La strage di Balvano

"probabilmente mai nella storia delle ferrovie si è verificata
una catastrofe come quella avvenuta a Balvano
"
The 727th Railway Operating Battalion in World War II, 1948

Nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 marzo 1944, in una galleria ferroviaria della linea Battipaglia-Potenza, situata tra le stazioni di Balvano-Ricigliano e Bella-Muro Lucano, in Basilicata, centinaia di passeggeri di un treno morirono soffocati dal fumo delle locomotive, in uno dei più gravi incidenti ferroviari della storia, il più grave avvenuto in Italia.  Il rapporto sull'attività del 727° battaglione operativo ferroviario dell'esercito degli Stati Uniti, pubblicato nel 1948, a proposito dell'incidente, commenta: "probabilmente mai nella storia delle ferrovie si è verificata una catastrofe come quella avvenuta a Balvano" ("Probably never in the history of railroading has there been a catastrophe such as occurred at Balvano").
Le forti divergenze nel conto delle vittime tra le varie fonti e le difficoltà nel seppellire centinaia di corpi in un contesto molto ristretto rendono credibile il fatto che il numero delle vittime sia stato superiore, anche di molto, alla conta dei corpi o al numero di scomparsi dal treno 8017, denunciati dai congiunti. Il numero di seicento vittime appare tutt'altro che improbabile e parte dei numerosissimi dispersi del periodo potrebbero essere vittime del disastro di Balvano, quando non morti in guerra, sotto i bombardamenti, per malattie o in incidenti o aggressioni, comuni in quell'epoca.

Le premesse della tragedia
Nel marzo 1944 l'Italia del sud era stata liberata, i nazi-fascisti erano fuggiti a nord, il fronte era fermo sul fiume Garigliano ed era in corso la battaglia di Cassino, con la distruzione dell'abbazia di Montecassino il 15 febbraio. Napoli si era liberata con la rivolta delle quattro giornate (27-30 settembre 1943), mentre Potenza era stata liberata il 22 settembre 1943 (Barneschi, 2014). Le devastazioni della guerra e le limitazioni imposte dagli Alleati al commercio lasciavano però la popolazione della città in uno stato di estrema povertà, e la carenza di cibo portava letteralmente alla fame molte persone. L'unica risorsa per la popolazione di Napoli e della zona costiera era di cercare cibo dove ancora se ne trovava, nelle campagne, barattandolo con i pochi oggetti rimasti in casa. Così molti si avviavano a piedi verso l'entroterra, oppure si affidavano ai pochissimi carretti o veicoli a motore, o ancora al treno 8021, che collegava Napoli a Bari, via Potenza e Taranto, con un viaggio che poteva anche durare 24 ore, in programma solo due volte a settimana, il mercoledì e il sabato (Barneschi, 2005), e che di conseguenza era stracarico.
Venti giorni prima della tragedia, il 13 febbraio 1944, Giovanni Di Raimondo, sottosegretario di Stato alle Comunicazioni per le Ferrovie, la Motorizzazione civile e i trasporti in concessione del governo Badoglio, che in seguito diventerà Direttore generale delle Ferrovie dello Stato, in una lettera ai Capi compartimento delle Ferrovie dello Stato di Napoli, Bari e Reggio Calabria e, per conoscenza, al Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei Ministri e a vari ministeri, si riferiva al treno bisettimanale Bari-Napoli via Potenza, spiegando che "si è dimostrato assolutamente insufficiente rispetto alle esigenze della numerosa popolazione delle regioni attraversate. Il treno stesso è preso d'assalto da una folla stragrande di viaggiatori che attende per lungo tempo nelle diverse stazioni, specie tra Metaponto e Battipaglia". Di conseguenza Di Raimondo chiedeva un treno giornaliero, o almeno trisettimanale. In realtà le autorità alleate, nella persona del colonnello Charles F. Dougherty, già il 26 gennaio avevano chiarito che per esigenze militari non era possibile aumentare la frequenza del treno
(Restaino). L'unico rimedio delle autorità alleate fu invece un'ottusa repressione, spesso violenta, dell'accesso di passeggeri sui treni merci, e uno scarico di responsabilità sulle autorità italiane, con la richiesta di una mole di controlli impossibile da mettere in atto.
Infatti, sebbene per ragioni di sicurezza, le autorità alleate avessero fissato un numero massimo di biglietti per ogni treno, imponendo anche il possesso di un'autorizzazione per viaggiare, la massa di persone che cercava di spostarsi, spinta dalla fame, era pressante. Molti viaggiatori non riuscivano quindi a trovare posto sui treni passeggeri, e l'alternativa era quella di salire, come clandestini, comunque tollerati, e spesso muniti di biglietto, sui treni merci che percorrevano la linea per Potenza. Il treno 8017, quello della tragedia, faceva servizio sullo stesso percorso in modo non regolare, come treno "OL", cioè ad orario libero, ed era adibito al trasporto di armi, munizioni e materiali ad uso degli alleati, ed era quindi sotto il loro controllo, sebbene fosse fatto funzionare da ferrovieri e materiale rotabile italiano. Tutto ciò anche se una parte del territorio alleato, comprendente la zona dell'incidente, sarebbe dovuta tornare sotto la sovranità italiana in base a un decreto del febbraio 1944
(Martucci).
I viaggi su questi treni, oltre che malagevoli, erano anche pericolosi per l'incolumità dei passeggeri, che spesso viaggiavano aggrappati all'esterno, come racconta La Domenica del Corriere del 3 ottobre 1943, oppure a cavalcioni dei respingenti, sui tender del carbone o sull'imperiale (tetto) dei vagoni, rischiando di essere schiacciati tra il treno e la volta delle gallerie, se non si affrettavano a sdraiarsi. Inoltre, accadeva che carrozze intere fossero svuotate per fare posto ai militari alleati
(Barneschi, 2005).

Balvano
Il paese di Balvano si trova in provincia di Potenza, al 1° gennaio 2023 vi risiedevano 1.726 abitanti, mentre nel 1936 erano 2.481 (Istat.it). Balvano sorge al confine con la provincia di Salerno, in Campania, a 425 m s.l.m. Il paese è stato gravemente danneggiato dal terremoto del 23 novembre 1980, che ha fatto 77 vittime, ed è stato completamente ricostruito negli anni successivi. Dal 1987 nel territorio di Balvano è in funzione uno stabilimento dolciario della Ferrero.

La linea ferroviaria
La linea Napoli-Bari è essenziale nel trasporto di viaggiatori e merci tra la costa tirrenica e quella adriatica. Si articola in più tratti con snodo a Salerno, Battipaglia, Potenza, Metaponto e Taranto. Il tratto Battipaglia-Potenza- Metaponto è stato costruito tra il 1863 e il 1880, è stato di competenza delle Ferrovie dello Stato dal 1905 al 2001, ed è tuttora a binario unico. L'incidente di Balvano è accaduto nel segmento Battipaglia-Potenza, che, dopo l'iniziale decorso in pianura o bassa collina, si inerpica sull'Appennino, e in particolare nel tratto tra Balvano e Baragiano corre quasi continuamente in salita, lungo i meandri che il torrente Platano scava nei monti. Il regime torrentizio del Platano causa improvvise piene, una delle quali nel 1929 travolse dodici ferrovieri che ispezionavano una galleria, uccidendone sette.
L'andamento in pendenza per un lungo tratto della linea aveva causato un altro grave incidente: il 12 dicembre 1942, una tradotta carica di soldati, diretti all'imbarco per il nord Africa, che aveva avuto origine a Piacenza, era ripartita da Potenza, viaggiando in direzione di Napoli, e quindi in discesa. Dopo la stazione di Tito, a 792 m s.l.m., forse per un guasto ai freni, il treno prese velocità e, dopo la fermata di Franciosa, a 522 m s.l.m., dopo quasi 12 km di corsa, si spezzò in due parti, una delle quali uscì dalla strada ferrata e si schiantò, causando 29 morti e 150 feriti
(Barneschi, 2005).
Dal 1959 la linea è stata servita da locomotori diesel
(Restaino), e solo il 31 marzo 1994, poco più di 50 anni dopo il disastro, è stata elettrificata, dopo ben otto anni di chiusura per i necessari lavori (Barneschi, 2005).

La stazione di Balvano
L'ultima fermata del treno 8017 fu la stazione di Balvano-Ricigliano, che fu anche il luogo sul quale si diressero i pochi superstiti in grado di camminare, il punto di riferimento dei soccorsi e il primo ricovero per le salme recuperate dal treno. La stazione, insieme con il tratto Romagnano-Balvano della linea, fu inaugurata il 3 giugno 1877, e si trova al km. 124,842 (calcolato da Napoli), a una quota di 264 m s.l.m., a 2,7 km dal paese, e fu semidistrutta dal terremoto del 23 novembre 1980 e interamente ricostruita. Oggi non ha più la qualifica di stazione ma è una fermata, dove fermano due soli treni al giorno per ciascuna direzione, e non è servita da personale ferroviario sul posto.

La galleria
L'entrata della "galleria delle Armi", si trova nel comune di Balvano, a circa 5 chilometri dal centro del paese, vicino al confine con la provincia di Salerno (coordinate 40.66467728361175, 15.50313862651606). La galleria, lunga 1.968,78 metri, con pendenza del 13 per mille, è la più lunga delle 37 del tratto Battipaglia-Potenza (www.antiarte.it), si trova 1.791 metri dopo la stazione di Balvano, al km 126,633, e prende il nome dalla montagna sotto la quale passa, il monte dell'Armi, alto 957 metri. A sua volta il monte prenderebbe nome dai nascondigli di armi creati dai briganti che agivano nella zona fino a tutto l'800, oppure dal greco medioevale armos, che significa "rupe" (www.antiarte.it). Restaino racconta di averla sentita denominare "de lu battaglione", dandogli un significato militare.
La galleria è rettilinea, a parte il tratto finale che piega a destra (venendo da Balvano), percorre una "s", e nell'ultimo segmento è affiancato da 37 finestroni (vedi pianta, da Restaino). Prima del cambio di direzione c'è un tratto di galleria di servizio che sbuca all'aperto e funge da condotto di aerazione, sebbene sia in gran parte ostruita da frane. Né il condotto, né i finestroni servirono a salvare dal soffocamento i passeggeri del treno 8017, perché il convoglio si arrestò molto prima.

La locomotiva gruppo 476
Le locomotive 476 furono costruite tra il 1909 ed il 1918 in tre diverse fabbriche austriache, e furono impiegata dalle ferrovie imperial-regie dello stato austriaco (KkStB, Kaiserlich-königliche österreichische Staatsbahnen) con il codice KkStB 80. Alla fine della prima guerra mondiale 72 di queste locomotive passarono alle Ferrovie dello Stato italiane, perché rimaste sul territorio diventato italiano, oppure perché consegnate dagli austroungarici come preda di guerra. A loro volta, alla fine della seconda guerra mondiale, alcune locomotive del gruppo 476, che si trovavano nelle zone ex-italiane che passarono alla Jugoslavia, furono acquisite dalle ferrovie jugoslave con la sigla JDŽ 28. La conduzione, ossia la posizione del macchinista era sulla destra della locomotiva (Barneschi, 2005). Sul treno 8017 secondo Barneschi era in servizio la 476.023, per Wikipedia la 476.058, per Restaino e Raimo la 476.038, per Canzoni contro la guerra la 476.020). Un esemplare, la 476.073, si trova presso il Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio (al momento, marzo 2024, chiuso).

La locomotiva gruppo 480
Le locomotive 480 furono costruite nel 1923 in 18 esemplari dalle Officine Meccaniche di Milano. La conduzione era sulla sinistra della locomotiva (Barneschi, 2005). Avevano cinque assi accoppiati, una velocità massima di 60 km/h ed erano state concepite per lavorare sulla ferrovia del Brennero, diventata italiana dopo la prima guerra mondiale. Con l'elettrificazione, nel 1930, della linea del Brennero, alcune locomotive furono trasferite ai depositi di Catania, Messina e sei esemplari furono destinati al deposito di Salerno, tra i quali la 480.016, in servizio sul treno 8017, che nel 1966 era ancora in servizio presso il deposito locomotive di Catania. Un esemplare, la 480.017, si trova presso il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, presso Napoli.

Il personale a bordo
Sulla 480.016 il macchinista era Espedito Senatore e il fuochista Luigi Ronga, che fu l'unico del personale delle due locomotive a sopravvivere, in quanto svenne e cadde sulla massicciata, trovando un po' più di ossigeno a livello del suolo, tanto da farlo sopravvivere (Pocaterra). Sulla 476.023 prestavano servizio il macchinista Matteo Gigliano di 55 anni da Salerno e il fuochista Rosario Barbaro di 31 anni da Torchiara (Salerno) (Martucci). Il capotreno era Luigi Ventre di Cava de' Tirreni (Salerno), il conduttore capo Domenico Sessa, dl 43 anni, da Pellezzano (Salerno), il conduttore Vincenzo Cuoco di 45 anni da Benevento e i frenatori Roberto Masullo e Giuseppe De Venuto. Erano poi in servizio gli operai con funzione di frenatori Michelangelo (o Michele) Palo, Giuseppe Scarcella e Gaetano Sgroia di 34 anni. Inoltre erano a bordo, ma non in servizio, i frenatori Onofrio D'Ambrosio di 21 anni da Ricigliano (Potenza) e Paolo delli Carri di 49 anni, da Benevento. Sopravvissero solo Ronga, Masullo, Scarcella, De Venuto e Palo (Barneschi, 2005).

Il viaggio
Il treno merci 8017, partì da Napoli nel primo pomeriggio del 2 marzo 1944, diretto a Catanzaro, via Potenza, l'unica linea possibile, visto che la linea tirrenica era impraticabile per i bombardamenti alleati (Barneschi, 2014). Il treno doveva caricare del legname destinato al ripristino dei ponti distrutti dalla guerra, e inizialmente era composto da 23 carri vuoti e uno di servizio (Barneschi, 2005). Pur essendo il treno quasi del tutto vuoto, sei carri non erano sigillati, e furono occupati da passeggeri non previsti.
Il treno era trainato da una locomotore elettrico E626
(Raimo), ma, visto che la linea da Battipaglia a Potenza non era elettrificata, a Salerno entrò in funzione una locomotiva a vapore, del tipo 476. Il treno ripartì da Salerno alle 17:15 (vedi la rappresentazione grafica del viaggio), e strada facendo si caricò di passeggeri . Dopo 74 km da Napoli, poco dopo le 18:00 arrivò nella stazione di Battipaglia, dove, prima dell'inizio della linea in pendenza, si aggiunse in testa la locomotiva 480.016, ma gli furono anche aggiunti altri 24 carri merci, portando a 48 il numero totale. Sempre a Battipaglia la polizia militare alleata fece sgombrare con violenza il treno dai passeggeri clandestini, ma molti di questi risalirono immediatamente, e il treno ripartì stracarico. A Persano furono scartati due carri e a Sicignano ancora un carro, così alle 0:12 il convoglio arrivò a Balvano, con 45 carri, e ripartì alle 0:50, percorse le prima breve galleria subito dopo la stazione, poi un ponte sul Platano, poi altre due gallerie, mentre la linea ferroviaria aumentava gradualmente la sua pendenza, e alla quarta galleria, quella delle Armi, la velocità era estremamente ridotta, finché, dopo 500 metri dall'ingresso in galleria, il treno si fermò.

La tragedia
Il treno 8017 trovò la galleria già satura di fumo, lasciato dalla locomotiva del treno precedente, l'8013, passato circa un'ora prima. Bloccandosi a circa 500 metri dall'inizio della galleria, probabilmente per diverse concause, sommatesi per fatalità, riusci solo a indietreggiare di circa 200 metri, consentendo alle persone che erano nei carri di coda di uscire dalla galleria e salvarsi. Le altre persone, rimaste nella galleria, morirono quasi tutte soffocate dall'ossido di carbonio, prodotto dalla incompleta combustione del carbone di cattiva qualità, forse peggiorato dall'immissione di carbone dal tender prima dell'entrata in galleria, pratica vietata in quanto pericolosa, per il forte rilascio dei gas tossici da parte del carbone appena messo in macchina. Molti dei passeggeri rimasero storditi, senza quasi accorgersene, altri dormivano, e passarono impercettibilmente dal sonno alla morte, senza avere la possibilità di reagire o di avere paura, come testimoniato dalla posizione rilassata nella quale i loro corpi furono trovati dai soccorritori.

Arriva la notizia dell'incidente
Il capostazione di Balvano, Vincenzo Maglio, che aveva dato il segnale di partenza al treno, avrebbe dovuto ricevere dal capostazione dello scalo successivo, quello di Bella-Muro, al km. 132,600 (7,758 km dopo Balvano) l'avviso telegrafico che il treno era giunto. Non avendo ricevuto il telegramma, non si preoccupò inizialmente, pensando a un ritardo dovuto ai molti fattori che ritardavano la marcia dei treni, e richiedevano a volte un tempo di percorrenza di due ore (Caggiano), e andò a dormire, rilevato dal vice-capostazione Giuseppe Salonia. Quest'ultimo ricevette da Ugo Gentile, capostazione aggiunto di Baragiano-Ruoti, una richiesta di notizie sul treno 8017, che non era arrivato, e alle 2:40-2:50 fu raggiunto da una chiamata dal capostazione di Bella-Muro. Quindi, si attivò per mandare qualcuno in ricognizione sulla linea. Alle 3:00 circa il telegrafista della stazione di Potenza, Luigi Quaratino, ricevette un messaggio dalla stazione di Baragiano che riferiva che il treno 8017 era "fermo in linea tra Balvano e Bella Muro per insufficienza forza trazione, attende soccorso".
Una locomotiva di soccorso partì da Potenza poco dopo le 5:00, e alle 5:10 uno dei frenatori dell'8017, forse De Venuto (secondo alcune fonti Palo), che si trovava in uno dei vagoni di coda, che quando il treno si era fermato, era rimasto fuori dalla galleria, tornò a piedi a Balvano a dare l'allarme. Con lui si erano salvati circa un centinaio di passeggeri dei carri in coda al treno
(Barneschi, 2005).
Alle 5:30 dalla stazione di Balvano partì in soccorso la sola locomotiva del treno 8025, quello successivo all'8017, che alle 5:40 arrivò alla galleria delle Armi. I soccorritori cominciarono ad accorgersi del gran numero di cadaveri e, tra l'altro, si accorsero che le locomotive erano entrambe ancora in pressione. Furono soccorse le persone ancora nella galleria che davano segni di vita, poi il treno 8017 fu rimorchiato indietro e, secondo le testimonianze raccolte da Barneschi
(2005), i corpi che si trovavano lungo i binari furono straziati dalle ruote del treno stesso. Il treno 8017 giunse alla stazione di Balvano verso le 8:15, e dal treno in sosta alla stazione i corpi recuperati furono allineati sul marciapiede della stazione di Balvano, e in seguito caricati su camion requisiti per l'occasione.
Il medico condotto di Balvano, Orazio Pacella, intervenne per rianimare i superstiti, praticando loro iniezioni di adrenalina nel cuore, cercando di non sbagliare, e di scegliere solo persone ancora in vita, visto che aveva solo cento fiale del farmaco. Dopo aver salvato 51 vite, fu allontanato dal soccorso dei superstiti dai medici alleati, nel frattempo sopraggiunti, e gli fu impedito di salvare altre persone
(Mussa).
Intervennero anche i Carabinieri di Potenza e i Vigili del Fuoco di Salerno e di Napoli, con i tempi concessi dallo stato delle strade e dalla mancanza di rifornimenti.
I morti furono portati presso il cimitero di Balvano, ma per mancanza di spazio furono seppelliti provvisoriamente in quattro fosse comuni presso il camposanto, per oltre quattrocento corpi. Il terreno fu offerto gratuitamente dal balvanese Francesco Di Carlo, che morì d'infarto il giorno dopo il suo gesto di generosità
(Barneschi, 2005). Molte delle vittime non avevano documenti, che forse erano andati perduti nelle convulse operazioni di soccorso per così tante persone. Nel cimitero di Balvano, Salvatore Avventurato, un benzinaio di Torre del Greco, fece costruire a sue spese una cappella di marmo in ricordo delle vittime, tra le quali suo padre, suo fratello e uno zio (Mussa).
Molto dei corpi allineati alla stazione e al cimitero di Balvano furono recuperati dai parenti, nel frattempo accorsi, e sepolti presso i cimiteri dei loro luoghi d'origine. Questo è uno dei motivi della discordanza nel bilancio delle vittime tra le varie fonti.
Il traffico ferroviario, su pressante sollecitazione delle autorità alleate, riprese già il giorno dopo la tragedia, il 4 marzo alle 12:00. Il 9 marzo 1944 il Governo Badoglio, con sede a Salerno, dedicò l’intera seduta alla sciagura.

Le vittime
Nei giorni immediatamente successivi la tragedia i giornali riportavano bilanci che variavano dai 426 morti del Messaggero, ai 500 del Corriere della sera, agli oltre 500 morti de La Stampa, 509 (il giorno dopo 502) della Gazzetta del Mezzogiorno. Negli anni successivi Nino Lo Bello sul Chicago Tribune Magazine oltre a Caggiano, Frisoli e Raimo hanno riportato 521 morti, Martucci riferisce di 427 morti, con il dubbio che fossero 521, Pocaterra e Pepe oltre 500, la lapide nel cimitero di Balvano 509, Barneschi (2005 e 2014) oltre 600. La discordanza è dovuta al gran numero di corpi da seppellire, unito alla scarsità di spazio a disposizione e alla libera iniziativa dei familiari di alcune vittime, che provvidero autonomamente alla sepoltura dei propri cari.
L'unica vittima "eccellente" fu il professor Vincenzo Iura, di 65 anni, di Baragiano, ordinario di Patologia chirurgica all'Università di Bari e chirurgo dell'Ospedale Civile di Potenza
(Pepe). Dai 434 nomi citati da Restaino si evidenzia che le vittime erano quasi tutte campane (87,3%), delle province di Napoli (54,8%) e Salerno (31,3%), con particolare concentrazione nella zona vesuviana, con 81 delle vittime citate provenienti da Resìna (oggi Ercolano) e molti altri da Torre del Greco (27), Castellammare di Stabia (25), Portici (17), Boscoreale (14), Boscotrecase (13), Torre Annunziata (10), e, per la provincia di Salerno, molti da Cava de' Tirreni (28), Nocera Inferiore (24) e dalla costiera amalfitana.

Le cause
L'incidente di Balvano ebbe probabilmente diverse concause, che vennero invocate dalle varie parti in causa e dalla stampa, spesso in funzione delle convenienze personali e istituzionali e delle esigenze di propaganda bellica, visto che la guerra era ancora in corso e sarebbe terminata, in Europa, solo oltre un anno dopo.
Molti hanno ceduto alla tentazione di presentare la tragedia come il risultato di un oscuro complotto o, come minimo, come l'esito di colpe e responsabilità precise, di singoli o di istituzioni, poi coperte dall'omertà e da un oblio voluto.
Si è visto come per altre tragedie accadute nei decenni successivi, la memoria è stata tenuta viva solo da pochi, e in particolare dai parenti delle vittime, e casomai l'oblio è stato aiutato da chi voleva coprire atti deliberati, come gli attentati terroristici, mentre le tragedie accidentali, come quella di Balvano, sono state spesso dimenticate perché considerate eventi fortuiti, per i quali nessuno si poteva considerare responsabile, o perché i possibili colpevoli erano tra le vittime. La situazione caotica dell'epoca, con il sud Italia liberato, ma devastato dalla guerra e sottoposto a un duro governo degli Alleati, spesso con connotazioni punitive per la passata belligeranza con i tedeschi, oltre alla presenza del fronte a circa duecento chilometri, resero sicuramente meno agevole la ricerca delle cause.

Ecco una breve rassegna delle possibili concause della tragedia di Balvano:
Il carbone La cattiva qualità del carbone usato dalle due locomotive, fornito dagli Alleati, di provenienza jugoslava, potrebbe aver causato nello stesso tempo una minore spinta dei motori, a causa del ridotto potere calorico del combustibile, e una cattiva combustione, con produzione di fumo con maggiore contenuto di ossido di carbonio, nel primo caso contribuendo all'arresto del treno, e nel secondo caso saturando la galleria di fumo tossico. D'altra parte nel marzo del 1944 poteva non essere disponibile nessun altro tipo di carbone: non più quello tedesco degli ex-alleati, ma non ancora quello gallese dei nuovi alleati, che lo riservavano ai propri usi, per la guerra ancora in corso.
La mancanza di ricambio d'aria La galleria decorre rettilinea per quasi tutto il percorso, ma nel tratto finale piega quasi ad angolo retto, per l'aggiunta di un tratto di galleria artificiale, fatto per proteggere la strada ferrata dalle frane. Questa forma, però, non facilita il ricambio d'aria, interrompendo il flusso tra le due estremità del tunnel. La scarsa respirabilità dell'aria era peggiorata dal ristagno del fumo delle locomotive dei treni precedenti, nel caso specifico del 3 marzo 1944 il treno 8013. Per i ferrovieri abituati a lavorare sulla linea Battipaglia-Potenza, il ristagno del fumo nella galleria delle Armi era un fatto risaputo. Proprio sulla stessa linea, in una galleria tra Picerno e Tito, meno di un mese prima, l'8 febbraio 1944, il macchinista Vincenzo Abbate, alla guida di una locomotiva 476, si era trovato in condizioni di asfissia e, per respirare meglio, aveva sollevato la passerella ribaltabile tra locomotiva e tender, sdraiandosi bocconi, per respirare meglio l'aria degli strati più vicini alle rotaie. Era però svenuto e la sua testa era rimasta schiacciata tra locomotiva e tender, ed era rimasto ucciso (Barneschi, 2005).
Il sovraccarico A causa della cattiva qualità del carbone le autorità alleate, il Military Railway Service di Salerno, avevano dato disposizioni di non caricare i treni oltre le 350 tonnellate, aumentabili a 630 in caso di doppia trazione, anche se di questa disposizione non c'è traccia scritta. Il carico effettivo del treno 8017, dopo la stazione di Battipaglia, non è chiaro, e varia, a seconda delle fonti, fino a 520 tonnellate, con una lunghezza di 479,30 metri (Barneschi, 2005). In ogni caso, il carico ufficiale di merci non teneva conto degli oltre seicento passeggeri saliti a bordo clandestinamente, il cui peso si può stimare in oltre 40 tonnellate. La scarsità di treni nell'Italia liberata creava una domanda di trasporti molto maggiore dell'offerta, e il treno 8017 era probabilmente troppo carico, per l'eccessivo numero di carri e per il peso di centinaia di passeggeri.
Lo slittamento il deficit di spinta sulla lunga salita da Balvano a Bella fu peggiorato dalla forte umidità dei binari nella galleria, dovuta alla condensazione del fumo delle locomotive, per la bassa temperatura di inizio marzo, e allo stillicidio dalla volta e dalle pareti della galleria, proveniente dalla circolazione di acqua all'interno della montagna. Lo slittamento avrebbe dovuto essere contenuto dallo scarico di sabbia sui binari, che forse non avvenne o non fu sufficiente. Pocaterra riporta il racconto di un macchinista bolognese che nel 1954 descrive il frequente slittamento delle locomotive 476 in salita nelle gallerie delle linee calabresi, con l'ulteriore difficoltà della durezza della leva del regolatore, che necessitava di due persone per poterla azionare.
L'incomprensione tra il personale ferroviario secondo alcuni lo slittamento indietro del treno avrebbe spinto il macchinista della prima locomotiva a fare macchina indietro per uscire dalla galleria, ma i frenatori in coda avrebbero frainteso, credendo che lo slittamento indietro fosse accidentale, ed avrebbero stretto i freni, creando uno stallo, mentre le macchine andavano al massimo della potenza, aumentando la produzione di fumo. Secondo uno dei soccorritori, il manovratore Mario Motta, ben tredici carri erano stati frenati (Restaino). La lunghezza del treno rendeva impossibile la comunicazione tra testa e coda.
Secondo Raimo la leva di inversione della macchina 480.016 era in posizione marcia avanti, mentre in quella di coda era posta sulla marcia indietro, il che avrebbe creato uno stallo, per le spinte contrastanti. Il fatto che le due locomotive avessero la conduzione dai due lati opposti rendeva comunque difficile la comunicazione tra i due macchinisti. Secondo Restaino, invece, riferendo sempre la testimonianza del manovratore Mario Motta, entrambe le macchine erano impostate sulla marcia indietro. Secondo Barneschi
(2005), in base al sopralluogo eseguito sulle due locomotive quando furono riportate alla stazione di Balvano, la 480 era in posizione di marcia indietro e la 476 di marcia avanti. Non è improbabile che, dopo l'incidente, i comandi siano stati manomessi, o che siano state riportate notizie non vere, per scagionarsi da possibili coinvolgimenti nel disastro.
La perdita di conoscenza dei macchinisti entrambi i macchinisti sono morti nella tragedia di Balvano, quindi a un certo punto dell'incidente avranno perso conoscenza, non essendo più in grado di intervenire in alcun modo sulle rispettive macchine. Oltretutto le difficoltà ad azionare la leva del regolatore, riferita da Pocaterra, sarebbe stata ancora maggiore per un macchinista sull'orlo del soffocamento.
La distribuzione dei passeggeri secondo la commissione d'inchiesta alleata, la maggior parte dei passeggeri "in considerazione della miglior protezione dalle intemperie" si trovava nei carri di testa del treno, quelli intrappolati sotto la galleria, mentre quelli sistemati nelle carrozze di coda, rimaste fuori dalla galleria, che si salvarono, erano molti di meno (Barneschi, 2005).

Il racconto degli americani
Il citato rapporto sull'attività del 727° battaglione operativo ferroviario degli Stati Uniti, racconta l'operato dell'unità militare durante le operazioni di guerra in Nord Africa, Italia e Francia. La tragedia di Balvano è raccontata come qualcosa di mai avvenuta in passato su una linea ferroviaria, accaduta il 5 marzo 1944 (in realtà fu due giorni prima), a causa di invasori abusivi (trespassers) che si recavano a Bari, Brindisi e Taranto (il treno in realtà terminava a Potenza), per procurarsi cibo, olio ed altro da vendere al mercato nero a Salerno, Napoli e numerose altre città italiane. C'è quindi un forte pregiudizio negativo nei confronti degli italiani, visti come violatori abituali della legge, senza tenere conto della miseria e della fame provocata dalla guerra e, tra l'altro, dai bombardamenti alleati. Inoltre sembra di leggere una sorta di moralismo razzista, secondo il quale gli italiani, malfattori o quanto meno indisciplinati, avevano pagato con la vita le loro trasgressioni.
La dinamica dell'incidente viene fatta risalire alla cattiva qualità del carbone, allo slittamento delle locomotive ed al sovraccarico. Il numero delle vittime è stimato in 508, e il rapporto si preoccupa di specificare che nessun militare americano sarebbe coinvolto. Gli investigatori americani avrebbero interrogato molti italiani coinvolti nel fatto, soprattutto ferrovieri in servizio nella zona. L'inchiesta non diede alcun risultato e il generale Gray definì la tragedia una fatalità ("an Act of God"). Nel frattempo era accaduto un incidente simile nei pressi di Baragiano, a dieci chilometri da Balvano, con una sola vittima.
Il Chicago Chronicle del 20 marzo 1951, nel dare la notizia della citazione in giudizio dello Stato italiano, da parte dei parenti delle vittime, dà informazioni diverse: il giornale parla di 427 morti, di un viaggio verso sud per caricare armi e munizioni, e dà la colpa al carbone jugoslavo, di pessima qualità.

Il racconto dei fascisti
Le prime notizie della tragedia giunsero nell'Italia occupata dai nazi-fascisti attraverso dispacci dell'agenzia britannica Reuters da Lisbona. Il quotidiano milanese Il Corriere della Sera, pubblicato nello stato fantoccio repubblichino di Salò, il 6 marzo in un trafiletto cui raccontava sommariamente l'accaduto, senza specificare il luogo, riportando un bilancio di 500 vittime. Sulla stessa prima pagina si riferiva di 600 morti nei bombardamenti alleati.
Il quotidiano torinese La Stampa del 7 marzo dava la notizia del disastro, e il giorno successivo pubblicava ulteriori particolari, e citando «gravi responsabilità dei "liberatori"» raccontava che sul treno "erano stati messi a viaggiare (sic) militari e civili" tra i quali numerose donne e bambini, e tra i feriti ci sarebbero stati militari inglesi. Il quotidiano romano Il Giornale d'Italia del 7 marzo riferiva di 501 morti, localizzandoli genericamente nell'Italia meridionale, su un treno diretto verso est, mentre Il Messaggero del 23 marzo, stesso giorno dell'attacco di via Rasella e dell'inizio della rappresaglia delle Fosse Ardeatine (vedi la mia pagina web sull'argomento) pubblicò la notizia, con un bilancio di 426 "italiani", ipotizzando anche vittime tra i soldati alleati, taciute in modo doloso. Anche Il Messaggero era ed è un giornale di Roma, all'epoca sotto occupazione nazista, anche se formalmente aveva lo status di città aperta.

Stragi analoghe
Incidenti causati dal soffocamento dei passeggeri e del personale ferroviario a causa del fumo in galleria non erano infrequenti, anche se spesso si risolvevano senza vittime. Nel passato si erano verificati diversi incidenti in Liguria, alla fine dell'800, e in uno di questi, l'11 agosto 1898 alle 20:00 circa, il treno merci 3132 partito da Genova e diretto a Ronco Scrivia, nell'attraversare la galleria dei Giovi, nel territoio del comune di Serra Riccò, in provincia di Genova, rimase senza controllo a causa dell'asfissia del personale di macchina, e piombò sul treno viaggiatori 120 fermo alla stazione di Piano Orizzontale dei Giovi. L'incidente causò nove morti, tra i quali due bambini, e oltre cento feriti, e innescò una serie di discussioni, tra l'altro sulla qualità del combustibile, mattonelle costituite di polvere di carbone impastate con pece e catrame, prodotte dall'azienda Carbonifera di Novi Ligure, di proprietà dell'onorevole Edilio Raggio, che cercò di opporsi alla sostituzione delle mattonelle con carbone vero proveniente dall'Inghilterra. I procedimenti giudiziari, comunque, non ebbero esito.

La memoria
Alla stazione di Balvano sono state apposte due lapidi in memoria della tragedia, una datata 3 marzo 2017 e un'altra che si riferisce all'evento "San Mango-Balvano: percorso di memoria e di futuro" promosso congiuntamente dalle Pro Loco di Balvano e di San Mango Piemonte (Salerno) per ricordare la tragedia del treno 8017.
Il cantautore country statunitense Terry Allen ha dedicato alla tragedia la canzone “Galleria dele Armi” (sic) (ascolta su YouTube), nell'album "Human Remains" del 1996.
Il 3 marzo 2004, nel 60° anniversario della tragedia di Balvano, è nata la Cyberassociazione "Treno di Luce 8017" con il compito di riunire i familiari ed amici delle vittime del treno 8017. I creatori dell'associazione spiegano che "Il Treno di Luce non è solo un convoglio materiale ma un mezzo celeste per ricordare tutti quei morti, vittime di un olocausto inutile, frutto della guerra e della vita cosiddetta civile che sopraffà i poveri. Per questo il Treno di Luce vuol viaggiare sulle rotaie del Cyberspazio per portare il suo messaggio di pace contro la guerra e la sopraffazione dei deboli ad opera dei forti.”

Strascichi legali
L'11 novembre 1945 il Giudice istruttore del Tribunale di Potenza decretò l'archiviazione del caso, su richiesta della Procura del Re di Potenza, in quanto il fatto non derivava da colpa o da dolo, essendo dovuto alla cattiva qualità del carbone (Barneschi, 2005). Nel 1946 il Tribunale di Potenza avviò un procedimento per individuare eventuali responsabilità penali, ma il 18 dicembre dello stesso anno intervenne l'archiviazione, non essendo stati individuati responsabili. Nello stesso 1946 Luisa Cozzolino, vedova di Michele Palumbo, che aveva perso il marito nella strage, intentò un procedimento per chiedere i danni alle Ferrovie dello Stato. A questa richiesta ne seguirno altre 300 di famiglie delle viittime, e poi i procedimenti si ridussero a 41, perché molte famiglie si associarono, affidandosi agli stessi avvocati. Il totale dei risarcimenti superava il miliardo di lire. La difesa delle Ferrovie dello Stato chiese l'archiviazione in quanto il traffico ferroviario all'epoca era sotto la responsabilità degli alleati, e si trattava di "danni prodotti dagli alleati in conseguenza di azioni non di combattimento". Inoltre le vittime non erano munite di biglietto, e quindi non esisteva un contratto tra azienda e passeggero per il trasporto. Infine, la competenza sulla materia spettava al tribunale di Potenza, e non a quello di Napoli. L'ente ferroviario presentò ricorso davanti alla Corte d'Appello di Napoli (Martucci). Il processo iniziò il 28 marzo 1951, e fu l'occasione per una ripresa dell'attenzione mediatica sulla strage. Il contenzioso si concluse con la liquidazione di un indennizzo per le vittime civili degli eventi bellici, limitato a coloro che potevano esibire un biglietto (Wikipedia).

Inchieste sulla strage
Negli anni successivi alla strage il settimanale Oggi del 15 marzo 1951 con un articolo di Corrado Martucci si occupò della ripresa del procedimento di azione civile per danni, da parte dei parenti delle vittime, rievocando i fatti di sette anni prima. Nel 1956, l'11, 18 e 25 marzo, il settimanale L'Europeo pubblicò un'inchiesta in tre puntate di Giulio Frisoli, con forte taglio sensazionalistico e costellata di errori. Il 25 maggio 1957 il quotidiano romano Il Tempo pubblicò un articolo di Nestore Caggiano che rievocava la strage, alla ripresa del procedimento per il risarcimento danni davanti alla Corte d'Appello di Napoli.
Seguirono oltre vent'anni di silenzio, fino all'articolo di Cenzino Mussa su Famiglia Cristiana del 4 marzo 1979, che rievocò i fatti. L'anno successivo, sul numero 4 del periodico ferroviario Strade ferrate di novembre 1980, Nicola Raimo pubblicò un articolo ricco di dettagli tecnici e testimonianze del superstite della tragedia Luigi Ronga. Nel 1995 Renzo Pocaterra, sul mensile ferroviario Linea treno raccontò la vicenda, presentando il libro di Restaino
Il primo libro sulla strage di Balvano è stato "Un treno un'epoca: storia del 8017" pubblicato nel 1994 da Mario Restaino per Arti grafiche Vultur di Melfi (Potenza). L'avvocato romano Gianluca Barneschi ha scritto due libri sulla strage, "Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato" pubblicato nel 2005 da Ugo Mursia Editore S.p.A., di Milano e "Balvano 1944. Indagine su un disastro rimosso", pubblicato nel 2014 da Libreria Editrice Goriziana di Gorizia. Alessandro Perissinotto ha pubblicato nel 2003 "Treno 8017" per Sellerio di Palermo., poi ripubblicato dal Gruppo Editoriale L'Espresso S.p.A. di Roma, un romanzo giallo che si aggancia in modo stretto alla tragedia di Balvano, punto di partenza di eventi di fantasia che si svolgono negli anni successivi.

Considerazioni finali
Su molti testi scritti sulla strage di Balvano, le vittime sono descritte come borsaneristi, contrabbandieri e trasgressori (nei testi in inglese “trespassers”) perché non muniti di biglietto.
In realtà, la situazione disperata del sud Italia, appena attraversato dalla guerra, e con il fronte ancora a breve distanza, era tale da costringere molte persone a cercare cibo nei luoghi dove ancora c’era, ossia nelle campagne, cercando di barattarlo con tutti i beni che potevano trovare svuotando le proprie case: indumenti, preziosi, orologi, e qualunque altra cosa potesse avere un valore per chi disponeva di cibo da cedere.
Quindi era cosa ben diversa dalla borsa nera, che secondo il dizionario della lingua italiana De Mauro consiste nella “compravendita illegale e clandestina, a prezzi maggiorati, di generi di monopolio, razionati e di difficile reperibilità”. Nel caso di molti passeggeri del treno 8017 la merce acquisita non era destinata ad essere venduta a prezzo maggiorato, ma piuttosto consumata, per non morire di fame.
A bordo del treno della morte ci saranno stati anche dei borsaneristi, ma innanzitutto, come distinguerli dalle persone perbene sopra descritte? E perché accomunare speculatori e gente onesta in cerca di cibo da riportare a casa?
Le spinte razziste non vennero solo dagli angloamericani, nei confronti degli italiani, ma anche di altri italiani nei confronti di connazionali, del sud Italia. Nel 1956 Giulio Frisoli scrisse: "il convoglio era gremito di passeggeri abusivi, per lo più piccoli borsaneristi"
(L'Europeo, n. 12 (544), pag, 55) e "i borsaneristi non rinunciarono al loro lavoro, facendo giusto affidamento su certe qualità tipicamente meridionali" (id., n. 11 (543), pag, 15). Eppure la borsa nera era comunemente praticata anche nel nord Italia!
Quanto alle violazioni, dalle testimonianze emerge che molti dei viaggiatori sui treni merci erano sì formalmente abusivi, ma spesso erano muniti di biglietto, regolarmente acquistato a terra oppure sul treno stesso, venduto dal personale viaggiante con modalità regolari, con il rilascio di "bollette", ma anche in modo non chiaro, anche con pagamento in natura.
La distinzione tra viaggiatore regolare e trasgressore abusivo acquistava però la sua importanza nel caso di una richiesta di risarcimento da parte dei familiari delle vittime: i trasgressori non avevano diritto a niente, i viaggiatori regolari invece sì. La morte era stata invece uguale per tutti.

Bibliografia:
ARGENZIANO Salvatore () Il Treno 8017 Una tragedia dimenticata Balvano, 3 marzo 1944 02 - Il Disastro dell’8017
BARNESCHI Gianluca (2005) Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato. Ugo Mursia Editore S.p.A., Milano.
BARNESCHI Gianluca (2014)
Balvano 1944. Indagine su un disastro rimosso. Libreria Editrice Goriziana, Gorizia.
CAGGIANO Nestore (1957) Morirono 521 viaggiatori nella "galleria delle Armi". Il Tempo, 25 maggio 1957, pag. 10.
FRISOLI Giulio (1956) La più grande tragedia ferroviaria di tutti i tempi. L'Europeo, n. 11 (543), pagg, 12-15; n. 12 (544) pagg. 52-55, n. 13 (545) pagg. 37-39.
ISTAT Istituto Nqzionale di Statistica (2022) Bilancio demografico mensile e popolazione residente per sesso, anno 2022.
link
MARTUCCI Corrado (1951) Nel tragico "merci" 8017 giacevano quattrocento cadaveri. Oggi, n. 11, 15 marzo 1951, pagg. 7-8.
MUSSA Cenzino (1979) E la morte scese sul treno. Famiglia Cristiana, n. 9, 4 marzo 1979, 40-46.
PEPE Antonio Maria (2003) Balvano, un triste anniversario. La Nuova Basilicata, 03/03/2003, pag. 3.
PERISSINOTTO Alessandro (2003) Treno 8017. Gruppo Editoriale L'Espresso S.p.A., Roma.
POCATERRA Renzo (1995) Balvano, l’inchiesta continua. Linea Treno, Maggio 1995, pagg. 30-31.
RAIMO Nicola (1980) Quella lunga notte del ’44. Strade Ferrate, n. 4 novembre 1980, pagg. 33-38.
RESTAINO Mario (1994) Un treno un'epoca: storia del 8017. Arti grafiche Vultur, Melfi (Potenza).
S.A. (1948) The 727
th Railway Operating Battalion in World War II. Simmons-Boardman Publishing Corporation, New York, USA. link
S.A. (1951) Italy Sued for Death on 427 on War Train. Chicago Tribune, March 20th, 1951, link
S.A. (2014) Treno 8017 in galleria, 70 anni fa 520 morti. Ansa.it Speciali, 6 gennaio 2014 link
S G. DF. - S. A. per www.vesuvioweb.com S. Argenziano. Balvano 1943. 02-Il Disastro dell’8017 link
SAVINO Antonio (2003) Un altro muro di gomma. La Nuova Basilicata, 03/03/2003, pag. 3.

Siti web consultati:
Biblioteca digitalizzata del Senato della Repubblica (Avanti!) link
Raccolta digitale di periodici della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Il Messaggero, Il Corriere della Sera, Il Giornale d'Italia) link
Raccolta digitale di periodici della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma (La Domenica del Corriere, Oggi) link
YouTube - Terry Allen - Galleria Dele Armi. link
Brigida GULLO Balvano, il Titanic ferroviario. Rai Storia. link
Wikipedia - Disastro di Balvano https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_di_Balvano
Wikipedia - Ferrovia Battipaglia-Potenza-Metaponto https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_Battipaglia-Potenza-Metaponto
Treno di luce http://www.antiarte.it/trenodiluce/galleria_delle_armi.htm
http://www.trenidicarta.it/treno8017/

pagina creata il: 1° marzo 2024 e aggiornata a: 10 marzo 2024