Il quartiere romano di
Montesacro, e quello adiacente di
Val Melaina, ebbero un ruolo importante nella Resistenza contro
il fascismo, sia per la posizione allora decentrata, sia per la
vicinanza alla Città Universitaria, che era un centro di
mobilitazione contro la dittatura fascista e, dopo l'armistizio,
contro l'occupazione nazista.
Quattordici abitanti di Montesacro e Val Melaina furono assassinati
dai nazifascisti mentre combattevano per la liberazione. Quattro
di loro avevano meno di vent'anni. I loro nomi sono ricordati
in una lapide del 1945 in
via Maiella, all'angolo con corso Sempione, restaurata dopo essere
stata incendiata e gravemente danneggiata da anonimi vigliacchi
nella notte tra il 21 e il 22 ottobre 2004.
Ben sette dei quattordici martiri sono tra le vittime
dell'eccidio delle Fosse Ardeatine
del 24 marzo 1944: Ferdinando
Agnini, Orlando Orlandi Posti, Vito Artale, Aldo Banzi,
Renzo Piasco, Antonio
Pistonesi e Filippo Rocchi. Altri
sei furono fucilati a Forte Bravetta: Riziero
Fantini, Raffaele Riva, Antonio Feurra, Italo
Grimaldi, Giovanni Andreozzi,
Paul Lauffer, mentre il quattordicesimo,
Amilcare Baldoni, è stato probabilmente
fucilato in Sabina, oppure potrebbe essere una delle vittime non
identificate delle Fosse Ardeatine.
A Val Melaina, in via Scarpanto, 31, si trova una lapide
commemorativa dei quattro caduti del quartiere: Riziero Fantini,
Antonio Pistonesi, Renzo Piasco e Filippo Rocchi, posta il 25
aprile 1954. Anche questa lapide è stata danneggiata da
ignoti vigliacchi che nella notte tra il 25 e il 26 aprile 2019
hanno incendiato la corona deposta in occasione dell'anniversario
della Liberazione. La lapide è stata rapidamente ripristinata
in occasione del 1° maggio (vedi la notizia
su la Repubblica.it).
La
Resistenza a Montesacro
Nel 1942, verso la fine della dittatura fascista, che aveva duramente
represso l'opposizione, ci fu a Montesacro una ripresa dell'attività
contro il regime, che vedeva come protagonisti gli antifascisti
storici, spesso provenienti da altre regioni, e rifugiatisi a
Roma per sfuggire alle persecuzioni nelle zone di origine, e molti
degli operai che avevano costruito il quartiere, che abitavano
tra l'altro in case di fortuna all'angolo con via di Pietralata.
Accanto ad essi c'erano i nuovi antifascisti, giovani operai,
liceali e studenti universitari, cresciuti con le lotte studentesche.
La caduta del fascismo, con l'arresto di Mussolini il 25 luglio
1943, fu accolta con gioia a Montesacro, come in tutta Italia,
come testimoniato da Beppe Fenoglio,
che in Primavera di bellezza (1959) descrive la sua esperienza
di militare in servizio nel quartiere, come allievo ufficiale
del 34° Reggimento di Fanteria della Divisione Livorno, di
stanza nella scuola elementare Don
Bosco, tra cittadini che distruggevano
gli emblemi del regime fascista ed inneggiavano ai soldati
in contrapposizione alla milizia fascista ed alla famigerata PAI,
la Polizia dell'Africa Italiana. Nell'assalto al gruppo rionale
di Montesacro e alla sottosezione di Val Melaina del partito fascista,
furono bruciate le bandiere e distrutti documenti. A Val Melaina
furono alzate due bandiere rosse sul portone principale del caseggiato.
L'arresto di Mussolini diede nuovo impulso alla lotta antifascista
e si distinsero tra gli altri gli universitari, molti dei quali
studenti in medicina ed ex studenti del Liceo Ginnasio Orazio,
tra di essi Ferdinando Agnini, Gianni Corbi
(che nel 1968 diventerà direttore de "L'Espresso"),
Nicola Rainelli e Orlando Orlandi Posti, iscritti al Partito d'Azione,
Franco Caccamo, Giorgio Lauchard, Girolamo Congedo, Mario Perugini,
Lino Papio e Luciano Celli, uniti da legami d'amicizia anche prima
di dedicarsi alla lotta politica. I più giovani di questi
ragazzi, avevano formato una comitiva che frequentava il "bell'orizzonte",
una spiaggetta sul fiume Aniene, vicino al Ponte
Vecchio, (link alla mia
pagina sul ponte) mettendo anche in piedi una squadra di nuotatori
chiamata I caimani del bellorizzonte".
Ferdinando Agnini, con 29 membri dello stesso gruppo, quasi tutti
di Montesacro, il 31 ottobre 1943 fondò l'ARSI (Associazione
rivoluzionaria studentesca italiana), che dal 18 novembre 1943
pubblicò il giornale "La
Nostra Lotta", probabilmente il primo foglio clandestino
studentesco stampato in Italia. Il gruppo, con volantinaggi e
azioni di commando, riuscì a interrompere i corsi e gli
esami delle facoltà di medicina, scienze, legge, lettere,
architettura e ingegneria.
Dopo l'armistizio dell'8
settembre 1943, i romani si opposero all'ingresso in città
delle truppe naziste ingaggiando il 10 settembre la battaglia
di Porta S. Paolo. Tra di
essi molti abitanti di Montesacro e Val Melaina, come Orlando
Orlandi Posti, Renzo Piasco, Riziero Fantini, Giuseppe Gnasso,
Corrado Fulli, Alvaro Vannucci, Mario Gambignani e Dario Funaro,
di 13 anni, che un mese dopo fu deportato ed ucciso ad Auschwitz.
Alla battaglia presero parte Sandro Pertini,
Bruno Buozzi, Carla
Capponi, Adriano Ossicini, Vasco Pratolini, Aldo
Natoli, Giaime Pintor e tanti altri. Nell'occasione
gli studenti antifascisti romani, organizzati nell'OLU (Organizzazione
Liberi Universitari), attaccarono la casermetta della Milizia
universitaria e si impadronirono di una notevole quantità
di armi (500 moschetti e diverse casse di bombe a mano), che distribuirono
ai combattenti al Viminale, alla popolazione di San Lorenzo ed
alle squadre partigiane di Montesacro. Altre armi furono lasciate
sul posto per l'impossibilità di trovare mezzi di trasporto.
Nel pomeriggio del 10, dopo la resa dei militari
resistenti, proseguirono i combattimenti dei civili, tra l'altro
ai Prati Fiscali, nei pressi di Montesacro, per cercare di bloccare
la via Salaria, con, tra gli altri, Orlando Orlandi Pasti, Antonio
Pastonesi, Nicola Rainelli, Franco Caccamo, Luciano Celli ed Ennio
Petrignani. Dopo due ore di fuoco i partigiani di Montesacro finirono
le munizioni e dovettero ripiegare. Nello scontro restarono probabilmente
uccisi tre soldati tedeschi.
Il 16 ottobre avvenne
la razzia al Ghetto di Roma:
1014 ebrei furono catturati e deportati nei lager nazisti, dai
quali solo sedici tornarono. In effetti il 57% delle vittime della
razzia furono catturate fuori dal Ghetto, anche a Montesacro,
dove furono prese otto persone, appartenenti a quattro famiglie
(Spizzichino), tra le quali Funaro, Di Veroli
e Cacaurri. Il tredicenne Dario Funaro, sopra menzionato come
partecipante alla battaglia di Porta
San Paolo, passò per piazza Sempione mentre i nazisti
caricavano la sua famiglia su
un camion e, cercando di intervenire, fu a sua volta catturato.
Dario. il fratello Adolfo di sette anni, il padre Leo, la madre
Teresa Di Castro, gli zii Ada, Ettore e Giuditta Funaro e la nonna
Perla Cava furono deportati ed uccisi nel campo di sterminio di
Auschwitz.
Mercoledì 16 gennaio 2019, alle ore 10, davanti alla casa dei Funaro, in via Maiella,
15, sono state posate quattro pietre
d'inciampo per ricordare i quattro membri della famiglia che
vi abitavano, con la partecipazione di insegnanti e studenti del
Liceo Classico-Linguistico Aristofane, che hanno contribuito in
modo rilevante a mantenere la memoria su questa famiglia travolta
dalla Shoah.
Durante l'occupazione nazista, come in altre zone di Roma, i partigiani
di Montesacro attaccarono i convogli nazisti, bloccati forandone
i pneumatici con i chiodi a quattro punte,
fabbricati da Cesare, un fabbro presso il ponte Nomentano. Le
numerose azioni di sabotaggio contro i nazisti si svolsero sulla
Nomentana (tra l'altro al campo dux, sede dei nazisti e della
PAI, situato tra Montesacro, Settebagni e Castel Giubileo), ai
Prati Fiscali, a San Basilio ed a Pietralata. Sulla via Salaria
il 19 ottobre fu ucciso un motociclista tedesco e auto di ufficiali
tedeschi furono attaccate a colpi di mitra. I partigiani coprirono
con le armi gli assalti delle donne ai forni che approvvigionavano
di pane gli occupanti nazisti.
Il 22 ottobre un gruppo di partigiani del Movimento
Comunista d'Italia - Bandiera Rossa (movimento dissidente
dal PCI), attaccarono il Forte Tiburtino per catturare armi, vestiario
e viveri abbandonati dall'Esercito italiano. Le SS di guardia
reagirono e ne nacque uno scontro a fuoco, con diverse vittime,
finché 19 partigiani furono catturati, e processati dai
nazisti nella villa della tenuta Talenti. Dieci di loro furono
condannati a morte e fucilati
a Ponte Mammolo, i loro nomi sono: Orlando Accomasso, Lorenzo
Ciocci, Mario De Marchis, Giuseppe Liberati, Angelo Salsa, Marco
Santini, Mario Splendori e Vittorio Zini, del Movimento Comunista
d'Italia, Andrea Chilastri, del gruppo Comunisti cattolici, e
Fausto Iannotti, che passava per caso per via Tiburtina. Gli altri
antifascisti catturati furono deportati il 4 gennaio nel lager
di Mauthausen: Franco Venturelli, Pietro Gismondi, Fausto Iannotti,
Mario Prestinicola, Alfredo Petrucci, Gaetano Nugnes, Guglielmo
Mattiozzi, Antonio Risi, Pietro Mancini, Carlo Maccione, insieme
a Fernando Nuccitelli. Cinque di loro sono morti a Mauthausen.
Il 20 novembre, al tramonto,
Rainelli, Palumbo, Palomba, Petrignani e Celli bloccarono con
i chiodi per tre ore una colonna di 25 autocarri tedeschi, sulla
strada di arroccamento di San Nicola, che univa la via Tiburtina
alla Salaria. A metà dicembre la stessa formazione, con
in più Franco Caccamo, attaccò presso San Basilio
una pattuglia di 20 soldati nazisti.
Il 14 dicembre i partigiani di Montesacro misero a segno un attentato
al console della milizia fascista Nussu, che abitava in via Maiella,
e si vantava di poter lasciare la scorta al di là del ponte
Tazio, e fu invece raggiunto da sei proiettili. Tra le altre azioni
ci fu il ripetuto taglio del cavo telefonico che univa i comandi
nazisti di Monterotondo e di Frascati, essenziale per i collegamenti
con il fronte. Al sabotaggio lavorò, tra gli altri, il
quindicenne Alvaro Vannucci, che si occupò anche del rifornimento
di armi presso un deposito abbandonato dell'esercito italiano
di fronte a Casal de' Pazzi.
Altre azioni furono i volantinaggi, comunque rischiosi e sostenuti
da compagni armati, tra cui quello al cinema Rex di corso Trieste,
che vide la reazione di militanti fascisti; un'ulteriore attività
fu quella di mettere in salvo i prigionieri di guerra alleati,
fuggiti dai campi di prigionia nazifascisti. Anche ragazzi molto
giovani intrapresero azioni di sabotaggio, minori, ma comunque
rischiose, come quella di spostare i cartelli indicatori posti
dai tedeschi per i propri automezzi.
Le armi, nascoste nel villino della famiglia Rainelli in via Monte
Argentario, 8, provenivano soprattutto dalla caserma dell'8°
Genio della Batteria Nomentana, ormai abbandonata. Per trasportare
le armi a Montesacro i Caimani attraversavano il fiume Aniene
a nuoto in pieno inverno.
Un altro gruppo di resistenti del quartiere era quello formato
da uomini del PCI clandestino, con Giorgio Onofri, Riziero Fantini,
Mario Menichetti, muratore di Trastevere trasferitosi da poco
a Val Melaina, già condannato dal fascismo a 4 anni di
confino ad Ustica nel 1925, e Vittorio
Mallozzi, combattente e ferito nelle Brigate internazionali,
nella guerra civile spagnola.
I giovani antifascisti di Montesacro si riunivano presso il villino
Rainelli: la famiglia si era spostata nel sud liberato, seguendo
il padre, funzionario del Ministero dei Trasporti, mentre il giovane
Nicola, ventiduenne, era rimasto a Roma con la sorella Lina ed
usava il villino di famiglia come base per il gruppo di giovani
resistenti, tra i quali Ferdinando Agnini, Orlando Orlandi Posti,
Antonio Pistonesi, Renzo Piasco, Paul Lauffer, Franco e Sara Caccamo,
Amorina Lombardi, Luciano Celli, Roberto Croce e molti altri.
Domenica 27 ottobre 1943 ci fu il primo rastrellamento a Roma
per catturare i renitenti alla leva repubblichina, da avviare
al lavoro forzato in Germania: oltre mille uomini di Montesacro,
Tufello, Val Melaina e Pietralata furono presi e fatti camminare
per 6 chilometri verso Mentana fino a Casal Coazzo, nella zona
di San Cleto, poi 346 di loro furono inviati al lavoro forzato.
I tedeschi avevano installato un proprio comando nella scuola
Don Bosco, e in un villino di via Nomentana, all'altezza di via
Levanna, già deposito del vicino "Campo dux",
crearono un luogo di detenzione temporaneo per gli antifascisti
arrestati, che venivano in seguito trasferiti altrove.
La notizia delle repressioni già avvenute nelle università
di Oslo e Praga, convinse gli studenti antifascisti della necessità
di fare fronte comune, per proteggere i resistenti dalle persecuzioni
nazi-fasciste. Di conseguenza il pomeriggio del 2 gennaio del
1944, in una casa in via Flavia, 112,
studenti delle facoltà di Ingegneria, Giurisprudenza e
Statistica, insieme a diversi docenti, diedero vita al CSA, il
Comitato Studentesco di Agitazione, diretto dal giovane comunista
Maurizio Ferrara, che sarà
responsabile del Comitato tecnico, con Gianni Corbi e Ferdinando
Agnini (ARSI), Dario Puccini e Carlo Lizzani
(PCI), Paolo Moruzzi e Carlo Franzinetti (Movimento Cattolici
Comunisti), Giorgio Lauchard e Giorgio Conforto (PSIUP), Matteo
Cirenei, Pier Luigi Sagona e Luigi Silvestri (P dA) e da
alcuni cristiano-sociali. La prima azione dell'ARSI fu la protesta
all'inaugurazione dell'anno accademico, alla presenza delle autorità
fasciste e naziste: gli studenti nell'aula magna cantarono la
Marsigliese. Il CSA organizzò per il 29 gennaio uno sciopero
degli studenti dell'università di Roma, contro la circolare
del Rettore e del Ministero per la Difesa Nazionale del novembre
1943, che escludeva dagli esami gli studenti che non rispondevano
alla chiamata alle armi dei repubblichini fascisti.
Il 29 gennaio, giorno dello sciopero, a San Pietro in Vincoli,
alla facoltà di Ingegneria dell'Università, nel
servizio d'ordine armato c'erano Ferdinando Agnini e Orlando Orlandi
Posti, che imposero con le armi ai finanzieri di guardia di aprire
i cancelli, che erano stati sbarrati, e tagliarono i fili del
telefono. All'arrivo della polizia 600 dimostranti riuscirono
a fuggire, rifugiandosi a Colle Oppio, ma alcuni degli studenti
che si erano messi in salvo furono comunque individuati dalla
polizia e dalle spie fasciste. Un folto gruppo di studenti del
liceo Dante Alighieri, guidati da Carlo Lizzani, Massimo Gizzio
e Vincenzo Lapiccirella , diedero vita ad una manifestazione in
piazza della Libertà. Una squadraccia fascista sparò
sugli studenti, colpendo il diciottenne Massimo
Gizzio, che morì, dopo tre giorni di agonia, allOspedale
Santo Spirito. Dal 1949 una lapide
lo ricorda in via Federico Cesi, dove fu assassinato. Gizzio era
stato condannato l'anno precedente per attività antifascista
dal Tribunale Speciale.
A metà febbraio 1944 l'ARSI confluì nell'Unione
Studenti Italiani, cui aderiscono tutti i partiti antifascisti.
Le motivazioni furono pubblicate il 26 marzo 1944 sul giornale
la Nostra Lotta.
Le
retate di antifascisti a Montesacro e Val Melaina
Le azioni di guerra ed i sabotaggi contro i nazifascisti ne scatenarono
la reazione. I partigiani di Montesacro avevano in progetto attentati
alla ferrovia Roma-Firenze presso la Batteria Nomentana e ad un
deposito di carburante sulla riva sinistra del fiume, ma nello
spazio di due mesi le retate naziste ne falcidiarono le fila e
ne vanificarono i piani. Mancando la collaborazione della popolazione,
che era invece decisamente ostile, la Gestapo riuscì a
compiere molti arresti grazie ad infiltrati, che ricevevano da
2 a 12 mila lire per ogni patriota denunciato. Tra le spie c'erano
Franco Sabelli, Federico Scarpato, chiamato dai nazisti "Fritz",
e Armando Testorio, che nella prigione di via
Tasso era detto "il soldato" perché girava
in divisa. Testorio era l'unico ad abitare in zona, in quanto
infiltrato a Val Melaina dopo il bombardamento di San Lorenzo,
da cui era sfollato. Il livello morale delle spie emerge dalle
numerose testimonianze delle vittime e dei loro cari, che raccontano
di estorsione di denaro in cambio di favori, mai ottenuti, di
percosse gratuite, e di furti negli appartamenti rimasti vuoti
grazie alle chiavi sottratte ai detenuti. Testorio e Sabelli furono
arrestati dopo la liberazione a Tivoli, mentre litigavano per
la spartizione delle taglie sui partigiani denunciati, furono
condannati a morte dal Tribunale militare di Roma e fucilati
dagli inglesi il 26 giugno 1945 a Forte Bravetta. Scarpato era
stato fucilato nello stesso luogo il 26 aprile.
Lo stesso Tribunale militare, nello stesso processo, condannò
un'altra spia, Aristide Balestra, alla pena di vent'anni di detenzione.
Balestra era gestore di una sala da biliardo nella zona di via
Gallia, e denunciò ai nazisti due antifascisti che la frequentavano,
i fratelli Adolfo e Alfredo Sansolini, che furono entrambi portati
a via Tasso, ed in seguito assassinati alle Fosse Ardeatine.
Il 9 dicembre 1943 fu
arrestato Vito Artale, poi la notte del 21 dicembre 1943 iniziò
la prima grande retata a Montesacro e Val Melaina: Italo Grimaldi,
macellaio, aveva affidato a un suo garzone un mitra da consegnare
al compagno Lucci; forse il garzone venne seguito e Lucci fu arrestato.
Fu anche decisiva la spiata di un certo Luigi Guadagni. Quando
il 20 dicembre i fascisti irruppero nella bottega di Grimaldi,
questi cercò invano di distruggere una lista di contributi
versati da ciascun membro della cellula, per sostenere la famiglia
di Lucci. La lista servì all'OVRA (polizia politica fascista)
per la retata del 23 dicembre, di cui furono vittima Riziero Fantini,
con i figli Adolfo e Furio, Raffaele Riva, Filippo Rocchi, Antonio
Feurra, Giovanni Andreozzi e Mario Menichetti, tutti antifascisti
"storici".
Riziero Fantini, Italo Grimaldi e Antonio Feurra, fucilati a Forte Bravetta il 30 dicembre 1943,
furono tra le prime vittime della Resistenza romana. Il quotidiano
"Il Messaggero" del 1° gennaio 1944 riportò
così la notizia: "Tre fucilazioni per atti di violenza
contro le forze armate germaniche (...) La condanna è stata
eseguita ieri". Il 28 dicembre, due giorni prima delle
fucilazioni di Forte Bravetta, nel poligono di tiro di Reggio
Emilia erano stati fucilati i sette fratelli
Cervi, Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio
ed Ettore (vedi la mia pagina
su di loro).
Raffaele Riva e Giovanni Andreozzi furono fucilati, sempre a Forte
Bravetta, il 31 gennaio 1944. insieme ad altri otto compagni,
tra i quali Vittorio Mallozzi, "perché preparavano
atti di sabotaggio contro le forze armate germaniche e capeggiavano
altri attentati contro l'ordine pubblico della città di
Roma".
Dopo le fucilazioni di Forte Bravetta, alcuni dei familiari delle
vittime, Riva, Grimaldi, Fantini e Feurra, con l'aiuto della Resistenza
e di alcuni dipendenti del cimitero del Verano,
riuscirono a penetrare di notte nel cimitero e a riesumare le
salme sepolte anonimamente in fosse comuni, riuscendo a riconoscerli
da documenti o indumenti che avevano addosso. Pochi mesi dopo
i familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine eseguirono, alla
luce del sole, e con l'aiuto di un medico legale, la stessa operazione
di riconoscimento, che vanificò il tentativo dei nazisti
di nascondere il misfatto.
Il 3 febbraio 1944 i nazifascisti eseguirono un'altra retata,
su indicazione dell'infiltrato Armando Testorio, che prese di
mira soprattutto i nuovi antifascisti. Bloccarono gli accessi
al quartiere, ma Orlando Orlandi
Posti in qualche modo si accorse del pericolo e corse per
il quartiere per avvertire, ad uno ad uno, tutti i compagni che
riuscì a raggiungere. Sfuggirono così all'arresto
Ferdinando Agnini in via Monte Tomatico, Franco Caccamo in via
Peralba, Roberto Croce in via delle Alpi Apuane, Emilio Palombo
in viale Carnaro, Luciano Celli in via Montecristo, Ennio Petrignani
in via Monte Bianco, che insieme ad Orlandi Posti riuscì
ad evacuare le armi e le munizioni nascoste.
Nicola Rainelli, Luciano Celli, Franco Caccamo, Aldo e Mario Gaudiano
si rifugiarono nella chiesa degli Angeli
Custodi, dal parroco don Fiorello Piersanti, che li nascose
nella cupola della chiesa, mentre Paul Lauffer, nascosto in casa
Rai Franco Caccamo, Nicola Rainelli, Aldo e Mario Gaudianonelli,
fu picchiato ed arrestato. Amorina Lombardi, nello stesso villino,
scampò all'arresto fingendosi un medico in visita domiciliare.
Orlandi Posti, dopo aver salvato i compagni dalla retata, commise
l'errore di passare a piazza Sempione per salutare la sua amata
Marcella, e fu arrestato, come anche Renzo Piasco, Sara Caccamo
e, il giorno successivo, Antonio Pistonesi. Ferdinando Agnini
fu arrestato venti giorni dopo la retata: credendo che le acque
si fossero calmate, tornò a casa, dove trovò i nazisti
ad aspettarlo.
Dopo la retata il gruppo di partigiani superstiti si divise, proseguendo
la lotta fuori Roma: Rainelli andò a Corchiano, nel viterbese,
gli altri raggiungono il monte Scalambra, sui monti Ernici, al
confine tra le province di Roma e di Frosinone, dove combatterono
fino alla liberazione, che avvenne nei primi di giugno del 1944.
Il 14 aprile a Montesacro i GAP (Gruppi di Azione Patriottica,
legati al PCI), giustiziarono una spia fascista. Il 1° maggio,
per festeggiare la festa dei lavoratori, furono esposte bandiere
rosse in molti punti della città, tra i quali, ad opera
di Riccardo Antonelli, a Val Melaina, che era anche denominata
"Stalingrado". Nello stesso mese, come narrato da Silverio
Corvisieri, i partigiani di Bandiera Rossa sottrassero materiale
sanitario dal deposito nazista di Monte Sacro e componenti della
banda Monte Sacro dello stesso movimento, catturati dai
fascisti della PAI (Polizia dell'Africa Italiana), riuscirono
a liberarsi chiedendo ed ottenendo l'aiuto dei passanti.
Gli ultimi scontri avvennero in piazza Sempione, contro i tedeschi
in fuga, che avevano minato il ponte Tazio, ma non riuscirono
a distruggerlo del tutto. Nei violenti scontri per il ponte rimasero
uccisi due soldati americani.
L'ultima vittima della Resistenza a Roma fu il dodicenne Ugo Forno,
che rimase ucciso il 5 giugno 1944, insieme al ventunenne Francesco
Guidi mentre cercava di impedire ai nazisti di minare il ponte
ferroviario sull'Aniene, presso via Prati Fiscali, a poca distanza
da Val Melaina e Montesacro. I nazisti dovettero desistere dal
sabotaggio, ma uccisero i due ragazzi e ne ferirono gravemente
altri tre. Ugo Forno, decorato con
medaglia d'oro al merito civile alla memoria, è ricordato
dal sito web www.ugoforno.it
e con un belvedere commemorativo, sul luogo della morte (vedi
istruzioni per arrivarci).
Alle vittime della lotta antifascista di Montesacro è stata
intitolata la sezione "X martiri"
del Partito Comunista Italiano del quartiere,
oggi circolo del Partito Democratico Montesacro-Valli-Sacco Pastore,
nella quale si trova una lapide
in loro ricordo.
Il 25 aprile 2015, nel
70° anniversario della liberazione, il Municipio Roma III,
l'Unità Operativa Disabili Adulti IV Distretto, il TUR
(Trekking Urbano Romano), in collaborazione con il Circolo
Culturale Montesacro hanno organizzato un percorso a piedi
che ha toccato i luoghi legati alla Resistenza a Montesacro e
Val Melaina dove sono stati letti brani dal libro: "I
ribelli dell'oltre Aniene" curato da Stefano Prosperi,
Massimo Taborri, Antonio D'Ettorre e Piero De Gennaro del Circolo
Culturale Montesacro. Hanno partecipato all'iniziativa la Banda
di Montesacro Vincenzo Bellini e il Rifugio Casaletto. Hanno aderito
la sezione di Montesacro dell'ANPI, la Asl Roma A e la Regione
Lazio.
Il 20 gennaio 2021 sono state deposte altre due pietre d'inciampo,
dopo quelle per la famiglia Funaro, ricordate in uno dei paragrafi
precedenti. In via Monte Tomatico, 1 è stata deposta una
pietra davanti alla casa di Ferdinando
Agnini, mentre a via Monte Nevoso, 12, è stata posta una
pietra davanti alla casa
di Orlando Orlandi Posti.
Il 21 dicembre 2021 sulla cancellata lato via Maiella dei giardini
pubblici di Corso Sempione (Parco Caio Sicinio Belluto) è
stato affisso un Pannello della
Memoria dedicato alla famiglia Funaro, a Ferdinando Agnini
e a Orlando Orlandi Posti, con una piantina
del quartiere che riporta il sito di casa Funaro (via Maiella,
15) della casa di Agnini (via Monte Tomatico, 1) e della casa
di Orlandi Posti (via Monte Nevoso, 12). Il pannello è
il primo del progetto Fiore del partigiano, iniziato
nel 2017, realizzato da studenti e studentesse del liceo Aristofane,
coordinati dalla professoressa Maria Rosati (link).
L'11 gennaio 2023 sono state deposte due pietre
d'inciampo sul marciapiede davanti all'ingresso del complesso
di case popolari di via di Valle Melaina, 34, dove abitavano Renzo
Piasco e Antonio Pistonesi. Le foto dei due partigiani sono state
anche appese sullo stipite
dell'ingresso e sulla bacheca
dell'androne.
Il 17 marzo 2022 padre Fiorello Piersanti è stato ricordato
con un "Civico Giusto", ossia una piccola targa
con lalbero del carrubo, simbolo dellaccoglienza,
fissata a lato della facciata della chiesa dei SS. Angeli Custodi,
dove nascose diversi studenti resistenti. Lassociazione
culturale senza scopo di lucro Roma
BPA (Roma Best Practices Award Mamma Roma e i suoi
Figli Migliori) ricorda con le targhe "Il Civico Giusto"
le abitazioni di coloro che protessero la vita dei perseguitati
, che sono individuate, segnate e riconosciute attraverso
una targa-simbolo che ne ricorda e celebra il coraggio e labnegazione.
Altre
vittime degli assassini fascisti a Montesacro
Molti anni dopo la fine della guerra i fascisti tornarono ad assassinare
persone a Montesacro.
Il 22 febbraio 1980 tre fascisti armati irruppero nella casa
in via Monte Bianco, 114 di Valerio Verbano,
studente romano di 18 anni, militante di Autonomia operaia. I
tre sequestrarono i genitori di Valerio in una stanza, attesero
che Valerio tornasse da scuola e lo assassinarono con un colpo
di pistola. Sembra difficile pensare che un agguato complesso
fosse solo dovuto a contrasti ideologici. Valerio indagava su
traffici di droga nei quali i fascisti erano coinvolti fino al
collo, ed evidentemente aveva scoperto qualcosa di importante.
Valerio è ricordato da una lapide
sotto la sua casa, che è costantemente meta del ricordo
dei cittadini e da un murale
nel quartiere Tufello, inaugurato il 22 febbraio 2021, nel 41°
anniversario della sua uccisione. Il murale è stato eseguito
dall'artista napoletano Joris sulla facciata in via Monte Cervialto
dell'Istituto professionale di Stato "Federico Cesi"
di via Sarandì, 11 ed è stato finanziato dal Municipio
III e dalla Regione Lazio.
Il 22 febbraio di ogni anno Valerio viene commemorato nel quartiere
di Montesacro, anche nel 2024,
e nel 2006 un viale interno del Parco delle Valli del III Municipio
è stato intitolato a Valerio
Verbano.
Solo quattro mesi dopo, il 23 giugno 1980, e a soli 300 metri
di distanza, due killer fascisti assassinarono il giudice Mario Amato, che aveva indagato con acume
e professionalità sull'eversione fascista, mettendone a
nudo le connivenze con apparati dello Stato e individuandone la
struttura organizzativa. Mario Amato fu ucciso in viale
Jonio, presso l'angolo con via Monte Rocchetta, mentre aspettava
l'autobus 391 per andare a lavorare al Palazzo di giustizia di
piazzale Clodio. La scorta che aveva chiesto, essendo in evidente
pericolo di vita, gli era stata negata con motivazioni futili.
Mario Amato è ricordato da una stele
nel punto in cui fu ucciso.
Ferdinando
Agnini detto "Nando"
(Catania, 24 agosto 1924 - Roma, 24 marzo 1944), (pietra
d'inciampo) figlio di Gaetano e Giuseppina Longo; portava
il nome di suo nonno, partecipante alla rivolta dei Fasci siciliani
(1889-1894), mentre suo padre era un giornalista che aveva rifiutato
di prendere la tessera del partito fascista. Studente del secondo
anno di medicina, subito dopo l'8 settembre 1943 si dedicò
ad organizzare gli studenti universitari e i liceali antifascisti
del quartiere Monte Sacro in "una forza capace di suscitare
nella tradizione culturale italiana, intrisa di scetticismo e
di idealismo, le forze necessarie a un risveglio della coscienza
individuale e collettiva". Il 31 ottobre dello stesso
anno aveva già costituito l'ARSI (Associazione Rivoluzionaria
Studentesca Italiana), che nel febbraio del 1944 sarebbe confluita
nell'Unione Studenti Italiani. Alla testa dell'ARSI si dedicò,
con i suoi compagni, a raccogliere armi ed informazioni utili
alla lotta contro i nazisti. Ferdinando Agnini viene da tutti
descritto come molto attivo, usciva all'alba e tornava dopo il
coprifuoco, per azioni contro i nazifascisti, in collaborazione
con gruppi di patrioti comunisti della V Zona, per tenere i contatti
tra i resistenti, e per la redazione e la stampa del foglio "La
nostra lotta". Era anche un componente della Brigata
Garibaldi.
Sfuggito alla retata del 3 febbraio 1944, grazie all'allarme lanciato
da Orlando Orlandi Posti, l'intera famiglia restò in latitanza,
ma poi tornò a casa, in via Monte Tomatico 1, credendo
che le acque si fossero calmate. Il 24 febbraio le spie Testorio
e Scarpato condussero la polizia a casa Agnini, dove trovarono
la madre e due fratelli, e aspettarono il ritorno di Ferdinando:
la dinamica della scena ricorda un po' l'agguato a Valerio
Verbano, trentasei anni dopo, e nello stesso quartiere di
Montesacro. Catturato Agnini lo picchiarono in casa e poi al commissariato
di Montesacro, dove un poliziotto, Salvatore Morello, si finse
amico e si offrì di portare un biglietto a suo padre. Nella
nota Ferdinando chiedeva di avvertire il suo amico fraterno del
pericolo. Il giorno dopo anche suo padre Gaetano fu arrestato
e portato a via Tasso, dove fu torturato. Nello stesso carcere
fu portato anche Ferdinando, "a disposizione dell'Aussen-Kommando
sotto inchiesta di polizia", dove fu ripetutamente torturato
(dodici volte in quindici giorni) per essere infine assassinato
alle Fosse Ardeatine, dove è sepolto nel sacello
n. 28 del mausoleo.
Dopo la Liberazione, nell'atrio dell'edificio
comunale, che all'epoca ospitava il liceo ginnasio "Quinto
Orazio Flacco", a Monte Sacro, è stata apposta una
lapide che recita: "In
questa Aula - Pur in oscuri tempi di vivere servile - A forti
e liberi sensi - Educò mente e cuore - Ferdinando Agnini
- che alle Fosse Ardeatine il 24.3.1944 - Immolava - Vittima consapevole
- La sua giovinezza all'umanità libera - Professori e studenti
lo vollero qui ricordare". A Ferdinando Agnini sono intitolate
una via del centro di Catania, una via a Roma in Zona Tor de'
Cenci, nel IX municipio e la palestra
comunale di viale Adriatico, a Montesacro, ex collegio per
le vigilatrici della GIL (Gioventù Italiana del Littorio),
che gli è stata dedicata il 24 marzo 1985, nel 41°
anniversario della strage delle Fosse Ardeatine, come ricorda
la lapide affissa all'ingresso
(vedi la scheda
dell'ANPI) (vedi la scheda del sito
del Mausoleo
delle Fosse Ardeatine).
Orlando
Orlandi Posti
detto "Lallo" (Roma, 14 marzo 1926 - 24 marzo 1944),
(pietra d'inciampo) romano,
di famiglia originaria di Piegaro (PG), figlio di Luigi, impiegato,
e di Matilde Servoli. Studiò all'istituto magistrale "Giosué
Carducci", ma nel 1938 la morte del padre, ammalato di cancro,
mise in gravi difficoltà economiche la famiglia e Orlando,
abbandonata la scuola si mise a lavorare come comparsa a Cinecittà.
Animatore dellARSI, insieme a Ferdinando Agnini, che abitava
a pochi passi da lui, partecipò ai combattimenti contro
i nazifascisti a Pietralata e Porta San Paolo con un vecchio moschetto.
Il 3 febbraio 1944, riuscì a salvare i suoi compagni da
una retata nazista nel quartiere, si preoccupò poi di passare
a casa, in via Monte Nevoso 10, per tranquillizzare sua madre
e poi alle 11:30 passò a salutare la ragazza che amava,
Marcella, figlia di Achille Bonelli, proprietario del bar
Bonelli in piazza Sempione (oggi "Tosto", già
"Angolo Russo", già "Zio d'America").
Davanti al bar però trovò ad aspettarlo un gruppo
di fascisti e nazisti che lo catturò e gli impose una lunga
attesa, fino alle 14:00, in macchina davanti al bar, forse nella
speranza di catturare altri antifascisti. Durante l'attesa lo
raggiunge la madre, che invano cerca di parlargli, e poi Marcella,
che riuscì a fargli un cenno. Fu poi portato al carcere
di via Tasso, "a disposizione dell'Aussen-Kommando sotto
inchiesta di polizia", nella cella
numero 5, dove trascorse il suo diciottesimo compleanno. Il
24 marzo venne assassinato alle Fosse Ardeatine, dove è
sepolto nel sacello n. 108
del mausoleo.
Fu insignito della medaglia d'argento al valor militare per aver
sacrificato "la sua nobile vita che aveva votato alla
causa della libertà".
I suoi bigliettini alla madre e a Marcella, scritti da via Tasso
con pezzetti di mine di matita recapitati di nascosto dalla madre
nei colletti delle camicie, e fatti uscire allo stesso modo, sono
stati pubblicati nel 2004 da Donzelli
Editore con il titolo "Roma '44 - le lettere dal carcere
di via Tasso di un martire delle Fosse Ardeatine" a cura
di Loretta Veri e con introduzione di Alessandro Portelli. Nel
2009 Edgarda Ferri ha pubblicato per Mondadori il libro
"Uno dei tanti: Orlando Orlandi Posti ucciso alle Fosse
Ardeatine. Una storia mai raccontata". Il gruppo punk
di Montesacro "Cannatrix" ha pubblicato il racconto a fumetti "Orlando
uno dei tanti - una storia di Montesacro" con disegni
dell'illustratore Stefano Artibani, nato e cresciuto a Montesacro.
(vedi la scheda
dell'ANPI) (vedi la scheda del sito
del Mausoleo
delle Fosse Ardeatine).
Vito
Artale (Palermo,
3 marzo 1882 - Roma, 24 marzo 1944), fu Antonino e di Maria
Anna Amodei, abitava in via della Cisa, 9. Tenente generale del
Servizio tecnico di artiglieria, medaglia d'oro al valor militare
alla memoria. Partecipò come artigliere alla guerra di
Libia (1911-12) ed alla Prima guerra mondiale, con il grado di
capitano, fu poi promosso a maggiore e successivamente fu addetto
militare all'Ambasciata d'Italia a Berlino. Dal 1929 fu vicedirettore
della fabbrica d'armi di
Terni e poi direttore, a Roma, del Laboratorio di vetrerie
ottiche dell'Esercito, che sotto la sua guida divenne il più
importante impianto italiano per la produzione di vetri ottici.
Dopo l'armistizio entrò nella Resistenza, in contatto col
Fronte militare clandestino del colonnello Montezemolo, e organizzò
il sabotaggio negli stabilimenti militari alle sue dipendenze,
sottraendo agli occupanti e ponendo in salvo materiali di inestimabile
valore militare e, quando ciò non risultò possibile,
rendendo le apparecchiature inutilizzabili, per evitare che fossero
portati in Germania. Inoltre si rifiutò di dare ai tedeschi
i nomi e gli indirizzi degli operai dello stabilimento, ai quali
pagava un salario per evitare che fossero costretti a lavorare
per i tedeschi. Artale fu collocato a riposo, ma continuò
la lotta sottraendo macchinari, accessori e strumenti di misura
da una caserma della Cecchignola, controllata dalla polizia tedesca,
e nascondendoli in un deposito preso in affitto. In un altro locale
clandestino nascondeva gli strumenti sottratti dagli stabilimenti
militari di via Marsala. Artale fu arrestato dalla Gestapo il
9 dicembre 1943 a via Marsala, 102, negli stabilimenti militari
che dirigeva, mentre cercava di convincere gli operai assoldati
dai nazi-fascisti a non smontare i macchinari e i forni elettrici
della vetreria, Artale fu rinchiuso a via Tasso e fu spesso torturato,
sebbene gravemente malato, fino all'esecuzione alle Fosse Ardeatine,
dove era sepolto nel sacello n. 64
del mausoleo, prima di essere trasferito in un'altra sepoltura.
(vedi la scheda
dell'ANPI) (vedi la scheda del sito
del Mausoleo
delle Fosse Ardeatine).
Riziero
Fantini (Coppito,
L'Aquila, 6 aprile 1892 - Roma, 30 dicembre 1943), di Adolfo
e di Maria Apollonia Ciotti, era un operaio anarchico, sposato
con Marziana Taggi, e con quattro figli, Adolfo, Furio, Romano,
Polimnia. Di famiglia poverissima, il padre lavorava in una fornace
di mattoni, e di tradizione socialista, frequentò la scuola
elementare fino alla terza, l'ultima classe disponibile nelle
scuole del suo paese. A 15 anni fondò il Circolo del PSI
di Coppito. Nel 1910 sfuggì al servizio di leva obbligatorio
ed emigrò negli Stati Uniti, dove lavorò come terrazziere
e frequentò le scuole serali; aderì al movimento
anarchico, conoscendo Nicola
Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e collaborando con il giornale
degli emigrati italiani "La Scintilla", su cui
si firmava "Jack" in omaggio a Jack
London, che ammirava molto. Con Nicola Sacco ebbe anche uno
scambio di lettere, che furono ritrovate dai figli e pubblicate
nel dopoguerra. Con altri compagni compì un lungo viaggio
a piedi fino in Centro America e poi in Ecuador per diffondere
le idee anarchiche. Tornò nel 1921 negli USA, da dove fu
espulso, e tornò in Italia, spinto dalla notizia delle
insurrezioni successive alla fine della guerra, e si stabilì
nelle Marche, dove costituì un Comitato a favore di Sacco
e Vanzetti, scrivendo anche sul giornale anarchico Umanità
Nova, e per questo fu schedato della polizia. Scrisse
anche articoli su "La Frusta" e "Libero
accordo". All'avvento del fascismo, Fantini si trasferì
a Roma, per sottrarsi più facilmente ai controlli e si
costruì una casetta in via Calimno 7, dietro piazzale Jonio.
A Roma fu anche amico di Errico Malatesta.
Il 5 agosto del 1922 fu arrestato a Montesacro dai Carabinieri
durante una vasta perquisizione alla ricerca di armi e munizioni,
dopo lo sciopero generale del 1° agosto, indetto dall'Alleanza
del Lavoro per protestare contro lo violenze squadriste e cercare
di impedire la presa del potere del fascismo.
Il Corriere della Sera del 6 agosto 1922, in cronaca di
Roma, racconta così la retata: <<In seguito agli
incidenti accaduti durante lo sciopero degli scorsi giorni, l'autorità
di PS, d'accordo con i carabinieri, ha disposto un'accurata perquisizione
nei quartieri della "città giardino Aniene",
dove si annidano numerosi comunisti ed anarchici. Stamane alle
3 ha avuto luogo a Porta Pia il concentramento di 200 carabinieri
armati di moschetti. I miiliti sono saliti sui camion e all'alba
sono penetrati nel centro della città giardino [...] hanno
perquisito minuziosamente le baracche e le casupole dove abitano
gli operai edili. L'operazione di rastrellamento ha portato all'arresto
di 12 pericolosi sovversivi, tra i quali un noto anarchico ed
un bolscevico russo [...] si sono rinvenute rivoltelle, munizioni,
pugnali [...]>> (Gentili, 2009).
Nel 1940 Riziero aderì
al Partito Comunista Italiano di Montesacro-Val Melaina, diventando
responsabile di una Cellula clandestina. Dopo l'armistizio organizzò
la Resistenza con altri operai antifascisti e tenne riunioni in
casa sua. Il 21 dicembre 1943, arrestato dalle SS con due dei
suoi quattro figli (Adolfo e Furio) e con Mario Menichetti, fu
rinchiuso nel terzo braccio di Regina Coeli.
Durante la detenzione del marito e dei figli, Marziana Taggi continuò
a sostenere la Resistenza, portando volantini, armi e bombe nella
borsa della spesa. Marziana comunicava con i familiari detenuti
con bigliettini inseriti nei rigatoni che portava loro in carcere.
Riziero, più volte torturato, e sottoposto a processo sommario,
fu poi fucilato a Forte Bravetta il 30 dicembre 1943 insieme con
i compagni Italo Grimaldi e Antonio Feurra, tutti accusati di
attività antitedesca. Riziero rifiutò i conforti
religiosi, essendo ateo, e il cappellano del carcere consegnò
a Marziana l'orologio Longines del marito, tutto rotto per le
percosse da lui subite in carcere ed un biglietto di addio che
diceva "Cara, l'ultimo mio pensiero è per te. Muoio
col tuo nome sulle labbra e quello dei figli. Vi auguro molto
bene. Tuo Riziero" (vedi
la scheda dell'ANPI).
Raffaele
Riva (Sant'Agata
Bolognese, Bologna, 29 dicembre 1896 - Roma, 31 gennaio 1944),
da Alfredo e da Carolina Parmigiani. Muratore cattolico comunista,
sposato con Maria Luigia Nepoti, con due figli, Walter e Leda.
Combattente nella Prima guerra mondiale, fu catturato e rinchiuso
nel durissimo campo di prigionia di Sigmundsherberg,
in Austria. Con l'avvento del fascismo Riva fu costretto a lasciare
il suo paese per sfuggire alle persecuzioni dei fascisti locali,
trasferendosi con la famiglia in Garfagnana per un anno, e poi
a Roma, a Montesacro, dove vivevano molti immigrati emiliani.
Anche a Roma Riva fu preso di mira dalla polizia, che gli impose
il domicilio coatto, in via Cervino, 7, dove viveva con la famiglia
in una casetta nel giardino del villino del colonnello Mario Ottalevi,
comandante del 12° Reggimento di fanteria "Casale",
che fu fucilato il 10 settembre 1943 dai nazisti sull'isola di
Santa Maura, presso Cefalonia, in Grecia, essendosi rifiutato
di ordinare ai suoi uomini di consegnare le armi individuali,
dopo aver dato in consegna le armi collettive.
Nonostante gli arresti Riva continuò l'attività
politica clandestina e, dopo l'8 settembre 1943, fu tra gli organizzatori
della Resistenza nel quartiere, partecipando ad azioni di boicottaggio,
alla raccolta d'armi per le formazioni partigiane, alla diffusione
di volantini contro i nazifascisti. Arrestato nella sua abitazione
durante la retata del 21 dicembre 1943, fu rinchiuso a via Tasso
e poi nel terzo braccio di Regina Coeli, nella cella 346. I familiari
riuscivano a comunicare con lui gridando dal Gianicolo, il colle
che domina il carcere, seguendo la vecchia tradizione romana.
Dopo un processo sommario, fu condannato a morte per attività
antitedesca da un tribunale militare nazista e fucilato sugli
spalti di Forte Bravetta, insieme a Giovanni Andreozzi ed altri
otto antifascisti. Riva si avviò tranquillamente al supplizio
dopo aver rifiutato la benda e dopo aver fumato lultima
sigaretta. Prima di cadere, gridò: "Viva l'Italia
libera!" (vedi
la scheda dell'ANPI).
Aldo Banzi (Roma, 23 gennaio 1921 - 24 marzo 1944), fu Vincenzo e di Elisa Manzatti, geometra, impiegato e militante del Movimento Comunista d'Italia - Bandiera Rossa (movimento dissidente dal PCI). Risultava residente a via Mirandola 30, presso la stazione Tuscolana. Militarizzato nell'agosto 1940 come impiegato del Ministero della Marina col grado di II Capo Furiere, fu riconosciuto invalido di guerra di III grado dalla Commissione Superiore Militare Ospedaliera del Celio. Fu arrestato a Roma dalle SS il 6 marzo 1944, incarcerato nel carcere di via Tasso "a disposizione dell'Aussen-Kommando sotto inchiesta di polizia", e infine assassinato alle Fosse Ardeatine, dove è sepolto nel sacello n° 119 del mausoleo. Gli è stata dedicata una via a Tor de Cenci (vedi la scheda del sito del Mausoleo delle Fosse Ardeatine).
Renzo Piasco (Roma 13 giugno 1925 - 24 marzo 1944), (pietra d'inciampo) nato a Trastevere ma trasferito a via di Val Melaina, in via Scarpanto, 45. Figlio di Paolo, un tassista comunista confinato politico a Ustica e poi latitante, e di Maria (Annita) Pennazzi. Era un ferroviere, aiuto macchinista, licenziato per non aver voluto trasferirsi al nord per lavorare con i repubblichini. Quando fu ucciso aveva addosso una tuta blu da lavoro. Era anche renitente alla leva repubblichina. Era militante del Movimento Comunista d'Italia - Bandiera Rossa, movimento dissidente dal PCI, fu più volte arrestato per aver svolto attività antifascista a Montesacro, combatté il 10 settembre 1943 a Porta San Paolo. Il 3 febbraio 1944 l'infiltrato Armando Testorio lo attirò fuori casa e lo fece arrestare dalle SS in piazza Sempione con uno zaino pieno di volantini ed armi. Portato a via Tasso, "a disposizione dell'Aussen-Kommando sotto inchiesta di polizia", fu torturato e infine assassinato alle Fosse Ardeatine, dove è sepolto nel sacello n° 115 del mausoleo (vedi la scheda del sito del Mausoleo delle Fosse Ardeatine).
Antonio Pistonesi detto Giacomo (Roma, 9 febbraio 1925 - 24 marzo 1944), (pietra d'inciampo) di Antonio e Caterina Falaschetti, cameriere e operaio in un mulino. Doveva chiamarsi Giacomo, in onore di Giacomo Matteotti, assassinato dai fascisti pochi mesi prima della sua nascita, ma l'ufficiale di Stato civile costrinse il padre a registrarlo con un altro nome. Era un militante del Partito Comunista Italiano di Val Melaina, combatté il 10 settembre 1943 sulla Salaria ai Prati Fiscali. Il 4 febbraio 1944 la spia Scarpato condusse i nazisti a casa sua, ma senza trovarlo, sua sorella Giulia venne presa in ostaggio e fatta girare per il quartiere sotto minaccia, gridando il suo nome per indurlo a consegnarsi, ma senza successo. L'infiltrato Testorio riuscì ad agganciarlo e, promettendogli di affidarlo alla Resistenza per fuggire a Mentana, gli diede appuntamento alle 11:00 a largo Brancaccio, dove si presentò con i nazisti, che lo portarono a via Tasso, nella cella 3, "a disposizione dell'Aussen-Kommando sotto inchiesta di polizia", mentre la spia continuava il doppio gioco, tranquillizzando la famiglia. Pistonesi uscì da via Tasso per essere assassinato alle Fosse Ardeatine, dove è sepolto nel sacello n° 43 del mausoleo (vedi la scheda del sito del Mausoleo delle Fosse Ardeatine).
Filippo Rocchi (Fara Sabina, Rieti, 13 febbraio 1909 - Roma, 24 marzo 1944), fu Domenico ed Elvira Bernardini, commerciante (o bracciante?), membro del Partito Comunista Italiano e del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), abitava in via delle Cave Fiscali 25, ma risultava residente in via Principe di Piemonte 107. Era mutilato di guerra e congedato come caporal maggiore. Fu arrestato per partecipazione a bande comuniste e detenzione di armi durante la retata del 21 dicembre 1943 alle 7:30 di mattina, dalle SS tedesche e dalla PAI (Polizia dell'Africa Italiana), guidate da Federico Scarpato, che lo picchiò duramente, rompendogli un braccio e procurandogli lesioni ai reni. Fu detenuto a via Tasso e poi a Regina Coeli come "a disposizione del Tribunale Militare tedesco - in attesa di giudizio" e assassinato alle Fosse Ardeatine, dove è sepolto nel sacello n° 135 del mausoleo (vedi la scheda del sito del Mausoleo delle Fosse Ardeatine).
Italo Grimaldi (Budrio, Bologna, 5 settembre 1899 - Roma, 30 dicembre 1943), di Vincenzo e di Rosa Pezzoli, padre di Amneris, era un militante del Partito Comunista Italiano di Montesacro-Val Melaina, abitava a piazza Matese 7, a poche centinaia di metri da Agnini, Orlandi Posti e Riva. Aveva una bottega da macellaio in piazza Sempione (secondo altri a via Gargano). Segnalato già nel 1934 dalla Questura in quanto nella sua macelleria: sintratterrebbe a lungo a parlare di politica con alcuni suoi conoscenti. I loro discorsi sarebbero improntati al più netto antifascismo. Italo è anche ricordato, insieme ad Antonio Righi e Francesco Celluprica, da una lapide posta nell'ex Mattatoio di Testaccio il 7 ottobre 1945 dai compagni di lavoro per ricordare i dipendenti del mattatoio caduti durante la guerra. Arrestato il 20 dicembre alle undici di mattina nella sua bottega da una squadra di SS affiancata da tre fascisti tra i quali Federico Scarpato, che poi, a casa sua, arrestò anche suo fratello Guido e Vittorio Mallozzi, che vi si trovava. Durante la perquisizione Scarpato rubò vari oggetti, tra i quali. un maiale intero, legalmente detenuto e 400.000 lire in contanti. Torturato a lungo al terzo braccio di Regina Coeli, Italo fu fucilato a Forte Bravetta per attività antitedesca.
Antonio Feurra (Cagliari, 22 settembre 1893 - Roma, 30 dicembre 1943), fu Salvatore, originario di Seneghe (OR), sposato con Lavinia Angelucci, fruttivendolo (detto "er patataro") abitava a viale Gottardo 5, aveva un banco nell'adiacente mercato rionale di Montesacro e militante del Partito Comunista Italiano di Montesacro-Val Melaina. Fu arrestato la mattina del 21 dicembre 1943 da una pattuglia delle SS indirizzata da Federico Scarpato, che lo picchiò selvaggiamente e minacciò sua moglie di arresto. Fu fucilato a Forte Bravetta per attività antitedesca.
Giovanni Andreozzi (Roma, 2 Agosto 1912 - 31 gennaio 1944) membro del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), cattolico comunista, fucilato a Forte Bravetta per attività antitedesca, insieme a Raffaele Riva ed altri otto antifascisti.
Paul Leo Lauffer (o Lauffner?) (Koenigsberg, 18 aprile 1902 - Roma 7 marzo 1944) di Paul e Natalia Meyer, dentista tedesco e militante del Partito d'Azione, rifiugiato dalla Pomerania presso la famiglia Rainelli in via Monte Argentario, per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche. Venne catturato durante la retata del 3 febbraio 1944 e, sebbene torturato, non rivelò né i nomi dei suoi compagni, né l'esistenza di un deposito d'armi nel giardino di Rainelli. Infine fu fucilato per attività antitedesca a Forte Bravetta, insieme ad altri nove antifascisti, Giorgio Labò, Antonio Bussi, Concetto Fioravanti, Vincenzo Gentile, Francesco Lipartiti, Antonio Nardi, Mario Negelli e Augusto Pasini. La fucilazione era una rappresaglia per l'attacco del 5 marzo dei partigiani di Torpignattara alla sede del fascio del Quarticciolo, durante il quale era stato ucciso un nazista.
Amilcare
Baldoni (Vacone,
Rieti, 1883 - 12 aprile 1944) fu Federico, calzolaio (o impiegato)
anarchico, schedato dalla polizia già dal 1907, emigrato
in Francia e da lì espulso nel 1936 per le sanzioni contro
l'Italia per l'invasione dell'Etiopia, si stabilì al Tufello,
tra Montesacro e Valmelaina, nelle cosiddette "case dei francesi".
Non è chiaro come e quando sia stato ucciso, secondo alcune
fonti potrebbe essere una vittima non riconosciuta del massacro
delle Fosse Ardeatine. Secondo altri fu arrestato a Vacone, in
Sabina, dove si era spostato per combattere i nazisti, dal 20°
SS Polizei Regiment, nel corso dell'operazione "Osterei"
nelle province di Terni e Rieti. I nazisti, insieme a componenti
della guardia nazionale repubblichina, eseguirono arresti in seguito
a delazioni, e Baldoni, definito come il capo dei partigiani locali,
sarebbe stato fucilato insieme all'allievo sottufficiale della
Guardia di Finanza Beniamino Minicucci a Vacone. Una lapide
a Poggio Mirteto (Rieti) riporta Amilcare Baldoni e Beniamino
Minicucci come vittime dei nazifascisti nella zona del monte Tancia.
Valerio Gentili (2010,
pag. 16), descrive
la costituzione a Roma, nell'autunno 1914, del direttivo cittadino
del "Fascio rivoluzionario d'azione", coalizione
di sinistra favorevole all'intervento dell'Italia nella prima
guerra mondiale, con la partecipazione, per i socialisti rivoluzionari,
di un Amilcare Baldoni, che potrebbe essere lo stesso qui sopra
descritto. Lo stesso autore (2010) racconta
di due riunioni tenutesi nel 1919 a casa di Amilcare Baldoni,
una il 7 luglio nella quale anarchici, arditi e repubblicani ipotizzarono
un'insurrezione in risposta ad un ipotetico colpo di stato nazionalista
(pag.
67), ed un'altra il
16 luglio per organizzare iniziative a favore degli arrestati
in una serie di blitz della polizia (pag. 73).
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Roma.Dopo Mussolini: I processi ai fascisti e ai collaborazionisti
(1944-1953)
SITI
VISITATI:
ANPI
- Donne e uomini della Resistenza link
Biografie della Resistenza romana link
Biografia
di Gianni Corbi link
Eccidio di
Pietralata - Wikipedia link
Istituto
Storico Parri - Biblioteca digitale link
Montesacro, 4 pietre d'inciampo per ricordare le deportazioni
nazifasciste link
Montesacro
e Valmelaina nei 9 mesi dell'occupazione tedesca a Roma link
Rerum Romanarum - targa in memoria di Italo Grimaldi link
Roma H24-
Montesacro - inaugurato il primo pannello link
Senti le
rane che cantano ... link
Valerio Verbano, a 41 anni dalla sua morte il Tufello inaugura
il murale di Jorit link
A Valmelaina due pietre d'inciampo ricordano chi si oppose al
nazifascismo link
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