (oggi della difesa) in via Firenze, all'angolo
con via XX settembre, e al Ministero di grazia e giustizia, allora
nel palazzo Odescalchi all'angolo
tra il vicolo del Divino Amore e piazza Borghese, nei pressi di
Montecitorio, senza provocare danni alle persone e causando modesti
danni materiali (vedi notizia su L'Osservatore
romano). Per questi attentati le indagini erano condotte dal
delegato Poli, famigerato capo della squadra politica della Questura,
diretta dal commendator Siro Sironi. Il 1° giugno la polizia
perquisì, senza esito, le case di Giovanni Forbicini, Giovanni
Del Bravo, Umberto Faina, Costantino Quaglieri e Geniberto Ammiraglia,
ma poi li arrestò, adducendo responsabilità per
fatti precedenti (vedi Il
Messaggero del 2 giugno 1894). Il giornale fa riferimento
a una sollecitazione del principe Odescalchi, il cui palazzo era
stato oggetto di uno degli attentati: in effetti il deputato e
principe Baldassarre Odescalchi
era intervenuto il 31 maggio alla Camera dei Deputati per lamentare
che la polizia non aveva ottenuto risultati nelle indagini sulle
bombe, chiamando in causa il presidente del Consiglio e Ministro
degli Interni Francesco Crispi.
Il Messaggero
del 3 giugno 1894 riferisce della visita in redazione di molti
alunni della scuola preparatoria ornamentale per protestare contro
l'arresto del loro compagno Costantino Quaglieri, facendosi garanti
della sua condotta ed escludendo una sua partecipazione agli attentati.
Lo stesso giornale riferiva di un ulteriore arresto per le bombe,
del facchino Vincenzo Orazi, e della persecuzione ai danni di
un altro indagato, l'oste Romolo Jacobini, detto "Romoletto",
al quale la Questura aveva imposto la chiusura dell'osteria, mettendo
in gravi difficoltà economiche la famiglia.
La morte
a Regina Coeli
La vicenda che porto Quaglieri alla morte ebbe inizio quando il
suo amico e compagno di lavoro Giovanni
Forbicini (1874-1955), leader anarchico di origine
romagnola lo chiamò come testimone a discarico, essendo
indagato per lo scoppio delle due bombe del febbraio 1893 a casa
Tommasi Crudeli e a casa Ferri. Forbicini era stato deferito alla
commissione provinciale per il domicilio coatto, dalla quale fu
prosciolto alla fine del procedimento, come lo stesso Quaglieri.
Dopo sei mesi di detenzione, il famigerato "libro nero"
della Questura diede laconicamente la notizia della morte di Costantino.
Secondo la versione ufficiale Quaglieri tra le 11:00 e le 12:00
del 12 febbraio 1895 era stato trovato impiccato alle sbarre della
finestra della sua cella, la numero 4 del corpo intermedio di
Regina Coeli, con un asciugamano unito ad un fazzoletto. Soccorso
ed adagiato sul tavolaccio, aveva cessato di vivere poco dopo.
La stampa
Il giornale "Per la libertà"
del 14 febbraio 1895, narrando la storia di Costantino Quaglieri
diede credito alla tesi del suicidio con un asciugamano, in quanto
"impressionato dal deperimento fisico e dall'abbattimento
morale" constatato anche da sua madre nelle visite che
gli faceva in carcere. Il giornale comunque faceva risalire la
colpa del suicidio alle angherie subite in carcere e concludeva
la breve notizia scrivendo: "Al Regio delegato Poli, assassino
dei più volgari, la imprecazione di tutti gli onesti".
Anche il giornale del Vaticano L'Osservatore
Romano diede la notizia in breve, attribuendo la morte
a suicidio, intervenuto per motivi sconosciuti, mentre il quotidiano
romano Il Messaggero
diede la notizia della morte titolando "L'impiccato
a Regina Coeli - Una vittima della polizia". Il giornale
riferiva di voci che giustificavano invece la tesi di un omicidio
da parte della polizia, come indicato nel titolo, e prometteva
un approfondimento dei fatti.
Avanti!
Poco più di due anni dopo, il 20 maggio 1897, il quotidiano
socialista Avanti! riprese il caso, che non aveva potuto
trattare all'epoca, dato che il primo numero della testata era
uscito il 25 dicembre 1896. Con un trafiletto
il giornale metteva in forte dubbio l'ipotesi del suicidio, in
concomitanza con le polemiche e le inchieste sulla morte del falegname
socialista di Jesi Romeo Frezzi (vedi
la mia pagina su di lui) ucciso
dai poliziotti nel carcere romano di San
Michele a Ripa. L'Avanti! spiegava che la madre di
Quaglieri aveva fatto per due giorni la spola tra le carceri e
la camera mortuaria per vedere la salma del figlio, ma non le
era stato concesso, non le avevano comunicato se era stata eseguita
l'autopsia né da chi, né tantomeno il suo esito.
Inoltre, secondo la questura, Quaglieri aveva scritto con il sangue
sul muro della sua cella la frase "Mi ammazzo, addio!",
ma a sua madre non era stato nemmeno permesso di vedere la scritta.
Secondo il quotidiano il motivo dell'omicidio era la vendetta
del delegato Poli contro Quaglieri, per aver difeso Giovanni Forbicini,
fornendo un alibi credibile, vista la serietà dello
stesso Quaglieri. Comunque, poco dopo la morte del giovane, Poli
era stato trasferito (Avanti!,
20 maggio 1897, pag. 3).
Dopo quattro giorni l'Avanti! pubblicò un nuovo
richiamo alla vicenda
Quaglieri, con maggiori particolari, ribadendo i dubbi sul presunto
suicidio, e confermando la tesi della vendetta (Avanti!, 24 maggio 1897, pag.
2).
Suicidio
improbabile
Secondo il Messaggero del 13 febbraio, il giorno precedente
la morte Quaglieri aveva incontrato la madre e le sorelle Francesca
e Cecilia, alle quali era apparso sereno e senza dare alcun indizio
di abbattimento che potesse portarlo a togliersi la vita. Costantino
diceva alla madre che "quando sarebbe stato rilasciato,
avrebbe voluto a furia di baci e carezze cancellare il solco di
lacrime creato dal suo arresto". Oltretutto Costantino
aveva coscienza del fatto che la sua famiglia aveva necessità
del suo aiuto materiale e non l'avrebbe privata del suo sostegno.
I fratelli
di Costantino
Nel registro del carcere romano, di Regina Coeli al numero 10648
risulta in ingresso il 14 settembre 1894 alle 6:20 un fratello
di Costantino, Ettore Quaglieri, nato ad Arpino nel 1879, e pertanto
quindicenne, abitante a Roma in viale Margherita, 20, di professione
chiavaro, non possidente e di religione cattolica, arrestato il
giorno prima per violazione degli articoli 258 e 263 del Codice
penale. L'art. 258 puniva chi spendeva o metteva comunque in circolazione
monete false. L'art. 263 equiparava alla moneta le carte di pubblico
credito, in particolare quelle aventi corso legale come moneta,
le cedole al portatore che costituivano titoli negoziabili e tutte
le altre aventi corso legale o commerciale emesse da istituti
autorizzati all'emissione. Ettore risulta condannato a quattro
mesi e venti giorni di reclusione in data 17 maggio 1893, compreso
il periodo scontato dal 21 aprile al 21 maggio 1893, e consegnato
ai Carabinieri il 14 ottobre 1894 per scontare il resto della
pena nel carcere di Frascati. La mitezza della pena fa pensare
che Ettore avesse ricevuto in buona fede le monete false (pena
fino a sei mesi secondo l'art. 258) e non in modo doloso (pena
da 1 a 7 anni o da 3 a 10 anni in casi più gravi).
Un'altra scheda del registro, senza numero, riguarda lo stesso
Ettore, con stessa data di arresto del 13 settembre e stessa data
di ingresso in carcere, ma alle 20:00 anziché alle 6:20,
con domicilio sempre in viale Margherita, ma al civico 300 anziché
al 20, e con imputazione "spendita biglietti falsi"
anziché con l'indicazione degli articoli del codice penale.
Un altro fratello di Costantino che compare nei registri del carcere
di Regina Coeli è Cicerone, nato nel 1880, abitante in
viale Margherita 306, di professione pittore (a Roma con questo
termine si intende anche un imbianchino edile), che il 2 dicembre
1894 venne arrestato, all'età quindi di quattordici anni,
per furto e due giorni dopo entrò a Regina Coeli. Il ragazzo
venne messo in libertà il 12 dicembre dello stesso anno
per non luogo a procedere, su ordine della Regia Procura.
Similitudini
Costantino Quaglieri morì mentre era sotto la custodia
delle forze dell'ordine, come accadde due anni dopo a Romeo Frezzi,
nel 1901 al regicida anarchico Gaetano
Bresci (vedi la mia pagina su
di lui), nel 1903 al marinaio siciliano Giacomo
D'Angelo (vedi la mia pagina
su di lui), nel 1930 al giovane comunista calabrese Rocco
Pugliese (vedi la mia pagina
su di lui), e al ferroviere anarchico Giuseppe
Pinelli, gettato da una finestra della questura di Milano
il 16 dicembre 1969.
Sul caso di Costantino Quaglieri, a quanto sembra, non si aprì
nessuna inchiesta, nessun poliziotto fu indagato, anzi, non furono
neanche pubblicati i nomi delle guardie coinvolte, e solo il delegato
Poli fu trasferito.
Memoria
Costantino Quaglieri fu sepolto il 13 febbraio al "nuovo
reparto" del cimitero romano di Campo
Verano a Roma, con una cerimonia alla quale le autorità
ammisero solo i familiari. Il giornale anarchico "Combattiamo!"
del 25 febbraio 1900 diede conto di una conferenza privata di
commemorazione di Costantino Quaglieri, tenutasi l'11 febbraio,
nell'anniversario della morte, ma che dal breve resoconto sembra
essere srata centrata soprattutto su polemiche tra anarchici e
socialisti. Durante la conferenza parlò l'avvocato Francesco Saverio Merlino, che sei mesi
dopo, il 29 agosto 1900, difenderà Gaetano Bresci nel processo
per il regicidio di Umberto I.
Sul giornale socialista-anarchico LAgitazione
del 7 febbraio 1902 si riporta un necrologio in memoria del suicidio
di Costantino, mentre sullo stesso
giornale del 19 dicembre 1902 Titus (Tito Lubrano) lo ricordò
come suicida a Regina Coeli.
Dieci anni dopo la morte, il 3 febbraio 1905, il gruppo Germinal,
in accordo con la famiglia Quaglieri, lanciò
una sottoscrizione per riesumare e cremare il corpo di Costantino.
Fu anche formato un comitato
per le onoranze. La federazione socialista-anarchica del Lazio
indisse una
manifestazione per il trasporto delle ceneri al cinerario
comunale, anche per celebrare delle esequie più partecipate,
rispetto a quelle del 1895. Nel comunicato della federazione si
chiedevano anche chiarimenti sulle reali modalità della
morte di Costantino. Il 19 febbraio 1905 un corteo
non autorizzato si mosse da Porta Tiburtina al Verano dove
il corpo fu cremato e l'urna con le ceneri, recante il numero
1137, fu trasportata
dai suoi compagni al cinerario comunale, situato all'interno del
cimitero stesso, dove tennero discorsi Michele Pulcini per i socialisti,
Pietro Gibertoni per i repubblicani e Giovanni Forbicini per gli
anarchici. La madre di Costantino era presente e ringraziò
con commozione i partecipanti.
A Costantino fu intitolato
un gruppo socialista-anarchico dei rioni Borgo-Prati, che secondo
una relazione della Prefettura esisteva già nel marzo 1906.
Il gruppo "Costantino Quaglieri" presentò
al Congresso Anarchico Italiano di Roma del 16-20 giugno 1907
la mozione Gli anarchici e il movimento antimilitarista,
e pubblicò un articolo con lo stesso titolo sul giornale
"Il pensiero" del 1° luglio 1907. Il gruppo,
il 17 febbraio 1907 nel 307° anniversario dell'uccisione di
Giordano Bruno, curò la
pubblicazione del numero unico
"Per Giordano Bruno : la parola dei liberi" (link).
Inoltre il gruppo partecipò alle proteste contro la visita
dello zar Nicola II in Italia, e insieme
ad altri sottoscrisse il documento Contro la venuta dello
zar. L'imperatore, visto il forte rischio di disordini
a causa delle proteste dei cittadini romani, fu costretto a rinunciare
alla visita nella capitale, e arrivò in
treno dalla Francia, accolto dal re Vittorio
Emanuele III. I due sovrani il 23 ottobre 1909 raggiunsero
insieme il castello di Racconigi
presso Torino, dove firmarono un trattato bilaterale.
BIBLIOGRAFIA:
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- Archivio di Stato di Roma - succursale di via Galla Placidia
- Fondo "Carceri giudiziarie romane (1870-1929)". BP54
e BP57.
BADON Cristina (2018) Gli anarchici romani nella crisi di fine
XIX secolo: una storia da riscoprire. Storia e Futuro, Numero
48, dicembre 2018. link
BISCIONE
Francesco Maria (1987) De Felice Giuffrida, Giuseppe. Dizionario
Biografico degli Italiani - Volume 33. link
CODICE PENALE per il Regno d'Italia. Stamperia Reale, Roma,
1889. Pubblicato a cura dell'Università degli Studi di
Brescia, Facoltà di Giurisprudenza.
DA PASSANO Mario (2005) Il «delitto di Regina Cli».
Diritto e Storia, n.4 - In memoriam - Da Passano link
FORBICINI
Giovanni (1910) Memorie di uno sciagurato. Libreria Editrice
Libertaria, Roma.
GRELLA Pasquale (1987) Appunti per la storia del movimento
anarchico romano dalle origini al 1946. De Vittoria, Roma
LISANTI Francesco (2014) Apologia di Gaetano Bresci. Booktime,
Milano.
MASINI Pier Carlo (1981) Storia degli anarchici italiani nell'epoca
degli attentati. Rizzoli, Milano.
PER LA LIBERTÀ (1895) anno I, n. 6, 14 febbraio 1895, pag.4.
Siti web consultati:
Anarchopaedia
- articolo "Giovanni Forbicini" - link
Wikipedia
- articolo "Giovanni Forbicini" - link
Biblioteca
Libertaria Armando Borghi - link
Giovanni
Forbicini (vida y obra) - link
Il libro
del passato - link
Isole nella
rete - link
Per Giordano
Bruno - Biblioteca Franco Serantini - link
Biblioteca
digitalizzata del Senato della Repubblica (Avanti!) - link
Raccolta
digitale di periodici della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
(Il Messaggero) - pag.
Raccolta digitale di periodici della Biblioteca di Storia Moderna
e Contemporanea di Roma (La Domenica del Corriere)
Raccolta digitale di periodici della Biblioteca della Pontificia
Università Gregoriana (L'Osservatore Romano)
Camera dei Deputati - Atti parlamentari - XVIII Legislatura
- 1a sessione - discussioni - tornata del 31 maggio 1894 -
pag. 9564 link
Archivi consultati:
Archivio
di Stato di Roma - succursale di via Galla Placidia
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma
Biblioteca della Fondazione Lelio e Lisli Basso - Roma (Per
la Libertà)
Biblioteca Centrale Giuridica - Roma
Biblioteca Comunale Guglielmo Marconi - Roma