Il 9 febbraio 1849 a Roma, la capitale dello Stato
Pontificio, fu proclamata la Repubblica romana, basata su
principi di uguaglianza, democrazia e laicità. Il papa
Pio IX era fuggito settantasette giorni
prima nella fortezza di Gaeta,
rifugiandosi presso il re delle Due Sicilie, Ferdinando
II di Borbone.
La Repubblica romana ebbe termine dopo 145 giorni, il 4 luglio
1849, schiacciata dall'intervento delle truppe francesi di Luigi
Napoleone (futuro imperatore Napoleone
III) che calpestò persino la costituzione
francese del 1848, secondo la quale, al punto V del preambolo,
la Repubblica "rispetta le nazionalità straniere
così come intende far rispettare la propria, non intraprende
nessuna guerra a fini di conquista e giammai impiega le sue forze
contro la libertà di alcun popolo". Invece le
truppe di Luigi Napoleone aggredirono la Repubblica romana, ingerendosi
violentemente nelle questioni interne di un'altra nazione, e contraddicendo
i principi di libertà, uguaglianza e fraternità
della Rivoluzione francese.
La Repubblica romana del 1849 non va confusa con la Repubblica
dell'antica Roma (dal 509 al 27 a.C.) e con la Repubblica romana
giacobina del periodo napoleonico (1798-99).
Roma nel
1849
Nel 1849 la città di Roma aveva 179mila abitanti (Natalini), mentre, secondo il censimento
del 1844, nello Stato pontificio vivevano 2.929.807 abitanti (Severini). Lo stesso censimento contava
a Roma ben 6.189 tra cardinali, vescovi, religiosi, religiose
e solo 4.427 persone professavano scienze, lettere, belle arti
e 756 erano medici chirurghi, farmacisti e levatrici (Natalini). Lo Stato Pontificio, aveva un
territorio comprendente parte
dell'Emilia (province di Bologna e Ferrara), la Romagna, le Marche,
l'Umbria e parte dell'attuale Lazio, con esclusione della parte
meridionale delle attuali province di Latina e Frosinone e della
parte orientale della provincia di Rieti.
Dopo le fallite insurrezioni del 1820-21 e 1830-31, gli anni di
governo dell'ultra-reazionario papa Gregorio
XVI, erano stati segnati da un ottuso oscurantismo e da una
dura repressione politica, attuata dalla polizia insieme al potere
ecclesiastico: la polizia consegnava liste di liberali ai vescovi,
che ricambiavano con altre liste. Potevano essere schedati come
liberali anche quelli che non frequentavano assiduamente le messe
o che avevano la barba (Carocci).
Esistevano anche i desaparecidos: la testimonianza di un
qualsiasi prete bastava a far sparire un presunto patriota, ad
opera di bande di sanfedisti e Volontari Pontifici che avevano
mano libera nel torturare e uccidere (Carocci). Le riunioni clandestine dei liberali erano
infiltrate da spie che creavano complotti per denunciarli all'autorità
ecclesiastica. La reazione era un'opposizione sotto traccia, cospirativa
e violenta, spesso basata sugli omicidi politici come vendetta
(Carocci).
Il voltafaccia
di Pio IX
Al suo insediamento sul trono pontificio, il 21 giugno 1846, Pio
IX (Giovanni Maria Mastai-Ferretti) aveva generato grandi speranze,
era un pontefice giovane (54 anni), all'apparenza progressista,
aperto all'unità d'Italia, tanto che era stato addirittura
proposto da Giuseppe Mazzini e da molti altri come capo di Stato
di una futura Italia unita (Monsagrati).
Il 17 luglio, dopo un mese dalla sua elezione, il papa emise un
decreto di amnistia A tutti i nostri sudditi che si trovano
attualmente in luogo di punizione per delitti politici condoniamo
il rimanente della pena.
Venne poi la "primavera dei popoli", la serie
di rivolte che scoppiarono nel 1846-47 a Palermo, Napoli e Torino
(Natalini) e nel 1848 e 1849 in vari paesi
d'Europa, che sollecitarono molti regnanti, compreso Pio IX, a
concedere la costituzione e un'Assemblea elettiva: Ferdinando
II re delle Due Sicilie concesse la Costituzione il 29 gennaio
1848, Carlo Alberto, re di Sardegna
lo Statuto l'8 febbraio, il granduca Leopoldo II di Toscana lo
Statuto il 15 febbraio (Natalini).
Queste costituzioni e statuti, tranne quello di Carlo Alberto,
vennero poi revocati con la reazione che intervenne nel 1849.
Nel marzo 1847 Pio IX addirittura mandò in Lombardia le
truppe pontificie, al comando del generale Giovanni
Durando in appoggio al re di Sardegna Carlo Alberto per combattere
contro gli austro-ungarici per l'unità d'Italia, salvo
poi richiamarli indietro per non urtare l'Impero austro-ungarico,
potenza cattolica.
Le concessioni di Pio IX gli diedero una grandissima popolarità,
ma generarono anche aspettative sempre maggiori, che Mastai-Ferretti
non fu in grado di soddisfare. Per reazione il papa assunse posizioni
sempre più retrograde, sulla spinta del cerchio di cardinali
reazionari di cui si era circondato, in primo luogo il segretario
di Stato Giacomo Antonelli,
chiacchieratissimo per la sua passione per il denaro e per le
donne.
Il patriota toscano Giuseppe Montanelli
descrisse una messa officiata dal papa: "Eranvi tutti
i cardinali. Li ho squadrati ad uno ad uno. Ho cercato su quelle
facce invano un raggio d'intelletto, e d'amore. Faccie di imbecilli
o di tristi. Che sguardo di iena il cardinale Lambruschini! Che
figura sinistra il cardinale Marini! Che furbacchiolo Antonelli!"
(Kertzer). Lo scrittore russo Aleksandr
Herzen vide invece il cardinale Luigi
Lambruschini avvicinarsi al papa con l'aspetto di
un vecchio sciacallo e mi aspettavo che mordesse il
Santo Padre, invece si abbracciarono tranquillamente
(Kertzer).
L'inviato del primo ministro britannico, lord
Minto (Gilbert Elliot-Murray-Kynynmound, conte di Minto),
incontrò il papa e scrisse di lui e del segretario di stato:
la loro ignoranza di tutto quello che si trova oltre
le mura di Roma è quasi incredibile e sono quindi soggetti
a ogni tipo di intrighi (Kertzer).
Altre
Repubbliche nel 1848 e 1849
Il 22 marzo 1848 nacque a Venezia la Repubblica
di San Marco, presieduta da Daniele
Manin, comprendente il Veneto e il Friuli, che dopo il trattato
di Campoformido del 1797 appartenevano all'impero austro-ungarico.
Il 4 luglio la Repubblica di San Marco votò la propria
annessione al Regno di Sardegna, nucleo del futuro Regno d'Italia.
La Repubblica durò un anno e cinque mesi, finché
il 22 agosto 1849 non fu travolta dall'esercito asburgico, che
rientrò in possesso dei territori, salvo poi lasciarli
definitivamente all'Italia nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza
italiana.
Il 15 febbraio 1849 fu proclamata a Firenze la Repubblica toscana,
guidata da Francesco Domenico Guerrazzi,
che fu rovesciata il 12 aprile dai sostenitori del Granduca di
Toscana Leopoldo
II. Anche in Toscana ebbe quindi libero spazio l'invasione
delle truppe austro-ungariche, guidate dal luogotenente-feldmaresciallo
Konstantin d'Aspre, che saccheggiarono
senza freni e uccisero centinaia di persone, in particolare a
Livorno, ed occuparono la Toscana fino al 1855.
La rivolta
a Roma
La spinta per l'unità d'Italia, fomentata dall'iniziale
appoggio del papa, andava di pari passo con la richiesta della
fine del regime dispotico della Chiesa: il popolo chiedeva libertà
di stampa, rimozione dalle alte cariche degli ecclesiastici e
dei clericali e loro sostituzione con laici, istituzione di milizie
civiche al posto di quelle mercenarie, costruzione di ferrovie
e illuminazione pubblica nelle case (Kertzer).
Le rivendicazioni civili erano accompagnate dalle proteste per
il forte aumento dei prezzi del pane e della farina, in un periodo
di grandissima disoccupazione. Il caro prezzi era dovuto alla
carestia causata dalla siccità del 1845 e del 1846, che
aveva reso necessario importare grano dall'America Settentrionale
(Demarco).
Questa contingenza aveva spinto molti speculatori a comprare grano
sui mercati del Mar Nero e dalla Russia, ma il raccolto abbondante
del 1847 aveva fatto crollare i prezzi, mandando in rovina molte
ditte che commerciavano sul mercato granario, paralizzando il
credito privato e il commercio (Demarco).
Si verificarono anche episodi di luddismo, a seguito dell'introduzione
di macchine operatrici, che avevano causato la perdita di posti
di lavoro. A Trastevere si parlava di un complotto dei lanari
per distruggere i telai meccanici (Demarco), secondo il principe Agostino
Chigi nel rione Regola il 5 dicembre 1847 circolavano voci
ostili alle macchine, che tolgono il lavoro al popolo, "e
delle quali non esiste quasi nessuna" (sic) e
anche a Perugia nel 1847 i proletari, "inaspriti dalla
mancanza di lavoro e di pane, e mossi fors'anco dall'invidia portata
al capitale (sic)", progettavano di distruggere
le macchine del ricco e accorto fabbricatore di panni Leopoldo
Bonucci (Bonazzi).
Il carnevale del 1848 fu celebrato in modo dimesso, in segno di
lutto per le vittime delle rivolte in Lombardia (Chigi), senza la tradizionale festa
dei moccoletti (lumini di cera che ognuno portava con sé
e che cercava di tenere accesi, mentre cercava di spegnere quelli
degli altri). Il 19 marzo 1848 unordinanza del Ministro
dellInterno, annunziava che dora innanzi le Bandiere
Pontificie bianche e gialle avrebbero avuto le cosiddette cravatte
dei tre colori italici, cioè verde, rosso e bianco (Chigi).
Si creò quindi a Roma e nel resto dello Stato Pontificio
uno stato di perenne agitazione e sommossa, con rivendicazioni
sociali da parte delle classi più povere, operai, artigiani,
braccianti agricoli, che minacciavano di sollevare una vera insurrezione
contro le classi benestanti e l'ordinamento stesso della proprietà.
La stampa conservatrice non esitava a definire tutti costoro comunisti
(Demarco).
Tra i più attivi nelle rivolte, pur nella fedeltà
a Pio IX, ancora considerato un papa liberale in ostaggio di cardinali
reazionari, si distinse Angelo Brunetti,
detto Ciceruacchio, molto popolare
tra i romani perché aveva dato grandi prove di altruismo
e capacità di aiuto del prossimo in occasione di calamità.
Il clima politico incandescente portò il 15 novembre 1848
all'assassinio del capo del governo pontificio Pellegrino
Rossi nel palazzo della Cancelleria,
dove si stava recando per parlare al consiglio dei deputati.
Il giorno dopo la folla assediò il palazzo
del Quirinale per chiedere riforme, diede fuoco a un portone,
puntò un cannone contro il palazzo, qualcuno sparò
e uccise monsignor Palma affacciato
a una finestra (Kertzer). Le forti tensioni spaventarono
il papa, spingendolo il 24 novembre 1848 a fuggire da Roma per
Gaeta, travestito da prete, nella carrozza dell'ambasciatore bavarese
conte Carlo di Spaur, insieme alla moglie di questo, Teresa Giraud,
sfuggendo all'assedio del Quirinale da parte delle guardie civiche.
Nel palazzo intanto l'ambasciatore francese d'Harcourt fingeva
di conversare con lui ad alta voce per coprire la fuga (Kertzer).
Le potenze cattoliche, Francia, Spagna e Impero austro-ungarico
contesero al Regno delle Due Sicilie l'onore di ospitare il papa,
mentre riceveva offerte d'asilo anche dal Regno Unito e addirittura
da New York (Monsagrati). Pio IX scelse come ospite Ferdinando II,
che amava vantarsi della sicurezza del suo regno, dicendo che
era difeso su tre lati dall'acqua salata e sul quarto dall'acqua
santa (il Regno delle Due Sicilie era circondato su tre lati dal
mare ed aveva una sola frontiera terrestre, con lo Stato Pontificio)
(Kertzer).
Roma senza
il papa
Quella che Garibaldi chiamò la fuga vergognosa
dei soldati dei preti e della reazione, invece di creare
disordini per mancanza di governo, spinse i romani ad autogestirsi:
tra dicembre 1848 e gennaio 1849 si succedettero diversi governi,
finché il 21 e 22 gennaio si tennero le elezioni per l'Assemblea
nazionale, che videro la partecipazione di circa 250mila elettori,
un terzo degli aventi diritto, e si svolsero senza incidenti (Kertzer). Furono le prime elezioni a suffragio
universale in Italia e tra le prime al mondo, anche se per consuetudine
votavano solo i maschi.
Gli eletti furono 200, di cui solo 27 erano nobili. Tra di essi
Carlo Luciano Bonaparte,
principe di Canino, nipote di Napoleone e cugino di Luigi Napoleone,
presidente della Repubblica francese, Pietro
Sterbini, poeta mazziniano ed ex-carbonaro e ministro sia
dello Stato pontificio, sia della Repubblica romana, e monsignor
Carlo Emanuele Muzzarelli,
intellettuale e primo ministro di uno degli ultimi governi di
Pio IX prima dell'avvento della Repubblica, oltre a Giuseppe Garibaldi
e Giuseppe Mazzini.
Un gesuita nelle sue memorie non nascose il fastidio per la forte
partecipazione popolare, in particolare per il fatto che il becchino
di Trastevere avesse ricevuto più di cento voti (Carocci). L'Assemblea costituente fu istituita
nella seduta del 29 dicembre 1848 dell'Assemblea nazionale (Mazzuca), e iniziò i lavori il
5 febbraio 1849, con i suoi membri che vestivano la fascia con
il tricolore italiano (Chigi).
A riprova della vivacità della vita pubblica romana c'è
la prima rappresentazione il 27 gennaio al Teatro
Argentina dell'opera di Giuseppe Verdi
La battaglia di Legnano
scritta su richiesta del teatro stesso, con tema patriottico,
che suscitò grande entusiasmo tra i romani, con grida di
"Viva Verdi!" e "Viva l'Italia!"
dal coro iniziale "Viva Italia! Sacro un patto / Tutti
stringe i figli suoi " al coro finale "Italia
risorge vestita di Gloria, invitta e regina qual'era sarà".
La nascita
della Repubblica
Il 9 febbraio 1849 l'Assemblea nazionale proclamò dal Campidoglio la Repubblica romana, e
immediatamente Goffredo Mameli inviò un telegramma a Mazzini:
scrivendo: Roma, Repubblica, Venite. Mazzini
entrò a Roma da Porta del
Popolo il 5 marzo (Chigi). La Repubblica era guidata da
un triumvirato, formula scelta per evitare la presidenza, che
dava troppo potere a uno solo, risultando simile a una monarchia,
mentre il consolato poteva portare a una deriva napoleonica, e
semplici ministeri sarebbero stati troppo soggetti a crisi (Severini). Il primo triumvirato era composto
da Giuseppe Mazzini, Aurelio
Saffi e Carlo Armellini,
che come primo atto, peraltro non pubblicizzato, si dimezzarono
l'assegno mensile (Monsagrati).
La Repubblica romana, già nel suo primo giorno di insediamento,
emise il Decreto fondamentale
proposto da Quirico Filopanti
(pseudonimo di Giuseppe Barilli), approvato con 120 voti a favore,
10 contrari, 12 astenuti (Natalini),
che stabiliva che il papato era decaduto di fatto e di diritto
dal governo temporale dello Stato Romano, mentre gli riconosceva
e garantiva l'esercizio del potere spirituale.
Fino alla proclamazione della Costituzione, il Decreto Fondamentale
fu la legge di base della Repubblica e il regime era di fatto
democratico perché tutti gli atti dei vari poteri erano
subordinati all'Assemblea eletta dal popolo (Monsagrati).
La proclamazione della Repubblica fu accompagnata da grandi manifestazioni di giubilo
popolare, con salve di cannone, suono di campane, funzioni
religiose, spettacoli pirotecnici, feste e banchetti, erezione
di alberi della libertà, vessilli tricolori, illuminazione
delle pubbliche vie e dei principali palazzi, affissione di manifesti
e proclami del governo sui muri, comizi improvvisati e discussioni
e dibattiti nei luoghi pubblici (Severini).
Le scelte
della Repubblica
La Repubblica romana, nella sua breve vita, fu un autentico laboratorio
di democrazia, nel quale si sperimentarono pratiche di partecipazione
sconosciute altrove. Varò molte leggi per garantire i diritti
civili a quelli che erano diventati cittadini e non più
sudditi: fu il primo stato europeo a proclamare che la credenza
religiosa era libera e non poteva costituire una discriminante
per l'esercizio dei diritti civili, furono abolite la pena di
morte e la tortura (Prili), fu introdotto il suffragio universale
e la partecipazione delle donne alle assemblee preelettorali.
Furono poi aboliti la censura sulla stampa e cessò la giurisdizione
ecclesiastica sulle scuole e le università, fatta eccezione
per i seminari, come anche sugli ospedali, gli orfanotrofi e tutti
gli stabilimenti di beneficenza (Chigi).
Fu istituita una Commissione di nove deputati per raccogliere
le segnalazioni dei cittadini su problemi, abusi, torti subiti,
bisogni, reclami e altro, che fu molto attiva (Monsagrati), fu abolito il Tribunale del Sant'Uffizio
(la Santa Inquisizione), e la liberazione dei prigionieri di questo
tribunale ebbe un altissimo valore simbolico (Kertzer).
Fu istituito il matrimonio civile, la maggiore età per
uomini e donne a 21 anni, fu abrogata l'esclusione di donne e
loro discendenti dalla successione, fu abolita la leva obbligatoria,
furono sanciti il diritto alla casa e la laicità dello
Stato (Prili). Nei tribunali fu del tutto abolito
l'uso della lingua latina (Chigi).
Altri provvedimenti attaccarono il potere economico della chiesa
cattolica: furono incamerati i beni delle corporazioni ecclesiastiche
per 120 milioni di scudi (Prili),
e le terre furono date in enfiteusi libera e perpetua a famiglie
contadine, e ci fu un inizio di riforma agraria dando un rubbio
(poco meno di 2 ettari) di terra alle famiglie di almeno tre persone.
Fu sequestrato il palazzo del Tribunale
del Sant'Uffizio per dividerlo in appartamenti da affittare
ai bisognosi (Monsagrati).
Ogni cavallo trovato nei palazzi del Vaticano e del Quirinale
fu confiscato, così come quelli di proprietà della
Guardia nobile pontificia (Kertzer).
Si iniziarono a creare le strutture di uno stato moderno, come
l'Ufficio centrale di Statistica e l'Istituto
nazionale per le vaccinazioni.
Altre leggi istituirono un prestito forzoso da parte dei più
ricchi, che poteva arrivare ai due terzi dei beni, e fu abolito
il Monopolio del sale, concesso in appalto al duca Alessandro
Torlonia, con esclusiva del commercio e riscossione della
tassa, che aveva fruttato enormi guadagni (Natalini). Il prezzo fu ridotto a un baiocco la libbra,
e fu anche abolito il monopolio dei tabacchi (Chigi).
Per il resto la Repubblica rispettò gli uomini del vecchio
regime, a parte eccessi individuali, spesso dovuti a vendette.
A posteriori Mazzini disse governammo senza prigioni,
senza processi (Morigi).
La stampa
della Repubblica
La libertà di stampa nelle Repubblica romana si espresse
in un gran numero di pubblicazioni edite soprattutto a Roma e
che incontravano un grande successo, anche se spesso avevano una
breve durata. Tra di essi il Don Pirlone,
"giornale di caricature politiche",
il Cassandrino, "giornale
comico-politico di tutti i colori", trisettimanale, che
da marzo 1849 continuò con il "Cassandrino
repubblicano : giornaletto di assoluta liberta per la grazia
di Dio e del popolo", "Il
Tribuno", giornale quotidiano, politico, letterario,
il quotidiano "Il positivo",
il quotidiano "Il contemporaneo",
sul quale scriveva anche Pietro Sterbini, "L'
Italia del popolo" : "giornale quotidiano
dell'Associazione nazionale italiana, diretto da Giuseppe Mazzini",
Il costituzionale romano"
giornale politico trisettimanale, che alla fine della Repubblica
continuò con "L'Osservatore romano", predecessore
dell'omonimo attuale quotidiano vaticano.
Una collezione completa (75 testate) dei periodici della Repubblica
romana e del periodo immediatamente precedente, insieme a migliaia
di altri documenti digitalizzati su questo tema, si può
consultare sul sito web dedicato www.repubblicaromana-1849.it
della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma.
I difensori
della Repubblica
Alla proclamazione della Repubblica l'esercito pontificio passò
in blocco dalla parte degli insorti (Prili), inoltre accorsero rivoluzionari da tutta
Europa, tedeschi, francesi, inglesi, polacchi, belgi, svizzeri,
ungheresi e olandesi, riuniti nella Legione Straniera, di 1.400-1.500
unità (Carocci).
Mazzini in Assemblea chiese con urgenza provvedimenti per la sopravvivenza
della Repubblica, e su sua proposta fu eletta una commissione
militare di cinque membri, con a capo Carlo
Pisacane, già ufficiale borbonico diplomato alla scuola
militare della Nunziatella, per elaborare piani di difesa dello
Stato (Natalini). Tra i compiti della Commissione
c'era anche la distribuzione di armi (picche, alabarde, pietre
e qualsiasi strumento atto a poter ferire)
(Carocci).
Il 27 aprile Giuseppe Garibaldi
entrò a Roma da Porta Maggiore,
chiamato da Mazzini, due giorni dopo lo sbarco dei francesi a
Civitavecchia. Le sue truppe furono collocata nel monastero dì
San Silvestro in Capite, in
piazza San Silvestro, dal quale furono sgomberate le suore (Chigi). Garibaldi fu nominato generale
di brigata, ma rimase deluso perché avrebbe voluto essere
nominato generale in capo (Garibaldi).
Vennero formate quattro brigate. La prima di 2.700 uomini, agli
ordini di Garibaldi per difendere il settore tra Porta
Portese e Porta San Pancrazio, comprendente legione garibaldina,
battaglione giovani reduci, battaglione universitario, legione
emigrati e finanzieri.
La seconda brigata, di 400 uomini, comandata dal colonnello Luigi Masi, copriva la zona tra Porta
Cavalleggeri e Porta Angelica, la terza brigata comandata dal
colonnello Savini, era schierata a difesa delle mura sulla sinistra
del Tevere, mentre la quarta brigata, di 3.000 uomini, agli ordini
del colonnello Bartolomeo Galletti,
di riserva, per intervenire dovunque ci fosse bisogno, e comprendeva
la Legione Romana, gli Zappatori del Genio, e i Carabinieri (Prili)
La Repubblica romana scontò una mancanza di uomini e di
armi, tanto che il 1° aprile un decreto
intimò ai cittadini di consegnare, dietro pagamento, i
propri fucili. Tutte le campane inutilizzate della città
fossero impiegate per costruire cannoni per la difesa della Repubblica
(Kertzer), e le carrozze dei nobili e dei
cardinali furono requisite e private degli abitacoli per farne
carri per trasporti militari (Chigi).
Pio IX
la prende male
Pio IX reagì in modo violento alla creazione della Repubblica
romana, e anche dopo la sua fine vomitò una quantità
impressionante di contumelie e calunnie contro i suoi successori
al potere. Nella lunga allocuzione del 20 aprile 1849, nota come
"Quibus
quantisque" disse, tra l'altro: "le domande
di nuove istituzioni ed il progresso tanto predicato da tali uomini
mirano unicamente a tenere sempre vive le agitazioni, a eliminare
ogni principio di giustizia, di virtù, di onestà,
di religione; e ad introdurre, a propagare ed a far largamente
dominare in ogni luogo, con gravissimo danno e rovina di tutta
la società umana, lorribile e fatalissimo sistema
del Socialismo, o anche Comunismo, contrario principalmente al
diritto ed alla stessa ragione naturale".
E ancora: "molto bene conoscete, Venerabili Fratelli,
quelle orrende e mostruose opinioni che, scaturite dal fondo dellabisso
a rovina e a desolazione, già prevalsero e vanno furibonde
con danno immenso della Religione e della Società. Le quali
perverse e pestifere dottrine i nemici non si stancano mai di
diffondere nel volgo, con le parole e con gli scritti, e nei pubblici
spettacoli per accrescere e propagare ogni giorno di più
la sfrenata licenza di ogni empietà, di ogni cupidigia
e libidine".
E "la città di Roma, sede principale della Chiesa
Cattolica è ora divenuta, ahi! una selva di bestie frementi,
ridondante di uomini dogni nazione, i quali o apostati,
o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo o del Socialismo,
ed animati dal più terribile odio contro la verità
cattolica, sia con la voce, sia con gli scritti, sia in qualsivoglia
altro modo si studiano con ogni sforzo dinsegnare e disseminare
pestiferi errori di ogni genere, e di corrompere il cuore e lanimo
di tutti, affinché in Roma stessa, se fosse possibile,
si guasti la santità della Religione Cattolica, e la irreformabile
regola della Fede"
Il papa e i suoi sostenitori misero in atto tutte le misure possibili
per ostacolare la repubblica, dal boicottaggio da parte degli
impiegati pubblici alle consuete madonne addolorate o altre immagini
sacre che piangevano o che aprivano gli occhi o scolorivano.
Pio IX fu preso di mira da numerose caricature e il 26 maggio
1849 fu persino l'oggetto di una pubblicazione detta "Corollario di jettature" nel quale
veniva additato come menagramo, indicando una serie di coincidenze
negative che avevano come vittime persone che lo avevano incontrato
o luoghi con cui aveva avuto a che fare.
Il papa scomunicò i promotori della Costituente, ma i romani
la presero in burla, scrivendo su una latrina in via Frattina
deposito di scomunica, e prendendo dei cappelli
cardinalizi di latta, che si tenevano in mostra da cappellari,
portandoli come in una processione mortuaria e poi buttandoli
nel fiume da Ponte Sisto (Chigi).
In soccorso
del papa
Il papa chiese in modo insistente alle monarchie cattoliche di
intervenire per rimetterlo sul trono. L'Impero austro-ungarico,
a cui appartenevano la Lombardia e il Veneto, temeva un eccesso
di liberalismo in Italia (Prili),
e il 23 marzo 1849, il giorno dopo aver sconfitto Carlo Alberto,
il cancelliere Klemens von Metternich
ordinò di occupare le province settentrionali dello Stato
pontificio, con l'esercito guidato da Franz
von Wimpffen, prima Ferrara e provincia, poi Bologna, dove
incontrò un'accanita resistenza, vinta solo con un intenso
bombardamento, che causò molte vittime e distruzione. Gli
autro-ungarici conquistarono poi Imola, Forlì, Cesena e
Rimini (Prili), quindi l'Umbria e le Marche
(Monsagrati).
Il 27 aprile il re delle Due Sicilie Ferdinando II con ministri,
dignitari ed esercito varcò il confine della Repubblica
romana. Garibaldi, nonostante fosse rimasto ferito nei combattimenti
contro i francesi del 30 aprile, uscì da Roma per andargli
incontro il 4 maggio, lo sconfisse a Velletri e Palestrina e lo
respinse (Natalini), e solo il divieto da parte dei
vertici militari repubblicani impedì all'Eroe dei due mondi
di inseguirlo nel Regno. I soldati regnicoli avevano un terrore
quasi religioso di Garibaldi e dei suoi soldati, tanto che erano
molto propensi ad arrendersi.
L'esercito spagnolo, invece, intervenne con molto ritardo e con
pochi effettivi (secondo Chigi 40 o 50), arrivando in pratica
a cose fatte.
L'intervento
francese
La Francia si trovava invece in una posizione delicata, la seconda
Repubblica, nata il 25 febbraio 1848, da una parte era legata
alla propria costituzione secondo la quale "giammai impiega
le sue forze contro la libertà di alcun popolo"
e stabiliva la libertà di culto, e dall'altra vedeva il
presidente della Repubblica neo-eletto, Luigi Napoleone Bonaparte,
nipote di Napoleone, assumere posizioni ambigue e opportuniste,
ma sostanzialmente reazionarie.
La Francia inviò il "Corpo di spedizione del Mediterraneo"
guidato dal generale Nicolas Charles Victor
Oudinot, che salpò da Marsiglia e Tolone il 21 aprile
1849 con 7.000 uomini, spacciato come difensore dei legittimi
interessi economici francesi, per evitare l'intervento dell'Austria.
Oudinot prometteva di rispettare il voto delle popolazioni
romane e non imporre alle popolazioni un governo
che esse non desiderassero.
I francesi alle 11:00 del 25 aprile 1849 iniziarono a sbarcare
a Civitavecchia, dove immediatamente
intimarono ed ottennero la resa della locale guarnigione repubblicana,
facendo così capire le proprie intenzioni. Lungo la strada
per Roma i francesi incontrarono numerosi cartelli che ricordavano
loro gli impegni di fratellanza e non ingerenza imposti loro dalla
Costituzione del 1848.
Anche i residenti francesi a Roma si rivolsero ai loro connazionali
in divisa con un manifesto, chiedendo
loro di non tradire gli ideali della Francia repubblicana e di
non intervenire in armi a sostegno dell'assolutismo.
Una delegazione di deputati dell'Assemblea romana invitò
Oudinot a revocare l'assalto, per evitare di incontrare una violenta
resistenza. Il generale rispose sprezzante "Sciocchezze!
Gli italiani non combattono. Ho prenotato un tavolo per cena all'Hotel de la Minerve, e arriverò
in orario" (Kertzer).
Oudinot non godeva di grande stima come militare: per il ministro
degli esteri francese Alexis de Tocqueville,
era talmente ottuso da non riuscire a pensare a due cose alla
volta: porre fine al terrore esercitato dai
demagoghi e al contempo incoraggiare il partito
dei liberali. Un editoriale del Times il 5 luglio diceva:
il generale Oudinot è stato scelto per l'incarico
perché figlio di un maresciallo napoleonico e grazie alle
sue conoscenze nella società francese (Kertzer).
Oudinot credeva quindi di trovare le porte aperte e il 30 aprile
ordinò l'assalto alla città, tra l'altro pianificando
l'entrata dalla Porta Pertusa,
che era murata da due secoli (Natalini).
I francesi furono invece respinti con gravi perdite, lasciando
molti prigionieri, e si accamparono a Castel di Guido, a 20 chilometri
dalla città.
Il 7 maggio il Triumvirato decretò che, non potendo mai
considerare la Repubblica Francese e quella Romana in stato di
guerra, si rimandavano i prigionieri francesi alla loro armata
e sinvitava il popolo a festeggiarli, e così accadde
(Chigi).
Si instaurò quindi una tregua di fatto, mentre Oudinot
chiedeva rinforzi e nell'Assemblea nazionale francese i deputati
di sinistra imponevano l'invio di un mediatore plenipotenziario,
il diplomatico Ferdinand De Lesseps,
per trattare. De Lesseps concordò con Mazzini il 30 maggio
una sorta di protezione francese della popolazione romana (Monsagrati), senza interferire nell'amministrazione
(Natalini), ma nell'accordo non era nominata
la Repubblica romana (Monsagrati).
Oudinot rifiutò la proposte di Lesseps e nel frattempo,
il 14 maggio, le elezioni legislative in Francia ebbero come risultato
un'Assemblea nazionale fortemente reazionaria. Lesseps fu richiamato
in patria e fu deferito al Consiglio di Stato. La sua carriera
diplomatica ebbe termine e si diede agli affari, promuovendo con
successo, l'impresa dello scavo del canale di Suez (1859-1869),
e con meno successo, lo scavo del canale di Panama.
Nel frattempo erano sbarcati 30mila soldati francesi di rinforzo,
e il 30 maggio, lo stesso giorno del patto Lesseps-Mazzini, in
serata l'esercito francese occupò Monte Mario (Natalini).
L'attacco
finale
Certo ormai del sostegno dell'Assemblea Nazionale francese, Oudinot
annunciò il proprio attacco a Roma per il 4 giugno, ma
con l'ennesima mossa sleale, iniziò ad attaccare alle tre
di notte del 3 giugno (Garibaldi). I romani non si aspettavano
l'attacco anticipato, e in più avevano trascurato la difesa
nei punti in cui i francesi attaccarono (Natalini).
L'attacco di Oudinot si protrasse per un mese, con forti cannoneggiamenti
dalle alture (Monti Parioli, Aventino) per evitare lo scontro
corpo a corpo, che sarebbe stato molto più sanguinoso per
gli aggressori. I francesi contavano 30mila uomini con 75 cannoni,
la Repubblica 19mila uomini, di cui 12mila regolari, in gran parte
provenienti dalle milizie pontificie.
Le mura gianicolensi, costruite nel 1643, costituirono la principale
difesa dei repubblicani. I combattimenti più duri si svolsero
a Porta Cavalleggeri, Porta San Pancrazio, e nelle
ville dei nobili, trasformate in bastioni di difesa: villa Corsini,
detta il Casino dei Quattro Venti (completamente distrutta, sui
suoi ruderi è stato edificato nel 1859 l'arco
dei Quattro Venti), villa Sciarra, villa Giraud detta il
Vascello splendida costruzione a forma di nave su uno scoglio,
presidiata dalla legione di Giacomo
Medici, che per tre settimane resistette anche quando fu ridotto
a un cumulo di macerie (Prili).
Villa Savorelli, oggi Villa Aurelia, era il quartier generale
di Garibaldi, e crollò in gran parte per i bombardamenti.
Davanti ad essa la batteria della Montagnola, che nella notte
tra il 29 e il 30 giugno si oppose ai francesi, e dopo accanita
lotta all'arma bianca tutti gli artiglieri che la difendevano
furono uccisi. Villa Spada nuovo quartier generale di Garibaldi,
fu tenuta fino all'ultimo dai bersaglieri di Luciano Manara (Prili).
La notte del 20 giugno
i francesi si impossessarono di un tratto dei bastioni di Trastevere,
dopo una lotta che vide nuovamente l'esercito romano resistere
in modo strenuo e forse anche questa ulteriore conferma di fedeltà,
indusse Mazzini ancora una volta a rifiutare di arrendersi (Prili).
L'esercito francese riuscì ad oltrepassare il Tevere presso
Ponte Milvio, nonostante la commovente
resistenza del Battaglione Universitario Romano. Si racconta che
gli studenti, rimasti senza munizioni, scagliassero contro il
nemico persino i loro libri (Prili).
Il numero di vittime della Repubblica romana non è certo:
per Severini morì circa un migliaio di persone, di cui
942 identificate, due terzi provenienti dallo Stato pontificio
e quasi la metà soldati regolari. Per Prili, solo nell'ultima
battaglia, morirono 3.000 italiani e 2.000 francesi.
Tra i difensori della Repubblica cadde Goffredo
Mameli, non ancora ventiduenne, autore del testo del "Canto
nazionale", poi "Canto degli Italiani",
inno della Repubblica romana, e dal 12 ottobre 1946 della
Repubblica italiana, e noto anche come "Fratelli
d'Italia".
Mameli morì il 6 luglio di cancrena per una ferita alla
gamba subita nella battaglia del 3 giugno. Altri caduti illustri per la Repubblica
furono Enrico Dandolo, Luciano
Manara, Francesco Daverio,
Angelo Masina, Emilio
Morosini (Morigi).
L'assassinio
della Repubblica
Nel 1850 Karl Marx in "Le lotte
di classe in Francia dal 1848 al 1850" menzionò
"l'assassinio della repubblica romana per opera della
repubblica francese".
Il 30 giugno scattò l'attacco finale, Oudinot cercò
di imporre la resa, che venne rifiutata, ritenendo fosse meglio
cadere con onore (Monsagrati). Infine fu il municipio a concordare
con Oudinot le modalità di consegna di Roma agli invasori
dichiarando di cedere unicamente alla forza
(Monsagrati)
Il 3 luglio verso le 5 del pomeriggio incominciarono a sentirsi
da lontano il tamburo e i suoni della banda militare francese:
l'avanguardia delle truppe di Oudinot entrò da porta del
Popolo, marciò sul Corso e via Condotti, transitando davanti
al caffé Nuovo e a quello delle Belle Arti, i due caffé
più frequentati dai repubblicani, dove venne accolta da
fischi, urla e da «grida energumene: viva
la repubblica romana, morte ai preti, morte a Pio IX, non vogliamo
i preti » (Severini).
Venerdì 12 aprile 1850 nel pomeriggio, dopo 17 mesi di
esilio, il papa rientrò a Roma da porta
San Giovanni, "più assoluto di prima"
(Bonazzi).
Il 31 luglio il papa insediò una commissione di tre cardinali,
detta ironicamente "triumvirato rosso" per il
colore degli abiti dei cardinali, con il compito di annullare
punto per punto le leggi della Repubblica ma anche quelle di Pio
IX a contenuto liberale (Monsagrati).
Le autorità francesi soppressero immediatamente i numerosi
giornali che erano nati nel breve spiraglio di libertà
della repubblica. Il decreto
fu pubblicato sul Giornale di Roma, l'unico consentito, anche
con funzioni di giornale officiale, e l'ironia delle cose (o forse
fu una scelta deliberata) vuole che sia stato pubblicato proprio
il 14 luglio 1849, festa nazionale francese, ma anche giorno della
memoria della rivoluzione della liberté, égalité
e fraternité.
Garibaldi in piazza S. Pietro davanti a una marea di folla acclamante
tenne ai suoi legionari una orazion picciola
: io esco da Roma. Chi vuole continuare la guerra contro
lo straniero, venga con me. Io non offro né paga, né
quartieri, né provvigioni; io offro fame, sete, marce forzate,
battaglie e morte. Chi ha il nome d'Italia non sulle labbra soltanto
ma nel cuore, mi segua. Lo seguirono in 4.000 (Monsagrati), per dirigersi verso Venezia
e difendere la Repubblica sorella, ma strada facendo furono attaccati
dagli austriaci e dalle truppe fedeli al papa, che li uccisero
o li misero in fuga. Garibaldi, con la moglie Anita,
che il 26 giugno era arrivata a Roma da Nizza ed era incinta,
si diressero verso Venezia, ma furono attaccati da navi austriache
e si rifugiarono nel delta del Po dove Anita morì il 4
agosto 1849, probabilmente di malaria, presso la fattoria
Guiccioli, in località Mandriole di Ravenna. Nei giorni
seguenti, a 50 km di distanza furono fucilati Ciceruacchio, con
i 2 figli (uno di 13 anni) e altri, e a Bologna il sacerdote Ugo Bassi , fuggiti da Roma con Garibaldi.
Giuseppe Mazzini restò a Roma, quasi per sfidare le autorità
della restaurazione ad arrestarlo, e andò via solo il 16
luglio salpando da Civitavecchia su un vapore corso diretto a
Marsiglia, pur non avendo i documenti per l'espatrio, da dove
poi raggiunse Ginevra, passando per Lione (Monsagrati).
Le truppe francesi restarono a Roma fino al 1870: il 16 luglio
Luigi Napoleone, nel frattempo proclamatosi imperatore con il
nome di Napoleone III, aveva dichiarato guerra alla Prussia. Il
18 luglio Pio IX, nel corso del Concilio ecumenico Vaticano I,
proclamò il dogma dell'infallibilità papale. Questo
diede all'imperatore francese la scusa per abbandonare il papa
a sé stesso, così il 27 luglio ordinò il
ritiro delle truppe da Roma (Kertzer).
Meno di due mesi dopo, il 20 settembre, le truppe del Regno d'Italia
occuparono Roma, dopo essere entrate dalla breccia
di Porta Pia, e il 3 febbraio 1871 Roma divenne capitale d'Italia,
mentre il resto dello Stato Pontificio era stato annesso all'Italia
in varie riprese, a partire dal 1859.
I danni
di Oudinot al patrimonio artistico di Roma
La scelta di Oudinot di evitare il combattimento corpo a corpo
con i repubblicani, ma di bombardare a tappeto Roma dalle alture,
non poteva non creare danni ingenti ai gioielli del patrimonio
artistico di Roma.
Furono colpite chiese (S. Maria
in Trastevere) e ospedali (Santo
Spirito, quattro bombe, una delle quali ferì un'orfanella),
furono completamente distrutti gli affreschi del Pinturicchio
a San Cosimato, danneggiati quelli
del Domenichino a San Carlo ai
Catinari e l'Aurora di Guido Reni
a palazzo Rospigliosi, il cosiddetto tempio
della Fortuna Virile alla Bocca della Verità (oggi
detto Tempio di Portuno) fu colpito (Monsagrati). Il campanile di San
Pietro in Montorio, sul Gianicolo, crollò insieme al
tetto all'interno della navata (Natalini).
Il tetto della Cappella
Sistina fu colpito da 4 palle, rimbalzate altrove. In varie
sale del Palazzo Vaticano si ebbero vetri e cristalli rotti, nella
galleria degli arazzi giunsero 5 palle di stutzen (carabine),
una delle quali colpì un arazzo di Raffaello (San
Paolo predica ad Atene), e la Basilica
di San Pietro ebbe molti danni per palle di cannone (Natalini). Nel Palazzo
Colonna è tuttora conservata una
palla di cannone che si confisse in uno dei gradini della
galleria, ricca di opere d'arte e decorazioni preziose mentre
un'altra palla si trova
nella chiesa di San Bartolomeo
allIsola, e una sul fianco della chiesa di San Pietro
in Montorio, trovata nel 1995 e inserita in una lapide
commemorativa.
I rappresentanti consolari di USA, Inghilterra, Russia, Prussia,
Danimarca, Svizzera, Paesi Bassi, Regno di Sardegna, San Salvador
e Portogallo inviarono formale protesta a Oudinot perché
cessasse il bombardamento, senza alcun esito (Prili).
La testimonianza
di Werner
Una testimonianza dello stato dei luoghi dopo le battaglie è
stata lasciata dal pittore tedesco Carl
Werner (1808- 1894), che dipinse una serie di acquarelli,
dai quali nel 1858 l'incisore Domenico Amici (1808-post
1871) trasse dodici
lastre ad acquaforte ("Vedute dell'assedio di Roma nel
1849"), conservate nell'Istituto
Centrale della Grafica di Roma. Le stampe sono state scannerizzate
e sono consultabili sul sito della Regione Lombardia https://www.lombardiabeniculturali.it/.
Le donne
della Repubblica
L'aria di libertà e uguaglianza della Repubblica fu pienamente
colta dalle donne romane, che fin dall'inizio presero l'iniziativa
politica, partecipando alle riunioni elettorali, e l'iniziativa
militare, combattendo con gli uomini sulle mura.
La giovane Colomba Antonietti
di 23 anni, fornaia di Foligno (nata a Bastia Umbria), morì
il 13 giugno nei combattimenti a Porta S. Pancrazio, uccisa sul
colpo da una palla di cannone che la colpì di rimbalzo,
dopo aver ucciso un altro patriota. Per difendere la Repubblica
romana si era tagliata i capelli e si era travestita da uomo,
seguendo il marito Luigi Porzi, tenente dell'esercito repubblicano.
Aveva partecipato alle battaglie di Velletri e Palestrina, guadagnandosi
gli elogi di Garibaldi.
Le donne parteciparono anche alla costruzione delle barricate,
spesso ornandole con dei fiori, alla riparazione delle falle nelle
mura alla raccolta di sassi micidiali e pietre inesorabili
alla fabbricazione delle cartucce
e al pericoloso disinnesco delle bombe inesplose. Inoltre molte
romane rinunciarono ai propri gioielli per sostenere le casse
repubblicane (Carocci).
La principessa Cristina Trivulzio di
Belgiojoso organizzò un servizio di ambulanze militari
per la prima volta al mondo, prima ancora di Nightingale
(che inizià la sua opera durante la guerra di Crimea nel
1854), mobilitando molte donne protagoniste del Risorgimento,
anche straniere (Monsagrati).
Tra le donne che soccorrevano i feriti si distinsero le prostitute,
e questo diede al papa l'ardire di offendere in modo sfrontato
tutte le donne che si sacrificavano in un compito ingrato, di
pura pietà cristiana verso il prossimo. Nell'enciclica
Nostis
et nobiscum Pio IX scrisse che i "nemici della verità,
della giustizia e di ogni onestà (...) costrinsero
talvolta i poveri infermi, in lotta con la morte e privati di
tutti i conforti della Religione, a rendere lanima fra gli
allettamenti di qualche sfrontata meretrice.
Il mese successivo Cristina di Belgiojoso, in risposta alle parole
del papa, gli rispose: Santo Padre, scrisse,
lessi in un foglio francese parte di un'enciclica di
V.S. ai vescovi d'Italia in cui [
] V.S. aggiunge che quelle
vittime furono costrette a spirare in braccio a prostitute. La
introduzione delle donne negli ospedali di Roma sendo stata opera
mia [...] credo dovere rispondere alle accuse della Santità
Vostra. [...] Gli ospedali tutti furono sempre regolarmente serviti
da sacerdoti, e [...] non una delle tante vittime, a buon diritto
dalla S.V. compiante, morì senza l'assistenza di un prete
e il conforto dei sagramenti. Se la S.V. lo ignora, non lo ignorano
però i Delegati Suoi, perché reintegrati appena
i Cardinali nella pienezza delle facoltà dalla S.V. loro
conferite, tutti i preti che avevano esercitato il loro sacro
ministero negli ospedali furono incarcerati nelle prigioni del
Santo Ufficio ". La lettera concludeva: L'accusa
dalla S.V. proferita non reggerà in faccia alla mia denegazione,
e coloro che alle pietose Romane davano nuova taccia e nome di
prostitute saranno ben pochi di numero, duri di cuore e ciechi
di mente. (Kertzer)
Gli ebrei
della Repubblica
Con l'elezione di Pio IX gli ebrei romani avevano visto una possibilità
di miglioramento della loro condizione, che imponeva loro l'obbligo
di residenza nel Ghetto, con
la chiusura dei cancelli e il divieto di uscirne di notte, oltre
alla negazione di tutti i diritti civili. I rappresentanti della
comunità ebraica di Roma avevano quindi inoltrato al papa
una petizione. Non avendo ottenuto risposta avevano trasmesso
copia del documento a Salomon
Rotschild, direttore della banca di Vienna, che forniva al
papa forti somme in prestito. Rotschild si era dunque incontrato
con il nunzio papale, chiedendogli di intercedere presso il pontefice.
Forse per questo Pio IX nei primi due anni del pontificato aveva
ammorbidito gli obblighi per gli ebrei, autorizzando alcuni di
loro a lasciare il loro quartiere, mentre le porte del ghetto
erano state abbattute il 10 aprile 1848, probabilmente dagli stessi
ebrei (Kertzer).
Con il ritorno dell'autorità pontificia, alla fine della
Repubblica romana, il cardinale Antonelli chiarì subito
che gli ebrei non avevano più il diritto di aprire negozi
al di fuori dei ghetti e che presto sarebbero stati rinchiusi
di nuovo all'interno dei loro quartieri (Kertzer).
Nella notte del 25 ottobre 1849, alle 4 di mattina, i militari
francesi stesero un cordone di sicurezza intorno al ghetto, dove
allora vivevano cinquemila ebrei, e per due giorni la polizia
papalina eseguì meticolose perquisizioni, casa per casa,
con l'intento di recuperare beni ecclesiastici rubati o ricettati.
Non trovarono quasi nulla ma si ebbe una conferma dell'odio razziale
degli strati più ignoranti del popolo romano contro gli
ebrei, utili come capro espiatorio della situazione di stallo
a Roma (Kertzer). Infatti all'esterno del Ghetto
i peggiori soggetti del popolino più basso tumultuavano,
in preda ad un mai sopito antisemitismo (Natalini).
Leon Carpi, nel diario "Blocco dei Francesi al Ghetto
di Roma" racconta lo stupore e l'ansietà che colpì
ogni famiglia, anche perché si taceva lo scopo della misura.
Quando poi all'alba del giorno seguente si seppe infine che dovevano
farsi delle visite domiciliari, il sollievo fu cancellato dal
vedere trascinati "crudelmente in carcere uomini onorati
e rispettabili, senza nessun'altra ragione che il capriccio. Si
gridava per la strada che lo stato d'assedio non verrebbe tolto
fino a che i capi della Comunità israelitica non denunziassero
quelli che possedevano, dicevano essi, gli oggetti sottratti ad
alcune chiese ed al Palazzo Apostolico" (Natalini).
La Costituzione
della Repubblica
La Repubblica romana durò solo 145 giorni, ma lasciò
un documento di grande importanza, la Costituzione
della Repubblica romana, scritta dall'Assemblea costituente,
approvata dall'Assemblea nazionale il 1° luglio e proclamata
dal Campidoglio il 4 luglio, con la lettura di tutti gli articoli,
tra applausi scroscianti e sventolare di fazzoletti dalle case,
in presenza dei francesi, che nel frattempo avevano occupato Roma,
ponendo fine alla Repubblica romana. La Costituzione contiene
principi avanzatissimi per l'epoca, ma anche di grande attualità,
come la libertà di culto (principio VII), l'abolizione
della pena di morte (art. 5) e il suffragio universale (art. 20),
che anticipavano la Costituzione della
Repubblica Italiana del 1948, novantanove anni dopo, come
anche la bandiera
e l'inno nazionale.
Difficoltà
della Repubblica e sua caduta
La caduta della Repubblica romana fu dovuta soprattutto all'attacco
contemporaneo di alcuni degli stati più potenti (Monsagrati), contro un esercito poco numeroso
e composto in gran parte da volontari, che non riuscirono a stabilire
alleanze internazionali. Inoltre non si riuscì a fare fronte
all'enorme debito pubblico ereditato dal regime pontificio e riconosciuto
dallo Stato: 46 milioni di scudi in buoni del tesoro svalutati
in mano a privati e banche straniere di cui 37 retaggio del malgoverno
di Gregorio XVI (Severini). L'insieme dei problemi pratici
portò anche delusione e sfiducia nei cittadini.
Si ebbero anche contrasti ideologici tra Mazzini, che temeva che
la Repubblica romana si risolvesse in un fenomeno locale, anziché
essere il primo nucleo di una Repubblica e di una Costituzione
italiana, e i repubblicani più progressisti (Mazzuca). Inoltre Mazzini cercava di tenere
a distanza qualunque discorso che alludesse alla lotta di classe,
e scrisse: l'indole, le abitudini, i locali bisogni dei
popoli romani offrono amplissima garanzia della natura moderata
e conservatrice della nostra Repubblica; talune di sedicenti repubblicani
rossi o socialisti sono affatto inapplicabili appo noi. La Repubblica
Romana ridotta e garantita nella sua normale e naturale essenza
non potrà mai essere una propaganda di principi rivoluzionari
e distruttori dell'equilibrio universale (Natalini).
Carlo Pisacane invece pensava alla Repubblica come uno strumento
di trasformazione sociale, pur lamentando l'inadeguatezza dei
democratici a suscitare la libera iniziativa popolare. La sua
idea di esercito rivoluzionario vedeva la saldatura tra questione
militare, prospettiva politica e questione sociale, unite nell'idea
di una nazione in armi per un'iniziativa di massa (Carocci). Una posizione in parte simile
venne sostenuta da Quirico Filopanti e soprattutto da Felice
Orsini, per il quale le ragioni della disfatta erano da attribuirsi
all'eccessiva moderatezza mostrata dal Triumvirato mazziniano,
a suo avviso responsabile di non aver assunto misure più
radicali e rivoluzionarie e di non avere esteso
l'insurrezione oltre i confini del regno di Napoli.
Però, nonostante in alcuni casi venisse sventolata la bandiera
rossa (Monsagrati), e nonostante le accuse di comunismo
scagliate da Pio IX e dalla stampa reazionaria, le tensioni socialiste
esistevano solo in embrione, e stentavano ad esprimere un'identità
indipendente. Oltre a Filopanti, solo Carlo Rusconi, primo eletto
a Bologna davanti a Filopanti, assunse posizioni assimilabili
a quelle socialiste. In effetti il Manifesto
del Partito Comunista era stato pubblicato da Marx ed Engels
solo un anno prima, il 21 febbraio 1848.
Medaglie
Il generale Oudinot, responsabile della disfatta francese del
30 aprile e dell'attacco a tradimento della notte tra il 2 e il
3 giugno fu premiato dal papa con il conio di una medaglia che
al recto riportava "Vict
· Oudinotius · Gallorum · Exercitui ·
Praefectus" (Victor Oudinot capo dell'esercito francese)
e al verso "Urbem
/ Expugnare Coactus / Civium et Artium / Incolumitati / Consulvit
/ A. MDCCCXLIX " (costretto a conquistare l'Urbe / ebbe
cura / dell'incolumità / dei cittadini e delle opere d'arte).
Come e quanto Oudinot si sia preso cura dei cittadini e delle
opere d'arte è stato spiegato nei paragrafi precedenti.
Esistono anche medaglie satiriche contro Oudinot e il papa, come
quella che riporta al recto "Ultimo Assedio _ 30 Giugno
1849" e al verso "Cani Francesi, / E Tu Brenno
Imbecille / E Tu Papa Impio / Maledizione / Sopra di Voi !"
(link).
O l'altra, in francese: "De Par /L. Napoleon, / La France
Papiste / En 1849 / Au 19° Siecle, / En Republique"
( Da parte di Luigi Napoleone, la Francia papista, nel 1849, nel
19° secolo, sotto la Repubblica) e al verso: "Detruit
Rome, / En Faveur / de l'Exile de Gaete / Honte à Pie IX
! / Honte / Aux Francais !" (distrugge Roma in favore
dell'esiliato di Gaeta. Vergogna a Pio IX! Vergogna ai francesi!)
(link).
Il ricordo
della Repubblica
Per molti anni il 9 febbraio, anniversario della Repubblica, fu
commemorato dai repubblicani, in particolare in Romagna e nelle
Marche (Severini).
Nel 1941 sul Gianicolo, vicino alla chiesa di San Pietro in Montorio,
in uno dei luoghi dove si svolsero le lotte più cruente,
è stato costruito il Mausoleo
Ossario Gianicolense, che custodisce le spoglie dei caduti
per la Repubblica romana, tra le quali, in fondo alla cripta,
quella di Goffredo Mameli.
La Porta San Pancrazio, semidistrutta nelle battaglie del 1849,
fu ricostruita tra il 1854 e il 1856, e il 17 marzo 2011, in occasione
del 150° anniversario dellUnità dItalia,
la Presidenza del Consiglio dei Ministri e lAssessorato
alle Politiche Culturali e della Comunicazione, Sovraintendenza
ai Beni Culturali di Roma Capitale, hanno promosso listituzione
all'interno di essa di un nuovo spazio Museale dedicato alla Repubblica
Romana del 1849, il Museo della Repubblica romana e della Memoria
Garibaldina (link).
Nello stesso giorno, il Presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, ha inaugurato
sul Gianicolo il muro della Costituzione
della Repubblica Romana del 1849. Sul parapetto del Belvedere
della Passeggiata al Gianicolo, vicino a Villa Lante, l'intero
testo della Costituzione è inciso
su pannelli in pietra artificiale, su un fronte di cinquanta metri
di lunghezza.
Sarebbe
bello tornare a festeggiare il compleanno della Repubblica romana,
ogni anno il 9 febbraio.
Bibliografia
BONAZZI
Luigi (1879) Storia di Perugia dalle origini al 1860. Volume II
- dal 1495 al 1860. Tipografia Boncompagni e C., Perugia. link
CAROCCI Roberto
(2017) La Repubblica Romana. 1849, prove di democrazia e socialismo
nel Risorgimento. Odradek, Roma.
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di grazia 1849 e secondo della loro repubblica. Tip. Sociale
degli Artisti Tipografi, Torino. link
CHIGI ALBANI
DELLA ROVERE Agostino (1906) Diario del Principe Don Agostino
Chigi dal 1830 al 1855. Stab. Tip. F. Filelfo, Tolentino (MC)
- Wikisource link
DEMARCO Domenico
(1992) Pio IX e la rivoluzione romana del 1848 : saggio di storia
economico-sociale. Edizioni scientifiche italiane, Napoli.
GARIBALDI Giuseppe (1932) Memorie autobiografiche. Casa
Editrice Bietti, Milano.
KERTZER David Israel (2019) Il Papa che voleva essere re :
1849: Pio IX e il sogno rivoluzionario della Repubblica romana.
Garzanti, Milano.
MARX Karl (1850) Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850.
www.marxist.org. link
MAZZUCA Giancarlo (2007) La storia della Repubblica Romana del
1849. Libro aperto, Ravenna.
MONSAGRATI Giuseppe (2014) Roma senza il Papa : la Repubblica
romana del 1849. Giuseppe Laterza & Figli S.p.A., Roma
- Bari.
MORIGI Massimo (1986) Gloria alla Repubblica romana : compendio
de "La Repubblica romana del 1849" di Giovanni Conti.
Edizione Moderna, Ravenna.
NATALINI Guglielmo (2000) Storia della Repubblica romana del Quarantanove.
U. Magnanti, Nettuno.
PIO IX (1849) Allocuzione Quibus, Quantisque
del Sommo Pontefice Pio IX. Libreria Editrice Vaticana, Città
del Vaticano. link
PRILI Claudio (2012) Anatomia di un sogno (La Repubblica romana).
Montedit, Melegnano.
SEVERINI Marco (2011) La Repubblica romana del 1849. Marsilio,
Padova.
Siti consultati
Biblioteca
di Storia Moderna e Contemporanea - Collezioni digitali - la Repubblica
romana. link
Università
di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche Archivio di Diritto
e Storia costituzionali - Costituzione francese del 1848 link
Musée
Carnavalet, Histoire de Paris. link
La Moneta
- Network di Numismatica e Storia - Numismatica Italiana link