Il penitenziario di Santo Stefano

L'isola di Santo Stefano, nell'arcipelago delle Ponziane o Pontine, è stata per 170 anni sede di uno stabilimento di pena, che ospitò molti detenuti, illustri e oscuri, ma tutti vittima di durissime condizioni di detenzione e spesso di violenze, che a volte portavano alla loro morte.

Le isole Ponziane
Le isole Ponziane hanno origine vulcanica, dal 18 dicembre 1934 appartengono alla provincia di Latina (prima erano in provincia di Napoli), e sono divise in due comuni, quello di Ponza, comprendente l'isola omonima con 3.107 abitanti su una superficie di 7,5 km² e le isole disabitate di Palmarola (1 km²), Zannone (0,9 km²) e Gavi (0,24 km²). L'altro comune dell'arcipelago è quello di Ventotene, che comprende l'isola omonima (sito web) con 708 abitanti in 1,25 km², e l'isola disabitata di Santo Stefano (0,29 km²).
Le Ponziane erano usate come luogo di confino già dall'età romana, e in particolare Ventotene (allora detta Pandataria) ospitò per cinque anni Giulia maggiore, la figlia dell'imperatore Augusto, mandata in esilio dal padre nel 2 a.C., mentre sua madre Scribonia, sebbene avesse chiesto di seguire la figlia, non fu accontentata. Più tardi la figlia di Giulia, Agrippina maggiore, madre del futuro imperatore Caligola, fu inviata da Tiberio sull'isola, dove si lasciò morire di fame. Anni dopo Ottavia, moglie di Nerone, fu mandata in esilio nel 62 d.C. e poco dopo fatta uccidere dal marito stesso all'età di vent'anni. Infine Pandataria fu dimora obbligata di Flavia Domitilla, che aveva come nonno l'imperatore Vespasiano e come zii gli imperatori Tito e Domiziano, confinata in quanto cristiana e poi proclamata santa.
Le isole pontine, dette “isole farnesiane”, erano parte di un vasto patrimonio feudale, attribuito nel 1738, in virtù di trattati internazionali, al re Carlo VII di Borbone, e quando nel 1759 questi divenne re di Spagna (con il nome di Carlo III), lasciò la corona di Napoli e i beni pertinenti a suo figlio, che divenne re Ferdinando IV. Le isole dell’arcipelago quindi facevano parte dei «beni allodiali», ossia erano parte del patrimonio personale della casa regnante dei Borboni, e ricadevano sotto la competenza della Giunta degli Allodiali, creata nel 1768, trasformata nel 1790 in Intendenza Generale degli Stati Allodiali.
Nel XVIII secolo il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone decise di ripopolare le Ponziane, compresa Santo Stefano, inizialmente, nel 1768, con duecento galeotti che dovevano edificare le case, insieme ad alcune carcerate, con le quali dovevano formare famiglie; in seguito vennero insediate sull'isola alcune famiglie di Torre del Greco, di Ischia, in particolare da Forio e da Serrara, ma anche da Napoli e dal Cilento.
Nel Novecento il regime fascista trasformò Ventotene in uno dei luoghi di confino degli oppositori politici.

L'isola di Santo Stefano
L'isola di Santo Stefano è la più orientale dell'arcipelago, ha una circonferenza di 2 km, con diametri di 750 m (est-ovest) e di 500 m (nord-sud) e altezza massima di 68 m. Le coste sono dirupate salvo che a nord-ovest, e si rilevano tre promontori: punta Falcone a nord, punta Romanella a nord-ovest e punta Spassaro a sud-est. La vegetazione è costituita prevalentemente da fichi, agavi e fichi d'India.
L'isola ospitava una sottospecie di lucertola, la lucertola di Santo Stefano (Podarcis siculus sanctistephani, Mertens, 1926), che si estinse probabilmente nel periodo in cui il penitenziario chiuse, a causa dei gatti rinselvatichiti e dei serpenti, e di un patogeno sconosciuto.
L'isola per Tolomeo era chiamata Parténope, mentre altri nomi dell'epoca romana erano Palmosa, Dommo Stephane e Borca, nel Medioevo Maldiventre, Bentilem e Betente, ed il nome attuale sarebbe dovuto ad un convento dedicato a Santo Stefano. L'isola fu colonizzata più volte, ma infine rimase disabitata per le scorrerie dei pirati saraceni, che la usavano come base per le loro incursioni. Il cronista seicentesco napoletano Innocenzo Fuidoro (Vincenzo D'Onofrio) racconta di due spedizioni a Ventotene, conclusesi con la cattura di barche pirate, la presa di saraceni come schiavi, e la liberazione di schiavi cristiani da parte dei napoletani (1660) e dei fiorentini (1664).

Il Panopticon
L'uso carcerario di Santo Stefano risale all'epoca borbonica: Ferdinando IV vi fece costruire un penitenziario, progettato tra il 1792 e il 1793 sul modello di quelli degli Stati Uniti dall'architetto Francesco Carpi, allievo del Vanvitelli, autore anche di edifici pubblici non carcerari sull'isola di Ventotene.
Per ragioni di economia la costruzione fu affidata a dei detenuti ai lavori forzati. Si scelsero dei condannati con pene inferiori a tre anni, in modo da evitare la tentazione dell’evasione. La soluzione ebbe successo : tra la fine del 1793 e l’estate 1795 erano state completate le fondazioni, il piano terra, il primo piano e l’avancorpo militare, ed era cominciata la costruzione della cappella al centro del cortile e del secondo piano.
Il sovraffollamento delle carceri napoletane, probabile concausa di un’epidemia, spinse ad accelerare la costruzione e a prevedere un terzo piano, che tra 1797 e 1798 era quasi terminato.
Secondo un testo del 1855, di Giuseppe Tricoli, lo stesso Carpi sarebbe stato in seguito recluso a Santo Stefano "per reato politico", o addirittura vi sarebbe morto, ma nella completa ricerca di Amelia Pugliese si evidenzia come in realtà nel periodo di presunta detenzione il Carpi era libero e svolgeva il suo incarico di funzionario. I militari in servizio a Ponza, guidati da Luigi Verneau e dallo stesso Francesco Carpi, aderirono al governo repubblicano di Napoli. Verneau, dopo la fallita rivoluzione libertaria partenopea antiborbonica, fu impiccato a Ponza.
Il penitenziario era progettato secondo un modello panottico, che prevedeva un controllo visivo totale e costante dei detenuti, per ottenere il "dominio della mente su un'altra mente", come teorizzato nel trattato "Panopticon" (1787), opera del filosofo inglese Jeremy Bentham, (1748-1832), coadiuvato dal fratello Samuel Bentham (1757-1831), ingegnere.
La struttura circolare si sviluppava intorno a un cortile, ed era ispirata ai gironi dell'Inferno dantesco. Nel cortile avvenivano le punizioni corporali, vere e proprie torture che, a scopo di ammonimento, erano inflitte sotto gli occhi di tutti i detenuti, grazie proprio alla forma circolare.
In corrispondenza dell'entrata la struttura circolare è interrotta da un edificio rettangolare, munito di due torri verso l'esterno e di una terrazza con due garitte verso l'interno. Ai piani superiori di questo edificio alloggiavano il chirurgo, due medici, il farmacista, gli infermieri e i sorveglianti. Al piano terra si trovavano gli uffici della direzione, amministrativi e della matricola, i magazzini di vestiario ed alimenti, e la taverna, gestita da un privato ed aperta anche agli abitanti di Ventotene.
Il penitenziario fu inaugurato il 26 settembre 1795 con i primi 200 detenuti, che presto divennero 600, il numero previsto a regime, e poi 900, divisi in 99 celle tutte uguali, ciascuna delle dimensioni di 4,50 x 2,20 m.
All'entrata del penitenziario il Carpi fece apporre come monito la frase latina: "Donec sancta Themis scelerum tot monstra catenis victa tenet, stat res, stat tibi tuta domus" e cioè: finché la santa Temi (personificazione della giustizia per gli antichi greci) terrà avvinti in catene così tanti mostri, lo Stato e la tua casa saranno al sicuro.

I primi detenuti politici
Il 23 gennaio 1799 fu proclamata la Repubblica Napoletana, protetta dai francesi, che nel giugno dello stesso anno fu travolta dalla restaurazione monarchica, sostenuta dai sanfedisti del cardinale Ruffo e da diversi stati europei. Molti repubblicani furono incarcerati, anche sull’isola di Santo Stefano, e molti altri furono giustiziati. Tra gli incarcerati c’era Raffaele Settembrini, padre di Luigi, che vi passò quattordici mesi.
Anche il generale Enrico Michele L’Aurora, che difese Castel dell’Ovo, ultimo baluardo a difesa della repubblica, passò 23 mesi a Santo Stefano, che descrisse come "due anni di ferro e miserie".

Le "Ricordanze" di Settembrini
Tra i molti detenuti politici e comuni, a Santo Stefano fu recluso anche Luigi Settembrini (1813-1876), patriota e letterato che vi fu incarcerato nel 1851, per scontare una condanna all'ergastolo, convertita in esilio nel 1859, alla vigilia del crollo del dominio borbonico. Settembrini nelle "Ricordanze della mia vita" descrive così l'isola: "Difficilmente vi si approda, e soltanto sopra piccoli battelli, poiché intorno è irta di scogli, e lo stretto mare che la divide da Ventotene è sempre agitato e rumoroso. Tutti i venti la battono, e vi portano in uno stesso giorno il rigore, il tepore e il calore di tutte le stagioni". Settembrini descrive poi l'ergastolo: "Ma entriamo in questa tomba dove sono sepolti circa ottocento uomini vivi: vedremo dolori che il mondo non conosce e non può mai immaginare: vedremo uomini imbestiati che sono discesi all'ultimo fondo dell'abiezione umana: e da questo abisso di dolore e di delitti innalzeremo gli occhi e la voce a Dio affinché consoli chi soffre, e consigli chi fa soffrire". E ancora: "Chi si avvicina a Santo Stefano vede da mare sull'alto del monte grandeggiare l'ergastolo, che per la sua figura quasi circolare sembra da lungi una immensa forma di cacio posta su l'erba. Il gran muro esterno, dipinto di bianco e senza finestre, è sparso ordinatamente di macchiette nere, che sono buchi a guisa di strettissime feritoie, che dànno luogo solo al trapasso dell'aria. Per iscendere sull'isola si deve saltare su di uno scoglio coperto d'alga e sdrucciolevole. Cominciando a salire per una stradetta erta e scabra, si trova in prima una vasta grotta, nella quale il provveditor dell'ergastolo suol serbare sue provvigioni; poi montando più su si vede il dosso del monte industriosamente coltivato".

Settembrini prosegue: "Immagina di vedere un vastissimo teatro scoperto, dipinto di giallo, con tre ordini di palchi formati da archi, che sono i tre piani delle celle dei condannati: immagina che in quel luogo del palcoscenico vi sia un gran muro, come una tela immensa, innanzi al quale sta lo spazzetto chiuso dalla palizzata e dal fosso: che nel mezzo di esso muro in alto sta una loggia coverta, che comunica con l'edifizio esterno, e su la quale sta sempre una sentinella che guarda, e domina tutto in giro questo teatro: e più su in questa gran tela di muro sono molte feritoie ad ogni punto. Così avrai l'idea di questo vasto edifizio, che ha forma maggiore di mezzo cerchio, con in mezzo un vasto cortile, ed in mezzo al cortile una chiesetta di forma esagonale, chiusa intorno da vetri. Il cortile è lastricato di ciottoli, ha due bocche di cisterne, e tre basi di pietra, con ferri che sostengono fanali. Il lastricato e le cisterne sono fatti da pochi anni: prima nel cortile erano ortiche e fossatelle d'acqua, dove i condannati andavano a bere, e spesso coi coltelli contendevano per dissetarsi a quelle fetide pozzanghere"
Settembini stima che in vent'anni erano morti nel carcere milleduecento prigionieri, mille dei quali uccisi dai compagni o dai carcerieri.
(Parte seconda - 1849-1859 - Gli ergastolani)

Athos Lisa
Il dirigente comunista Athos Lisa, detenuto a Santo Stefano, descrisse così il penitenziario: "L'interno dell'ergastolo mi apparve freddo, severo come una pietra tombale ... Il mio pensiero corse agli anfiteatri romani e alla loro storia, perché l'inferno, all'ergastolo, è fatto a guisa di anfiteatro. Le celle si snodavano lungo una circonferenza della quale non mi è stato possibile valutare la dimensione. Ve ne erano al piano terra e al primo piano. Un ballatoio completamente scoperto si snodava su tutta la circonferenza favorendo la sorveglianza diurna e notturna ... Al centro, elevata da terra, dominava la chiesa, circondata da un terrazzo da cui si potevano sorvegliare i detenuti durante il passeggio. Sotto la chiesa, i cortiletti per il cosiddetto passeggio. Il tutto formava una specie di complesso monumentale: alla sommità la chiesa con pareti di vetro per consentire ai detenuti di "assistere" alla messa senza uscire dalle celle; attorno alla chiesa il ballatoio per la sorveglianza, e più sotto i cortiletti che formavano una raggiera circolare".
Athos Lisa scrive che un giorno stava passeggiando nella sua cella a Santo Stefano, quando si aprì la porta e irruppe il secondino. “Che fate?”. “Cammino” rispose Lisa. “Ma fate schioccare le dita.” soggiunse lui. “Ebbene?” “Ebbene ciò non è permesso”.
(pag. 24)

Prigionieri illustri
A Santo Stefano fu detenuto e ucciso l'anarchico pratese Gaetano Bresci (vedi la mia pagina su di lui), condannato all'ergastolo per l'uccisione del re Umberto I , ma assassinato il 22 maggio 1901, dopo pochi mesi dal trasferimento nel penitenziario dell'isola.
Un'altra vittima di Santo Stefano fu il giovane militante comunista Rocco Pugliese (vedi la mia pagina su di lui), morto il 17 ottobre 1930, assassinato dai secondini, anche se, secondo una versione ufficiale, morì soffocato dal cibo o, secondo un'altra versione, ancora meno credibile, si suicidò.
Un altro detenuto illustre fu Silvio Spaventa e anche il brigante calabrese Giuseppe Musolino e il brigante lucano Carmine Crocco furono reclusi a Santo Stefano.
Il regime fascista usò Santo Stefano come luogo di detenzione per gli oppositori politici: tra di essi, oltre al già menzionato Rocco Pugliese, vi fu Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica dal 1978 al 1985. Inoltre furono incarcerati sull'isola i leaders comunisti Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Athos Lisa, e il socialista Giuseppe Romita (in seguito Ministro della Repubblica), il bandito anarchico Sante Pollastro e Guido Sola, un giovane comunista di Biella, poi mandato a morire nel tubercolosario di Pianosa.
Anche Ponza e Ventotene furono luoghi di detenzione e confino per gli antifascisti, e il nome della seconda isola è tuttora famoso per il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, confinati sull'isola, che è considerato il documento base della futura Unione Europea.
Altri antifascisti reclusi nelle Ponziane furono i comunisti Giorgio Amendola, Luigi Longo, Walter Audisio, Pietro Secchia, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, Giovanni Roveda ed Eugenio Curiel, l'azionista Riccardo Bauer ed il socialista Lelio Basso.

Le sevizie
I penitenziari dell'epoca fascista erano teatro di sevizie e angherie inflitte ai detenuti, che spesso si concludevano con la morte delle vittime, del tutto in balia della brutalità dei loro custodi, certi dell'assoluta impunità. Spesso i corpi erano fatti sparire o tumulati in modo anonimo e di solito le famiglie non venivano nemmeno avvertite.
Una delle sevizie più comuni in caso di proteste o insubordinazione era il cosiddetto "Sant'Antonio", voce derivata dal gergo dei camorristi, che consisteva nell'irrompere all'improvviso nella cella, coprire la vittima con una coperta, e poi colpirla duramente a calci, pugni, bastonate o con le grosse chiavi delle celle. La coperta serviva per non far riconoscere gli aggressori, per soffocare le grida della vittima e impedirgli di reagire, e anche per non lasciare segni sul corpo del bersaglio del pestaggio, che potessero testimoniare l'aggressione. Secondo l'anarchico ligure Giuseppe Mariani, già detenuto a Santo Stefano, in quel penitenziario durante i pestaggi non si usava nemmeno la coperta, visto che le guardie, certe dell'impunità, non ritenevano di dover prendere alcuna precauzione.
Rocco Pugliese morì a Santo Stefano, strangolato oppure ammazzato di botte dai secondini; il pestaggio di cui fu vittima è così descritto da Francesco Spezzano "dopo avergli buttato sulla testa una coperta (...) lo uccisero a bastonate" e ancora "le sue grida disperate furono udite a lungo dai compagni di pena (...) che, chiusi nelle altre celle, nulla poterono fare per aiutarlo".
La morte dei detenuti durante i pestaggi è invece così descritta da Sandro Pertini, che fu recluso a Santo Stefano dal 1929 al 1930, e nel 1947, deputato dell'Assemblea Costituente, ricordò: " ... parlo per esperienza personale (...) . In carcere, onorevole Ministro, si fa questo: si percuote un detenuto; sotto le percosse il detenuto muore, ed allora tutti si preoccupano e si preoccupano non soltanto gli agenti di custodia che hanno percosso il detenuto, ma anche il direttore, il medico, il cappellano e tutti coloro che fanno parte del personale di custodia. Ed allora fanno questo: denudano il detenuto, lo legano all'inferriata e lo fanno trovare così appeso. Viene il medico e fa il referto di morte per suicidio. Questa fu la fine di Bresci. Bresci è stato percosso a morte, poi hanno appeso il cadavere all'inferriata della sua cella di Santo Stefano, dove io sono stato un anno e mezzo".
Ugoberto Alfassio Grimaldi, a proposito della morte di Bresci scrive: "Quel 22 maggio tre guardie gli avevano fatto il “Santantonio”: cioè coperte e lenzuola addosso e poi bastonate fino alla fine; i resti erano stati seppelliti, in luogo rimasto senza traccia negli archivi di S. Stefano, da due ergastolani mandati appositamente da un’altra casa di pena e ricondotti subito via; il comandante dell’ergastolo era stato promosso e le tre guardie premiate".
Nella stessa opera si ricorda che l'assassinio dei detenuti politici nelle carceri fasciste non era un caso isolato, come testimoniano i casi di Gastone Sozzi nel carcere di Perugia e di Romolo Tranquilli, il fratello di Ignazio Silone, nel carcere di Procida. L'edizione clandestina dell'Unità del 1° gennaio 1929 riporta i nomi di detenuti comunisti morti o comunque sofferenti nelle carceri fasciste. Anche Adriano Ossicini descrive l'applicazione del Santantonio nel carcere romano di Regina Coeli, durante il fascismo.

Nel 1806 dopo un'evasione di massa, il carcere fu chiuso, per essere riaperto solo nel 1817. Tra l'ottobre 1860 e il gennaio 1861 Santo Stefano fu sede della cosiddetta Repubblica di Santo Stefano, una specie di stato autogestito messo in piedi con una rivolta da un gruppo di alcune centinaia di camorristi detenuti, affiliati alla Bella Società Riformata. La ribellione era stata facilitata dalla partenza della guarnigione borbonica di stanza nel carcere, che aveva dovuto accorrere alla difesa di Capua, messa sotto assedio da parte delle truppe di Garibaldi.
I camorristi si dettero delle norme molto rigide, che prevedevano la pena di morte non solo per l'omicidio, ma anche per furti o aggressione alle guardie carcerarie. La repubblica ebbe termine dopo tre mesi dalla sua nascita per l'arrivo dei marinai del regno d'Italia e la conseguente resa, senza spargimento di sangue, dei rivoltosi. Il successivo processo, nel 1866 vide solo lievi condanne e molte assoluzioni per i rivoltosi.

La rivolta del 1943
Dal 14 al 18 novembre 1943 Santo Stefano fu sede di un’altra rivolta, causata soprattutto dalla paura della morte per fame e per sete, per la situazione di abbandono dell’isola dopo l’armistizio dell’8 settembre.
A partire da luglio del 1943 Santo Stefano e i suoi ospiti si trovarono infatti in una situazione ancora più precaria di quella abituale, per l'interruzione, dapprima parziale, e poi totale, dei rifornimenti, condivisa con Ventotene e i suoi abitanti e confinati.
Il 23 luglio 1943 una squadriglia aerea alleata, forse di quadrimotori americani, aveva sganciato bombe di medio calibro in mare, forse per liberarsi prima dell'atterraggio del carico rimasto dopo una missione, e una delle bombe aveva colpito il penitenziario, causando un ferito.
Il 24 luglio 1943 un aereo bimotore britannico Beaufighter silurò e affondò il piroscafo Santa Lucia, che collegava Napoli alle isole Ponziane, compreso Santo Stefano, ed era l'unica fonte di rifornimento per il penitenziario, causando 65 vittime.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre, gli alleati avevano liberato i 49 prigionieri politici, ma avevano lasciato nel carcere i 248 detenuti comuni, che si trovarono abbandonati dal resto del mondo e senza risorse, vigilati da solo 39 agenti.
Le scorte alimentari si erano esaurite e per l'acqua ci si poteva affidare solo a quella piovana, in assenza di sorgenti sull'isola. Vennero macellati tutti gli animali rimasti, e si ridussero le razioni alimentari, integrandole con erbe di campo raccolte sull'isola, ma anche così gli ospiti di Santo Stefano arrivarono sull'orlo della morte per inedia.
L'unica via di uscita che apparve ai detenuti fu l'evasione. La rivolta non fu quindi l’esito di una lunga preparazione, ma un atto disperato per non morire di fame e di sete.
Così il 14 novembre scoppiò la rivolta, innescata da sei reclusi, tra i quali Sante Pollastro e Giuseppe Mariani, che non era stato liberato dagli alleati in quanto condannato per un reato comune, l'attentato del 1921 al teatro Diana a Milano che provocò la strage di 21 persone.
I rivoltosi presero in ostaggio le guardie, colte di sorpresa, che comunque reagirono uccidendo uno dei detenuti, Giuseppe Ligregni. In seguito presero in ostaggio anche il direttore De Paolis e i civili, tra cui le famiglie del personale. Durante la rivolta furono bruciati l’archivio amministrativo e i registri della prigione.
Non disponendo di barche per allontanarsi in massa, alcuni rivoltosi si recarono con parte degli ostaggi a Ventotene, con la barca di un fornitore, giunto a Santo Stefano e preso anche lui in ostaggio. L’intenzione era di negoziare la fornitura di un natante da portare a Santo Stefano per imbarcarvi i rivoltosi e portarli altrove. L'isola di Procida è ben visibile da Santo Stefano, e la costa tirrenica della penisola non è comunque lontana.
In realtà a Ventotene prima i carabinieri e poi i militari inglesi presero il controllo della situazione, arrestarono Mariani e lo inviarono a Santo Stefano per comunicare ai rivoltosi l’intimazione della resa, pena il bombardamento dell’isola. Nonostante forti resistenze di Pollastro, alla fine i detenuti si arresero, grazie anche alla persuasione di Mariani.

Eugenio Perucatti
Nel luglio 1952 si insediò nel penitenziario il nuovo direttore Eugenio Perucatti, che avviò una rivoluzione nel rapporto tra carcere e detenuti, grazie alla sua forte umanità, che lo portava a creare stretti rapporti con ciascun detenuto, prestando molta attenzione alle esigenze individuali, ad esempio facilitando i contatti e i colloqui con i parenti.
Perucatti curò con molta attenzione la formazione professionale dei detenuti, come strumento di redenzione. La piazza antistante l'edificio principale del carcere fu chiamato proprio "piazza della Redenzione". Perucatti fece anche costruire a Santo Stefano un campo di calcio, con tanto di tribune e spogliatoi, e un cinema.
La politica di apertura verso i detenuti valse a Perucatti molte critiche da parte di chi sosteneva invece un approccio intransigente e senza concessioni, e alcune evasioni di detenuti dal penitenziario furono utilizzate come scusa per rimuoverlo dalla direzione di Santo Stefano. Nel luglio del 1960 Perucatti fu trasferito a dirigere il carcere di Turi e poi a Roma, in un ufficio del settore minorile.
Per la cronaca le evasioni da Santo Stefano si verificarono anche dopo la sua gestione, dimostrando che questi episodi non erano frutto di un eccessivo permessivismo, ma erano il naturale sbocco della voglia di chi è recluso di riacquistare la libertà.

Un libro
Nel 2017 il giornalista Pier Vittorio Buffa ha pubblicato un libro, edito da Nutrimenti, dal titolo "Non volevo morire così" dal sottotitolo "Santo Stefano e Ventotene. Storie di ergastolo e di confino", che racconta le storie di carcerati di Santo Stefano e di confinati di Ventotene, raccolte in gran parte dai loro fascicoli conservati negli archivi, tra i quali quelli di Santo Stefano.

Oggi
Il penitenziario fu chiuso definitivamente il 2 febbraio 1965, e nel 1981 sul portone d'ingresso è stata posta una lapide poi spostata sul viale d'accesso, per commemorare la detenzione di Sandro Pertini e dei prigionieri politici reclusi a Santo Stefano nei suoi 170 anni di attività.
Dalla chiusura del carcere l'isola di Santo Stefano è abbandonata, e questo ha portato a un deterioramento progressivo degli edifici, per l'azione degli agenti atmosferici e per i vandalismi e le spoliazioni di oltre cinquant'anni, spesso causati dalla ricerca di souvenir da parte di qualche sciocco.
Data l'enorme importanza storica e architettonica del sito, negli anni sono state avanzate varie proposte di riqualificazione e reimpiego, ma anche progetti di riconversione turistica e alberghiera.
Fortunatamente questi ultimi sono attualmente impraticabili in quanto l'isola, compreso il carcere, sono vincolati come bene culturale e fanno parte di una riserva naturale statale, e anche l'approdo è proibito su oltre la metà del periplo.
Con il Decreto del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali del 14 maggio 1987, il complesso dell’“Ergastolo di Santo Stefano” è stato dichiarato bene di interesse particolarmente importante, ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle cose d’interesse artistico e storico. Con il Decreto del Ministero dell’Ambiente 11 maggio 1999 è stata istituita la riserva naturale “Isole di Ventotene e Santo Stefano”.
A Ventotene ha sede il Centro di ricerca e documentazione sul confino politico e la detenzione – isole di Ventotene e Santo Stefano, creato dal Comune di Ventotene, dall'Università degli studi di Milano, dall’Istituto Nazionale Parri e da storici locali, per promuovere lo studio della storia contemporanea e della sociologia della pena. Il Centro organizza convegni, percorsi didattici e divulgativi, come i Viaggi della Memoria, per valorizzare il patrimonio documentale sulla detenzione e l’internamento, in particolare nelle isole minori italiane. Il centro si occupa anche della promozione dei principi fondanti l'idea europea, contenuti nel Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
Il complesso degli edifici carcerari è di proprietà statale, mentre il resto dell'isola è di proprietà di un privato. Una difficoltà comune a tutti i tipi di progetto è la mancanza di approdi, che rende difficoltoso lo sbarco delle persone, e quasi impossibile lo scarico delle merci.
Al settembre 2018 sono fermi 70 milioni di euro, stanziati nel 2016 dal governo dell'epoca, compresi dei fondi europei, per la trasformazione del carcere in un centro per studi di alta politica.
Nel settembre del 2018 l'isola è stata aperta alle visite guidate, condotte da Salvatore Schiano di Colella, profondo ed appassionato conoscitore del sito, ma le visite sono terminate il 30 settembre, e sono riprese nell'estate-autunno 2019.

Ultimi sviluppi
Dal 2020 è stato riavviato il progetto di recupero di Santo Stefano. Con decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 2020, Silvia Costa è stata nominata "Commissario straordinario del Governo per il recupero e la valorizzazione dell’ex Carcere borbonico dell’isola di S.Stefano-Ventotene" (sito web). La carica in seguito è stata rinnovata per un anno.
Il 18 dicembre 2020 è stato presentato a Roma un documento strategico per il “Progetto Ventotene - per il recupero del Carcere di Santo Stefano", alla presenza, tra gli altri, del ministro per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo, Dario Franceschini e del ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano.
Il progetto, basato sui 70 milioni di euro già stanziati dal CIPE, comprende Santo Stefano e Ventotene, e prevede un Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS), firmato nell'agosto 2017, con Invitalia come soggetto attuatore, basato su uno sviluppo sostenibile e integrato dell’isola, sul rafforzamento della coscienza europea, per il recupero dello straordinario patrimonio culturale, tramite partenariati, accordi quadro, protocolli con università, archivi, centri di ricerca italiani ed europei per realizzare un piano di attività e ricerca culturale e formativa.
I lavori interesseranno il restauro, allestimento e riuso del Panottico, del corpo di guardia, dei torrioni, della casa del direttore, degli altri fabbricati, degli approdi e del cimitero. Entro giugno 2021 inizieranno i lavori e poco prima si lancerà il concorso internazionale di progettazione dell’intero complesso. I lavori si concluderanno entro il 2025 (con messa in sicurezza a metà 2023); il recupero e il riuso dell’ex casa del direttore sarà terminato a maggio 2023; la realizzazione e adeguamento degli approdi a ottobre 2022. Il Museo partirà anche prima del 2025, e sarà sempre visitabile anche durante il cantiere; a partire da metà del 2023 potranno partire molte attività legate alla formazione e alla convegnistica. L'intero progetto andrà a regime nel 2026.
La visita al carcere sarà uno dei punti fondamentali, e nel museo, con disponibilità di una app di realtà aumentata, si visiteranno sezioni dedicate al progetto architettonico originario, alla vita del carcere e al progetto Perucatti, alle politiche UE a sostegno di democrazia, libertà di espressione, diritti umani. Sono previsti circa 36.000 visitatori annui, oltre ad 30 eventi e spettacoli l'anno, con circa 5.400 spettatori paganti annui.
Il 21 dicembre 2020 il Commissario straordinario Costa, e il Direttore della Biblioteca nazionale centrale di Roma (BNCR), Andrea De Pasquale, hanno sottoscritto una convenzione per la ricerca bibliografica dei documenti significativi e loro digitalizzazione, metadatazione e importazione nella teca digitale della Biblioteca (sito web), dalla quale saranno resi disponibili su un portale unico di accesso.
La commissaria Costa ha incontrato il direttore del carcere di Cassino, in cui è stata trasferita una parte dell’archivio storico dell’ex carcere di Santo Stefano dopo la chiusura nel 1965, ed ha concordato di trasferire i registri superstiti dei detenuti presso l’archivio di Stato di Latina, per la loro sistemazione, classificazione e digitalizzazione.
L’isola di Santo Stefano sarà anche raggiunta dalla fibra ottica, secondo un piano che porterà la banda ultra larga nelle zone del Paese dove gli operatori privati non avrebbero convenienza ad investire.
Sarà creato un punto informativo, che accoglierà chi sbarcherà a Ventotene, uno spazio dove scorreranno immagini e saranno esposte foto e notizie sull'andamento dei lavori e la possibilità di visita al cantiere. Una mostra fotografica con le immagini di Santo Stefano prima dell'inizio dei lavori aprirà al pubblico all'inizio di marzo 2021 in una sede romana.
Il 17 gennaio 2022 il governo italiano, presieduto da Mario Draghi, ha deciso di intitolare il “Progetto Ventotene - per il recupero del Carcere di Santo Stefano" alla memoria di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, europeista e sostenitore del progetto, venuto improvvisamente a mancare l'11 gennaio 2022.
Dal 24 gennaio al 22 aprile 2023 presso l'Archivio di Stato di Napoli si è tenuta la mostra "Isolamenti. Viaggio tra i documenti di archivio delle isole carcere di Santo Stefano, Ventotene e Procida in epoca Borbonica (1770-1860)", curata da Candida Carrino, Direttrice dell’Archivio e da Anthony Santilli, referente dell’Archivio Storico di Ventotene e Santo Stefano.

L'Associazione
L’8 febbraio 2016 è stata costituita l’Associazione per Santo Stefano in Ventotene Onlus, per promuovere iniziative diretta al recupero, alla valorizzazione ed alla destinazione d’uso dell’ex carcere e degli edifici connessi, nella convinzione che questo luogo simbolo della memoria collettiva italiana e del processo di formazione dell’identità nazionale debba essere sottratto al degrado seguito alla sua chiusura nel 1965, restituendolo al patrimonio storico-artistico italiano e destinandolo a sede di iniziative permanenti che ne consentano l’uso ed il godimento ai visitatori, agli studiosi e ai ricercatori.

Informazioni
Per informazioni sulla eventuale riapertura del sito si può contattare:
- il Museo Storico Archeologico di Ventotene al telefono +39.0771.85345 (durante gli orari di apertura, variabili, da verificare).
o in alternativa
- il comune di Ventotene, ai seguenti recapiti:
Posta ordinaria: Comune di Ventotene Piazza Castello, 1 - 04020 Ventotene (LT)
Telefono: +39.0771.85014
Fax: +39.0771.85265
PEC::protocollo@pec.comune.ventotene.lt.it
Sito Web: http://www.comune.ventotene.lt.it/hh/index.php.

 

Le mie foto di Santo Stefano (28 settembre 2018)
Puoi usare queste foto a condizione di citarne la fonte

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- BUFFA Pier Vittorio (2019) Salviamo il carcere d Santo Stefano. L'Espresso, 15 ottobre 2019
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http://galzeranoeditore.blogspot.it e-mail: galzeranoeditore@tiscali.it
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MOSTRE
Isolamenti. Viaggio tra i documenti di archivio delle isole carcere di Santo Stefano, Ventotene e Procida in epoca Borbonica (1770-1860). Archivio di Stato di Napoli, 24 gennaio-22 aprile 2023.

SITI WEB: (verificati il 21/08/2024):
Sito www.ventotene.it http://www.ventotene.in/isola/monumenti/carcere.aspx - http://www.ventotene.it/escursioni.aspx
Wikipedia,
http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_di_Santo_Stefano;
Il Manifesto di Ventotene,
https://www.cvce.eu/en/obj/il_manifesto_di_ventotene_1941-it-316aa96c-e7ff-4b9e-b43a-958e96afbecc.html;
L'articolo di Amelia Pugliese
http://www.ecn.org/filiarmonici/santostefano.html
Il testo di "Ricordanze della mia vita" di L. Settembrini: http://www.intratext.com/IXT/ITA2618/_PU.HTM
Una nuova vita per l'isola-carcere di Santo Stefano? 2 Agosto 2017
https://www.touringclub.it/notizie-di-viaggio/una-nuova-vita-per-lisola-carcere-di-santo-stefano
Isola di Santo Stefano - I. Pontine (LT) - Ex carcere di "Stato"
https://www.nauticareport.it/dettnews.php?idx=18&pg=4344
Sito sulle lucertole
https://www.lacerta.de/AS/Taxon.php?Genus=19&Species=85&Subspecies=191

Siti web non più raggiungibili (al 21/08/2024):
Ministero della Giustizia, Museo Criminologico, Roma http://www.museocriminologico.it/index.php/documenti2/2-non-categorizzato/76-gaetano-bresci;
Sugli anarchici: :http://dwardmac.pitzer.edu/Anarchist_Archives/goldman/
Marcello Botarelli, fotografo http://www.marcellobotarelli.it/santostefano/index.html.
Le due città, rivista dell'amministrazione penitenziaria n. 5 Anno VIII maggio 2007 http://www.leduecitta.com/articolo.asp?idart=1971;
Articolo di Giuseppe De Filippis, http://www.edificiabbandonati.com/Fotografie/Cartelle/C09-IsolaSSTefano/testo.htm;
Sito sulle specie estinte http://www.petermaas.nl/extinct/speciesinfo/santostefanolizard.htm
Terre Protette agenzia di viaggi tour operator, Roma http://www.terreprotette.it/tp2/106;


pagina creata il: 27 giugno 2009 e aggiornata al: 21 agosto 2024