La bicicletta è stata spesso considerata un mezzo di trasporto "sospetto", o addirittura sovversivo, ed è stata a lungo oggetto di divieti. In effetti questo veicolo, inventato nel 1817 e, nella versione attuale nel 1884, era all'inizio un mezzo di trasporto chic, costoso, e quindi elitario, riservato all'alta borghesia, che lo usava come svago.
I primi
ciclisti
In Italia i primi velocipedi si videro nel 1860, condotti da stravaganti
nobili ed alto borghesi che suscitavano la curiosità e
la paura dei passanti (Fontana).
Nel 1869 il sindaco di Milano vietava "in via assoluta
l'uso dei velocipedi in tutta la zona della città racchiusa
entro la cerchia dei Navigli" dal momento che "la
circolazione dei velocipedi riesce pericolosa tanto alle persone
che se ne servono, quanto al pubblico". Oltre alle ragioni
di sicurezza, altri sindaci spiegavano i divieti con il fatto
che la "macchina incuteva timore solo a vederla da lontano"
(Pivato,
1992).
Il velocipede non era accessibile alle classi subalterne, che
non avevano tempo da dedicare ai divertimenti, senza contare che
il prezzo d'acquisto di una bicicletta Adler,
Neumann, Swift (la preferita di
Italo Svevo) o Prinetti
Stucchi era pari ad un anno di salario di un operaio, e che
inoltre si doveva pagare una tassa di circolazione, per ottenere
il rilascio di un bollo fissato al telaio da un anello metallico,
senza il quale si andava incontro a sanzioni (Lombroso). All'inizio la tassa era comunale, di dodici
lire a Milano, di sei a Roma, poi nel 1897 la Camera dei deputati
approvò una legge che fissava la tassa a dieci lire per
le biciclette a un posto e quindici lire per quelle a due, equivalenti
al bollo attuale per una auto di media cilindrata, e che spingeva
anche qualcuno a rubare
il contrassegno.
Il governo prometteva da tempo l'abolizione di questa imposta.
Il deputato modenese Antonio Vicini, all'epoca appartenente all'estrema
sinistra, disse alla Camera nella seduta del 14 dicembre 1907:
non c'è alcuna ragione che per un oggetto che
costa 90 o 100 lire si debba pagare, come in Italia, una tassa
che rappresenta un vero strozzinaggio (Tarantini). Nel 1909 il Parlamento ridusse la tassa
a sei lire, soprattutto su pressione del Touring Club, che prevedeva
così una maggiore diffusione della bicicletta (Pivato, 1992).
In polemica con la tassa sulla bici, Lorenzo Stecchetti (Olindo
Guerrini, 1845-1916) scrisse: "Né molto andrà
che per voler sovrano avrete un contator fra i due ginocchi e
la marca da bollo al deretano" (Pivato, 1992).
Le forze politiche popolari
e rivoluzionarie erano all'inizio fortemente ostili a questo veicolo,
e ancora di più allo sport
ciclistico. Il 23 giugno 1894 lo scrittore Alfredo
Oriani, autore tra l'altro del libro "Bicicletta"
del 1902, ispirato al suo viaggio dalla Romagna alla Toscana con
una Bremiamburg a ruota fissa, e di "Sul pedale"
un'opera sulla bicicletta (link),
prese parte a Faenza ad una manifestazione
di protesta contro l'ordinanza del sindaco, del 6 giugno, che
proibiva ai "velocipedisti" di entrare in città
in bicicletta. I settanta ciclisti furono accolti dai faentini
con grida ostili e fischi e poterono lasciare la città
solo in tarda serata, scortati dai cavalleggeri (Dirani e L'Osservatore
romano).
Nei Touring club la bicicletta diventò strumento di turismo
per soddisfare le istanze di partecipazione al tempo libero delle
classi borghesi e popolari (Pivato, 1992).
L'8 novembre 1894 nacque a Milano il Touring Club Ciclistico Italiano,
che dal 1900 si chiamerà Touring Club Italiano, nato per
tutelare i ciclisti non tesserati in alcuna società sportiva.
Pur essendo apolitico per statuto, sosteneva rivendicazioni territoriali
nazionalistiche, con "trasferte patriottiche" in zone
di cultura italiana, ma appartenenti ad altri Stati, come Nizza,
la Savoia, il Canton Ticino, il Trentino, l'Alto Adige, il Carso
e Trieste (Sbetti).
Circoli ciclistici irredentisti erano diffusi in Friuli Venezia
Giulia, Trentino, Istria e Dalmazia, e durante le loro gite attraversavano
paesi, dove erano accolti dalla popolazione con canti patriottici,
con grande preoccupazione delle autorità austro-ungariche.
Anche la scelta delle biciclette aveva una motivazione patriottica,
preferendo le Bianchi, Gerbi
o Panzera alle austro-tedesche Adler, Pearl o Waffenrad
(Pivato,
1992)
La regina Margherita fu la prima componente della casa reale ad
iscriversi al Touring, ed amava girare per i viali della villa
reale di Monza sulla sua Bianchi in acciaio. Margherita aveva
imparato ad andare in bicicletta da Edoardo Bianchi, il fondatore
della casa ciclistica. L'esempio della regina aveva coinvolto
molte aristocratiche della sua corte (Gori).
A Rimini nel 1896 si aprì un dibattito politico per il
disturbo e gli incidenti provocati dai velocipedisti, e si propose
anche di istituire una licenza, da ottenere superando un esame
di idoneità, davanti ad una commissione nominata dal sindaco
"per impedire ai non esperti di circolare per le vie",
poi sostituita da un atto notorio. La giunta provinciale amministrativa
riteneva comunque illegale l'imposizione di una tassa di circolazione
(Pivato,
1992).
In quegli anni una guida
turistica del Touring club consigliava ai ciclisti di non passare
in Emilia Romagna, in particolare per Imola (Bologna) e Faenza
(Ravenna), per non essere oggetto di atti di teppismo, essendo
il ciclismo considerato un'attività borghese, e quindi
ostile alla classe operaia (Fontana).
Inizialmente anche i repubblicani e gli anarchici erano contrari
al ciclismo. Dopo il primo Giro, corso
nel 1909, il giornale repubblicano "La Giovane Italia"
definiva il Giro «una vergogna che disonora il popolo
d'Italia», mentre il repubblicano Arturo
Camprini si lamentava di aver visto vendere in poco più
di mezz'ora cinquecento copie della Gazzetta dello Sport,
mentre in cinque giorni si vendevano solo dieci copie della Giovane
Italia (Pivato,
1992). Un volantino dei primi anni '10
del Novecento, firmato «I giovani Socialisti, Mazziniani
e Anarchici», che iniziava con «Deplorate lo sport!» si
scagliava contro lo sport agonistico, distinto da quello che «nobilmente
intende al meraviglioso progresso scientifico» o «strumento
di diletto e di diporto», che non si potrebbe condannare
«senza incorrere nella taccia di nemici del
processo e del miglioramento umano». Il volantino invece condannava
«lo sport, che, con l'attrattiva d'improvvisa
fama e con la lusinga del subito guadagno dovuta quella a una
malintesa valutazione dei valori umani, dovuto questo ad intenti
di volgare speculazione, distoglie tante preziose energie giovanili
da ben altri più veramente nobili e proficui intendimenti
e da' sublimi ideali, e trattele nella sua orbita fatale, le asservisce
vergognosamente alle losche mire di lucro e di dominio della classe
capitalistica e borghese degli speculatori e dei grossi industriali
lanciandole, brutale e inconscio strumento di réclame in una folle
gara disperata, disseminata d'ogni sorta di fatiche, pericoli,
morte», e lamentava «il miserabile spettacolo d'incoscienza
e di sperpero di energie che offrono tutti quei giovani ciclisti
al Giro d'Italia», definendolo uno dei tanti «tranelli
che l'attuale sistema di governo plutocratico e borghese, ha teso
alla inconsapevole dabbenaggine delle moltitudini».
La chiusa del
volantino era «Abbasso lo sport!»
(Dirani).
Il Partito Socialista Italiano restò a lungo ancorato alla
convinzione che lo sport fosse una riproduzione in miniatura dei
meccanismi della guerra capitalistica, funzionale a speculazioni
industriali o nazionaliste e persino dannoso per il corpo. Lo
sport era nazionalista e clericale "una violenta reazione
muscolare alla inattività produttiva delle classi redditizie:
la rivincita insomma della natura contro l'ozio e l'inerzia."
(Petrini). L'ostilità dei socialisti
era soprattutto indirizzata contro l'agonismo e la presenza di
classifiche, vista come contraria agli ideali solidaristici, tanto
che le prime competizioni socialiste non prevedevano classifiche,
e la prima riunione dell'internazionale sportiva socialista a
Gand nel 1913 discusse la proposta di abolire classifiche e premiazioni.
Inoltre lo sport fomentava il nazionalismo ed il militarismo.
La contiguità con il militarismo era confermata dal fatto
che spesso a capo delle associazioni ginniche si trovavano generali,
tra i quali Fiorenzo Bava Beccaris, che guidò la strage
di Milano del 1898 contro le proteste per il carovita e Luigi
Pelloux, capo del governo, due volte ministro dell'interno e tre
volte ministro della guerra, autore di feroci repressioni antipopolari
(Pivato,
1992).
Questa posizione,
che probabilmente risentiva delle radici agrarie del PSI, portò
Benito Mussolini, allora direttore dell'"Avanti!"
addirittura a dichiarare, il 1 dicembre 1912, di voler cospargere
di chiodi la via Emilia al passaggio dei corridori del Giro d'Italia
(Sbetti). I giovani socialisti definivano
i partecipanti al Giro "velocipedastri" e il
dirigente socialista Giuseppe Zibordi così descriveva il
ciclista: "curvo come un punto interrogativo sul criminoso
manubrio a corna di buffalo, concentra nei piedi tutte le sue
facoltà fisiche e intellettuali" e aggiungeva
"è certo infatti che generalmente i corridori non
sono che degli anormali, col carattere (spiccatissimo) dei delinquenti".
Inizio
dell'uso politico della bicicletta
La situazione cambiò quando la bicicletta divenne un mezzo
di trasporto accessibile a tutti, grazie alla riduzione del prezzo
dovuta alla crescente diffusione ed al progresso tecnologico.
Nel 1893 una bicicletta costava 1655 ore di lavoro, nel 1913 solo
357 (Pivato,
1992). Per una bicicletta
Bianchi si passò da un costo di oltre 300 giornate di lavoro
di un operaio a fine Ottocento, a 100 giornate dieci anni dopo.
Si aprì quindi un dibattito nei partiti e nelle organizzazioni
operaie, tra favorevoli e contrari alla pratica sportiva. La sezione
socialista di Imola nel maggio 1904 promosse una società
ricreativa nella convinzione che "non è monopolio
delle classi borghesi il saper vivere fraternamente la vita collettiva
dei circoli e dei ritrovi" (Ridolfi).
Lo sport era anche promosso come strumento di lotta contro l'alcolismo,
flagello delle classi lavoratrici. Il 31 agosto 1910 il giornale
"Sempre Avanti!" pubblicava un articolo del suo
direttore Francesco Paoloni, che sottolineava come l'alcolismo
abbrutisca e renda insensibili ad ogni incitamento ideale, mentre
«ogni abbrutito di meno, potrà essere
domani un milite di più nell'esercito combattente del proletariato»
(Giuntini).
Molti rivoluzionari rifiutavano il ciclismo come sport e la bicicletta
come strumento di svago, ma la accettavano come simbolo di modernità
e come strumento di lotta, ottima non solo per raggiungere il
posto di lavoro, ma anche per tenere i collegamenti tra le fabbriche
occupate, per avvisare gli operai dell'arrivo delle forze dell'ordine,
per diffondere la stampa rivoluzionaria, per raggiungere ed organizzare
i lavoratori nei centri più isolati e nelle campagne, e
consentire loro di partecipare alle manifestazioni nelle città.
Questo carattere "sovversivo" della bicicletta spinse
anche le autorità ecclesiastiche a guardarla con sospetto
considerandola "una vera anarchia, assimilabile all'ermafroditismo"
e addirittura a proibirne l'uso ai sacerdoti , pena misure disciplinari
e addirittura la sospensione a divinis (Izagirre, Pivato, 2011).
Nel 1910 un parroco del ravennate aveva sollevato sul bollettino
parrocchiale un problema: può un parroco che deve accorrere
d'urgenza al capezzale di un ammalato grave "inforcare
la bicicletta nonostante il superiore divieto?" dandosi
una risposta positiva. ("lo può"). Il
vescovo di Faenza, di diverso avviso, aveva disposto il sequestro
del bollettino, confermando il divieto assoluto, in ogni situazione,
a causa della "molta dissipazione che avrebbe prodotto"
una sospensione anche parziale del divieto (Pivato, 1992). Un trafiletto
del Messaggero di Roma del 1894 testimonia della transizione della
Chiesa cattolica dal rifiuto all'accettazione della bicicletta.
Nellestate del 1894,
lAssociazione milanese di ciclisti socialisti aveva per
scopo la propaganda delle idee socialiste e partecipava alle corse
ciclistiche per fare propaganda elettorale in favore di Leonida
Bissolati. Sempre a Milano, nel 1896, i gruppi Pro
Ideale e So-cialisti nel quinto collegio
elettorale di Milano facevano propaganda per Filippo
Turati (Senatori,
2011). Nel 1898, in
occasione dei moti popolari di
Milano contro la fame, il famigerato generale Bava Beccaris con
un bando aveva proibito la circolazione
di «biciclette, tricicli e tandem»
per evitare che diventassero un mezzo di comunicazione prezioso
tra gli insorti.
Altri gruppi attivi erano la sezione ciclistica Forza
e Costanza delle cooperative di Brescia, e il Club
Ciclistico Avanti a Roma (Senatori, 2011). Solo
grazie ai Ciclisti Rossi il quarto congresso nazionale socialista,
tenutosi a Firenze dall'11 al 13 luglio 1896, mise all'ordine
del giorno il problema dello sport (Boschi).
Nel 1900 il criminologo Cesare Lombroso
(1835-1909) concludeva un suo articolo con un paragrafo
sui vantaggi del ciclismo per il benessere e della civiltà:
«diminuì lisolamento dei piccoli
centri, mise la campagna a pochi minuti di distanza dalle abitazioni
e dalle capitali, fu alleato nelle votazioni ai partiti politici
più evoluti e che perciò sanno servirsi dei mezzi
più moderni di lotta». Inoltre Lombroso lodava i benefici
della bicicletta per la salute mentale, e concludeva con una frase
che oggi appare decisamente ottimista: «il cicloanthropos del secolo ventesimo soffrirà
meno di nervi, sarà più robusto di muscoli delluomo
del secolo ora trascorso».
Nello stesso articolo, però, Lombroso metteva in guardia
contro «la straordinaria importanza del
biciclo, sia come causa che come stromento del crimine»,
e citava una lunga casistica di crimini commessi per procurarsi
i soldi necessari a comprarsi una bicicletta e diventare campioni
di ciclismo o per rivenderla, oppure di uso della bicicletta per
fuggire rapidamente dopo una rapina.
I primi
Ciclisti Rossi
Nel nuovo secolo l'uso politico organizzato della bicicletta ebbe
un forte sviluppo in Emilia e in Romagna, dove i repubblicani,
i quali, all'epoca e fino al secondo dopoguerra, erano una forza
politica radicale e anticlericale, il 26 luglio del 1903 organizzarono
a Cervia il primo convegno ciclistico regionale, con partecipazione
di delegati delle Marche, per sottolineare l'importanza della
bicicletta per la diffusione delle idee rivoluzionarie di Giuseppe Mazzini. Un convegno di repubblicani
marchigiani e romagnoli che si tenne nella Repubblica di San Marino
nell'agosto 1904 ebbe grande risonanza sulla stampa (Pivato, 1992).
Il 12 giugno 1905, per iniziativa dei socialisti di Reggio
Emilia nacque il primo gruppo di Ciclisti Rossi: davanti alla
Cooperativa di Prato di Correggio si diedero convegno le squadre
ciclistiche di Reggio, Bagnolo, Correggio, Rubiera e San Martino
in Rio. L'incontro era promosso dalla locale Camera del Lavoro
per metterea disposizione"un rapido mezzo di conversazione
per le grandi battaglie dei lavoratori". L'iniziativa
ebbe grande successo e di li a poco si costituì l'Associazione
provinciale dei Ciclisti Rossi, dichiarando: "La bicicletta
che è già diventata un utile sussidio del lavoratore
isolato, deve anche diventare un potente ausilio per l'azione
collettiva nell'interesse delle masse proletarie" (Pivato, 1992).
Il 10 aprile 1906 a Carpi, in provincia di Modena, nacque l'Unione
Sportiva Socialista, aperta agli iscritti al Partito Socialista
in possesso di una bicicletta, con lo scopo di «giovare al Partito Socialista
nelle lotte elettorali, di organizzare gite di propaganda e piacere,
cortei socialisti ecc.».
Nel maggio 1906 i
componenti dell'Unione organizzarono un convegno contro la tassazione
eccessiva sulle biciclette, e il 3 giugno 1907 si tenne a Carpi
un raduno di quasi cinquecento ciclisti venuti da Reggio Emilia
e Correggio (Giuntini).
A Reggio Emilia i Ciclisti Rossi contavano quattromila associati,
divisi in squadre per ogni frazione di comune, e contraddistinti
da un berretto rosso; duemila di loro parteciparono in corteo
alla festa del 1° Maggio 1906. Due giorni prima, domenica
29 aprile, c'era stato un raduno preparatorio, che era anche una
manifestazione di protesta contro la tassa di circolazione sulle
biciclette. Il ruolo dei ciclisti era anche quello di fornire
un servizio d'ordine con rapidità di movimento per le manifestazioni
e i cortei. Nel giugno 1910 i Ciclisti Rossi diedero vita ad un
concorso ciclistico floreale. Si organizzarono numerose gite nella
provincia e alla testa delle squadre si trovava sempre la fanfara
del «Veloce Club». La presenza dei ciclisti
al corteo del 1° maggio diventò consuetudine, non solo
a Reggio Emilia, ma anche in provincia, come a Correggio, Guastalla, Scandiano, Cavriago
e Casoni (Fincardi,
2012b). In Romagna
era viva la competizione dei Ciclisti Rossi con le squadre ciclistiche
di repubblicani e cattolici (Ridolfi).
I Ciclisti
Rossi negli anni '10
La costituzione di una organizzazione nazionale dei Ciclisti
Rossi fu sostenuta da Giovanni
Germanetto e Mario Montagnana,
poi esponenti del Partito Comunista dItalia. Il 16 giugno
1912 ad Imola, il Congresso Socialista
Regionale, vide la nascita dei «Ciclisti Rossi»,
una società sportiva che però aveva scopi decisamente
politici, piuttosto che sportivi. Quel giorno settanta ciclisti
provenienti da Forlì con una fascia
rossa al braccio raggiunsero il congresso accolti da applausi
(Giannantoni
e Paolucci) preceduti da fanfara e bandiera
sociale
(Boschi). Il settimanale
"La Lotta", organo
della Federazione collegiale socialista imolese, nel numero dello
stesso giorno spiega: «Durante i periodi occasionali
di lotta, (elezioni, agitazioni, scioperi etc.) i Ciclisti Rossi
daranno modo ai nostri comitati di poter disporre di mezzi sicuri
e celeri per comunicazioni e corrispondenze, non solo, ma forniranno
ad essi un personale già disposto e preparato a viaggiare
attraverso il Comune ed il Collegio, con sufficiente conoscenza
di luoghi, di persone, ecc. Nelle grandi dimostrazioni,
infine, la Squadra dei Ciclisti Rossi che se lo spirito e l'entusiasmo
di tutti i compagni aiuterà, andrà sempre aumentando
di numero, completerà degnamente i nostri cortei, coadiuvando
efficacemente la loro organizzazione e conferendo ad essi ordine
e imponenza maggiore» (Fontana).
Il giornale della Federazione italiana giovanile socialista "L'Avanguardia",
dell'8 settembre 1912 sosteneva la tesi di usare i Ciclisti Rossi
per svolgere propaganda contro lo sport presso i giovani, piuttosto
che ricorrere all'ostruzionismo sportivo (Pivato, 1992).
Domenica 22 settembre 1912, sempre ad Imola, in concomitanza del
Congresso nazionale giovanile socialista, che si svolgeva a Bologna
da venerdì 20, si svolse il 1° Convegno Nazionale dei
Ciclisti Rossi (Zanelli), al
quale parteciparono 700 Ciclisti Rossi provenienti da varie regioni,
soprattutto del nord Italia, mentre Arturo
Vella, Amedeo Bordiga e Anselmo
Marabini tennero un comizio (Fincardi, 2012b). I partecipanti giunsero da Bologna con
un treno speciale, fecero tappa al Piratello per rendere omaggio
alla tomba di Andrea Costa. Nato
nel 1851 a Imola, Andrea Costa
fu uno dei fondatori del socialismo in Italia e primo deputato
socialista italiano, ed era morto, sempre a Imola, pochi anni
prima, il 19 gennaio 1910. I partecipanti al congresso si trovarono
poi alle scuole Carducci, sfilarono per le vie di Imola, furono
ricevuti in municipio, e visitarono le istituzioni operaie e socialiste
della città. Secondo lo spirito del raduno "le
biciclette rosse vogliono servire il nostro ideale, sostenere,
collegare, mantenere sempre affiatato il nostro movimento, le
nostre genti di ogni contrada" (Zanelli). Su "La Lotta" un anonimo
redattore manifestava contrarietà per la passione per la
bicicletta: "non da ieri abbiamo elevato vigorosa protesta
contro l'ossessione sportiva, che da qualche tempo ha invaso la
nostra gioventù operaia, distogliendola dalle sue occupazioni
della mente e della lotta diuturna contro il privilegio"
e ancora "la nostra è soprattutto una civiltà
spirituale. L'educazione fisica non deve venire a detrimento dell'educazione
intellettuale" (Zanelli).
Il Corriere della Sera diede un'interpretazione negativa
del convegno, visto come una manifestazione antimilitarista, sfociata
in un "grave tafferuglio davanti a una fiaschetteria frequentata
da nazionalisti" (Boschi).
A Reggio Emilia il 1° maggio del 1913 i Ciclisti Rossi, dopo
la sfilata in città al mattino, si recano nel pomeriggio
a Cavriago, per partecipare al boicottaggio della celebrazione
delle associazioni cattoliche. Lo stesso accadrà il 1°
maggio dell'anno seguente, a Quattro Castella (Fincardi, 2012b).
Nello stesso 1913 la rivista lughese «La Fiamma Socialista»
in occasione dei festeggiamenti del 1° maggio scriveva: «Tutti
i Ciclisti Rossi di Lavezzola, Conselice, S. Patrizio, Massalombarda,
Giovecca, S. Bernardino, S.M. in Fabriago e S. Lorenzo si recheranno
a S. Agata sul Santerno dove i Ciclisti Rossi di Villa S. Martino
e quelli di Lugo saranno ad incontrarli per recarsi tutti uniti
prima alla Casa degli organizzatori rossi di Lugo, poscia al Monumento
di Andrea Costa, a deporvi i fiori del ricordo e della promessa».
La terza parata è organizzata il 22 giugno 1913, come secondo
Convegno nazionale dei gruppi ciclistici socialisti. A causa di
temporali scroscianti varie delegazioni di ciclisti, tra cui quelle
di Torino, Venezia, Reggio e Lugo, devono rinunciare alla pedalata,
mentre gli imolesi e le delegazioni riuscite ad arrivare sguazzando
nel fango, riescono ugualmente a dettare le norme del loro circuito
organizzativo.
Imola vide, il 10 agosto
1913, la fondazione della Federazione nazionale dei Ciclisti Rossi,
con più di mille iscritti e sede in via
Appia, 7. Il 17 agosto 1913 ebbe luogo il quarto raduno, presentato
come il primo Convegno nazionale che costituiva ufficialmente
la Federazione dei Ciclisti Rossi, con la cittadina romagnola
tappezzata di manifesti e striscioni e bandiere rosse esposte.
La federazione dei Ciclisti Rossi consigliava di vestire una maglia
rossa con il distintivo sociale e in assenza di questa una fascia
rossa al braccio con indicata in nero "squadra Ciclisti
Rossi di ..." (Pivato, 1992).
Parteciparono un migliaio di ciclisti, con delegazioni, anche
da diversi centri della Romagna e dellEmilia. Il locale
settimanale socialista descrisse la riunione come «magnifica,
imponente ed entusiastica». Il giornale della FIGS «LAvanguardia»
poté ormai presentare la lotta di classe marciante sulle
due ruote: «Le biciclette rosse sono e saranno le avanscoperte
della nostra propaganda e del nostro movimento, i tramiti veloci
per cui le nostre genti di ogni contrada e di ogni paese resteranno
sempre affidate e collegate, sia in tempo di pace come in tempo
di guerra».
Alla fondazione della Federazione nazionale, i Ciclisti Rossi
erano diffusi soprattutto in Emilia, in Romagna, a Milano e Torino,
ma nuclei importanti esistevano a Pesaro, Firenze, Sesto Fiorentino,
Terni, Portici, Castellamare di Stabia e Sparanise, oltre che
a Città di Castello (vedi link),
Reggio Emilia, Imola e Cesena, dove le squadre esistevano già
da qualche anno
(Fincardi,
2012b).
Sempre Imola, il 24 agosto 1913 ospitò il primo Congresso
Nazionale dei Ciclisti Rossi, che approvò uno statuto secondo
il quale in periodi speciali (elezioni, agitazioni, scioperi),
i Ciclisti Rossi dovevano assicurare comunicazioni e corrispondenza
rapidi. Lo statuto proseguiva definendo i Ciclisti Rossi come
l'avanguardia della propaganda e del movimento socialista, e il
mezzo tramite il quale gli affiliati di tutte le contrade possono
restare in contatto, sia in tempo di pace, sia in guerra. La bicicletta
è definita "veicolo del popolo"
al servizio della lotta di classe, e il ciclismo agonistico è
denigrato, definendo lo sport come un problema gravissimo, che
storna l'attenzione degli operai e in particolare dei giovani,
distraendoli dallo studio dei problemi sociali e li allontana
dalle associazioni politiche. Venivano poi condannati quei giovani
più ansiosi di leggere La Gazzetta
dello Sport che l'Avanti!,
e preoccupati solo di fare l'amore e correre in bicicletta (Izagirre).
Ad Imola la Camera del Lavoro forniva servizi per i Ciclisti Rossi,
pubblicando sul suo settimanale "La Lotta" annunci
di questo tenore. «Compagni! Vi occorrono coperture e
camere d'aria per biciclette e volete spendere poco? Rivolgetevi
presso la Camera del Lavoro a v. Gamberini. Merce regolare a prezzi
imbattibili».
Programma
dei Ciclisti Rossi
Nel documento costitutivo del nuovo movimento sportivo popolare,
redatto dall'ideologo dei Ciclisti Rossi, Antonio Lorenzini, e
riportato in un dattiloscritto inedito Storia del ciclismo
UISP di Sergio Giuntini (l'UISP
è l'Unione Italiana Sport Popolari), si legge: «I
Ciclisti Rossi sono coloro i quali, pure potendo e sapendo andare
in bicicletta di questo esercizio, o magari di questa specie di
passione, non fanno né un fine né una idealità.
Il fine dei Ciclisti Rossi è la propaganda: il loro mezzo
è lo sport della bicicletta, se così vuolsi chiamare,
contenuto entro limiti umani e dignitosi! I nostri ciclisti non
comprendono e non vogliono che leducazione fisica vada a
detrimento delleducazione intellettuale e morale propria
od altrui.
Epperò dello sport della bicicletta e magari, domani
di altri sport essi fanno puramente e semplicemente una
consuetudine igienica, un passatempo e un mezzo adeguato e proporzionato
per difendere e propagandare dappertutto le loro idealità
civili, morali, politiche. I Ciclisti Rossi organizzano ogni tanto
una gita in questa od in quella località del Comune, del
Collegio, della Provincia, o magari oltre i confini della stessa
Provincia, nella Regione, portando ivi opuscoli, giornali e la
eco delle prime discussioni di propaganda minuta.
Durante i periodi eccezionali di lotta (agitazioni, elezioni,
scioperi, convegni, congressi, ecc.), i Ciclisti Rossi daranno
modo così ai comitati dirigenti od organizzatori di poter
disporre di mezzi sicuri e celeri per comunicazioni e corrispondenza,
non solo, ma forniranno ad essi un personale già disposto
e preparato a viaggiare attraverso il Comune, il Collegio o la
Provincia con sufficiente allenamento e conoscenza dei luoghi,
delle persone, dei recapiti.
Nelle più importanti manifestazioni la squadra dei Ciclisti
Rossi completerà degnamente i nostri cortei, coadiuvando
efficacemente la loro organizzazione, e
conferendo ad essi senza preoccupazioni reclamistiche
ordine e imponenza maggiori. Questi sono gli scopi e gli intenti
che hanno fatto sorgere le organizzazioni dei Ciclisti Rossi le
quali anziché servire
agli interessi di ditte e
società affaristiche, con lesprimere dal loro seno
gli eroi del pedale dalla lingua penzoloni, intendono, con la
ginnastica e leducazione del loro corpo, servire una idea
che vale più di tutte le Coppe e di tutti i Gran Prix dei
grandi patriarchi e benefattori dello sport
del far quattrini.
Le biciclette rosse ove ce lo consentono i difensori zelanti
della educazione muscolare per la gloria e la potenza maggiore
delle borse capitalistiche sono e saranno le avanscoperte
della nostra propaganda e del nostro movimento: i tramiti veloci
per cui le nostre genti di ogni contrada e di ogni paese resteranno
sempre affiatate e collegate, sia in tempo di pace come in tempo
di guerra» (Senatori, 2014).
Crescita
dei Ciclisti rossi
Anche nel 1914, in occasione della «Settimana rossa»,
tra il 7 ed il 14 giugno, la bicicletta diede prova della sua
utilità, per la raccolta e diffusione di notizie, visto
l'isolamento dovuto al sabotaggio di cavi telefonici e telegrafici
e delle ferrovie. Nell'occasione, lo scrittore fascista forlivese
Antonio Beltramelli vide nell'uso
della bicicletta per organizzare l'occupazione operaia delle città
come un nuovo mezzo dassedio della città
da parte della campagna (Baroncini). Il
congresso della gioventù socialista, previsto a Reggio
Emilia per settembre 1914 fu rinviato per lo scoppio della guerra.
Sui giornali socialisti si trovavano le pubblicità dei
pneumatici «Carlo
Marx», propagandati come il «pneumatico
dei socialisti italiani»
e del «Ciclo Avanti! », il cui marchio risulta registrato
il 18 settembre 1913 dalla ditta Alcyon Officine, fratelli Ceserani
di Caravaggio (Bergamo), probabilmente gli stessi ad aver pubblicato,
nello stesso anno, il libro di Antonio Lorenzini. Una pubblicità
sull' "Avanti!" dell'estate 1913 affermava "nessuna
bicicletta può per eleganza, per resistenza, per scorrevolezza,
e per buon mercato, stare al confronto del "Ciclo Avanti".
Una bicicletta destinata a diffondersi rapidamente in ogni parte
d'Italia, specie tra i lavoratori" (Boschi).
Per rinforzare lo spirito di appartenenza e raccogliere simpatizzanti,
la FNCR organizzò una serie
di gite di propaganda in bicicletta: la prima si tenne l'8
aprile 1917, il giorno di Pasqua, con partenza alle 13:00 dal
Ponte Santo, sul Santerno, all'epoca chiamato Ponte Rosso dai
socialisti imolesi. Di questa gita esiste un filmato (vedi
fotogrammi 1, 2
e 3), che è stato pubblicata
nel 2010 in DVD da Bacchilega di Imola, con regia di Fausto Pullano
e musica di Roberto Bartoli. Contiene la versione restaurata e
con commento sonoro di due filmati del 1910 e del 1913, conservati
presso il CIDRA (Centro Imolese
di Documentazione sulla Resistenza Antifascista e storia contemporanea)
di Imola.
La seconda pedalata ebbe luogo tre domeniche dopo, il 29 aprile,
con partenza alle 13:00 dallo stesso ponte e arrivo dopo circa
20 km a San Patrizio, frazione del comune di Conselice, in provincia
di Ravenna, dove si tenne una riunione pubblica con votazione
finale di un ordine del giorno. Il 13 maggio i Ciclisti Rossi
imolesi, insieme a quelli di Lugo, si trovarono a Mordano, in
provincia di Bologna, per il 1° convegno bicollegiale, e il
20 maggio organizzarono una gita di propaganda a Sesto Imolese.
L'ultima pedalata di propaganda del 1917 fu domenica 19 agosto
a Osteriola, dove i Ciclisti Rossi imolesi si radunano anche il
21 luglio 1918 per un convegno collegiale.
L'ultimo superstite dei Ciclisti Rossi imolesi è stato
Ottavio Zanelli
(link), nato a Ravenna il 26 settembre 1904 e
morto il 6 aprile 2006 all'età di 101 anni, dopo una lunga
attività politica, dal congresso di Livorno del 1921 che
vide la fondazione del Partito Comunista
d'Italia, alla detenzione per l'opposizione al regime fascista,
alla Resistenza, fino all'attività politica nel dopoguerra
(Giannantoni
e Paolucci).
I Ciclisti
Rossi negli anni '20
Il ruolo dei ciclisti negli anni '20 fu importante nelle lotte
operaie del primo dopoguerra, per l'occupazione e contro il fascismo.
Durante gli scioperi i Ciclisti Rossi aiutavano a costituire rapidamente
dei picchetti contro i crumiri, infatti durante lo sciopero agrario
dellagosto 1920, il prefetto di Reggio Emilia proibì
luso della bicicletta in tutta la provincia. Nel 1921 una
squadra di Ciclisti rossi reggiani scortò da Reggio a Cavriago
le salme di due lavoratori assassinati dai fascisti il 1°
maggio (Fincardi,
2012b), e a Piombino
(Livorno) il 3 agosto 1921, un reparto di Arditi
del Popolo ciclisti aprì il corteo funebre che accompagnava
la salma dell'operaio Giuseppe Morelli, un Ardito del Popolo ucciso
dalle forze dell'ordine. Il quotidiano comunista L'Ordine
Nuovo del 24 luglio 1921 riporta i fatti di Cingia de' Botti
(Cremona) , dove il 17 luglio seicento Ciclisti Rossi sfilarono
per le vie cittadine, militarmente inquadrati, per raggiungere
la sede del fascio e farsi consegnare il gagliardetto (Francescangeli). Nel veneziano, a Cavarzere,
il numeroso gruppo di Arditi del Popolo, circa duecento, sparso
tra le varie frazioni del comune, si tiene in contatto grazie
a staffette ciclistiche. A Trieste gli Arditi rossi, nati prima
ancora degli Arditi del Popolo, erano organizzati in dodici squadre,
delle quali una femminile ed una di ciclisti. I Ciclisti Rossi
erano diffusi in Polesine, nel Cremonese e in Venezia Giulia (Francescangeli). A Roma gli Arditi ciclisti curavano
i collegamenti tra centro ed unità periferiche degli Arditi
del Popolo e furono particolarmente attivi nella difesa di San
Lorenzo ed altri quartieri popolari dalle aggressioni dei fascisti,
venuti per prendere parte al congresso di fondazione del partito
fascista, dal 7 all'11 novembre 1921, riuscendo anche a spostare
rapidamente gli uomini da un quartiere all'altro, a seconda delle
necessità create dagli attacchi dei fascisti (Gentili).
Il campione ciclista Ottavio Bottecchia,
vincitore di due Tour de France, in uno dei quali indossò
la maglia gialla dalla prima all'ultima tappa, svolse attività
antifascista e per questo fu assassinato nel 1927.
Cicliste
rosse (e non)
La bicicletta divenne anche uno strumento di emancipazione femminile,
grazie soprattutto ad alcune pioniere
che sfidarono il disprezzo e gli insulti dei benpensanti. La presidentessa
del convegno femminista di Parigi del 1896 propose un brindisi
alla bicicletta "egualitaria e livellatrice".
I movimenti cattolici trovavano invece sconveniente l'uso della
bicicletta, e quindi dei pantaloni, da parte delle donne (Boschi). «I moralisti furono scandalizzati
dall'effetto che questi veicoli anarchici avevano sulla morale
pubblica, soprattutto sulle donne, che pedalavano allegramente,
e a gettavano via il corsetto, indossando indumenti più
pratici, compresi i pantaloni. Nel frattempo gli scienziati ammonivano
gravemente che la pura velocità, e la posizione audacemente
a cavalcioni del sellino, avrebbero stimolato le donne più
di quanto erano capaci di resistere e le avrebbero ridotte all'infertilità,
all'isteria, o peggio, rendendole creature licenziose e sfrenate»
(Blom).
Il Comitato femminile
della Federazione Ginnastica di Roma, istituito nel 1888, organizzava
gare di velocipedismo e passeggiate in bicicletta. Le prime velocipediste
si videro a Milano nel 1891, e nel 1893 parteciparono a gite e
gare (nel 1894 a Genova si svolse la prima gara ciclistica femminile
in Italia) e parteciparono alla sfilata in occasione della riunione
ciclistica organizzata a Ferrara nel 1902 dal Touring Club Italiano.
Tra le cicliste agoniste più note si ricordano la fioraia
milanese Adelina Vigo, la futura cantante lirica e attrice Lina Cavalieri, vincitrice della
corsa a tappe Roma-Torino alla fine dell'Ottocento, che si sfidarono
tra loro nel 1893 a Milano, Alessandrina Maffi, campionessa italiana
dal 1893 al 1897, che spesso batteva ciclisti maschi, come accadde
nel premio Audax di velocità del 1898, vinto percorrendo
180 km in meno di 18 ore, Maria Forzani, vincitrice della Milano-Varese
nel 1896, la belga Hélène
Dutrieu (1877-1961) e la ferrarese Vittorina
Sambri (1891-1965), che passò presto al motociclismo
(Caracciolo,
Gori). La ciclista
più nota fu però la modenese Alfonsina
Morini Strada (1891-1959), premiata dallo zar Nicola II in
persona per la sua partecipazione al Gran Prix di Pietroburgo
del 1909. Morini partecipò al Giro di Lombardia nel 1917
e nel 1918, arrivando al traguardo, mentre metà dei partenti
si erano ritirati. Morini prese parte al Giro d'Italia del 1924,
con 90 concorrenti maschi, dove arrivò fuori tempo massimo
in una delle ultime tappe, L'Aquila-Perugia, anche a causa degli
autografi che spesso e volentieri si fermava a firmare lungo il
tragitto, ma poté partecipare fino alla fine, senza che
i suoi tempi fossero registrati. Alfonsina Morini partecipò
anche ad altre edizioni del Giro e vinse 36 corse, battendo avversari
maschi (Izagirre).
Nelle lotte delle braccianti del dopoguerra le biciclette ebbero
un ruolo fondamentale, tanto da essere di frequente sequestrate
o distrutte dalla Celere del ministro Mario Scelba. Migliaia di
biciclette seguirono nel 1949 il funerale della bracciante Maria
Margotti, di Filo d'Argenta, nel ferrarese, uccisa da un poliziotto
(Caracciolo).
Ciclisti
Rossi in Europa
Anche in altri paesi europei nacquero organizzazioni sportive
proletarie, nell'ultimo decennio del secolo si costituivano gruppi
di ciclisti socialisti in Austria e Svizzera. Nel 1893 a Lipsia,
in Germania nacque il Club Ciclistico Solidale dei Lavoratori,
poi proibito dalle leggi antisocialiste, accanto ad analoghe associazioni
di ginnasti, nuotatori, velisti e praticanti dell'atletica leggera.
Nel febbraio 1894 a Birmingham, in Inghilterra fu fondato il Socialists'
Cycling Club, che poi prese il nome di Clarion
Cycling Club, dal settimanale socialista The
Clarion, mentre nel 1895 nacque il British Workers' Cycling
Club (Wheeler).
Nel 1896 nacque, a Offenbach am Main, sempre in Germania, l'Associazione
dei Ciclisti Rossi (ARS:
Arbeiter-Radfahrerbund Solidarität Associazione ciclistica
dei lavoratori) oggi Rad- und Kraftfahrerbund
Solidarität, nel 1912 aveva 150mila aderenti e il giornale
Arbeiter-Radfahrer nel 1913 dichiarava 168mila copie. Nel 1929
l'associazione contava 320mila soci, ed era la più grande
organizzazione ciclistica mondiale, gestiva anche una fabbrica
cooperativa di biciclette, ed organizzava manifestazioni
sportive propagandistiche. All'epoca della prima guerra mondiale
le associazioni sportive proletarie contavano oltre 350mila membri.
Il 23 giugno 1921 a Mosca nacque l'Internazionale Rossa dello
Sport, con rappresentanti di Germania, Francia, Italia, Ungheria,
Cecoslovacchia, Svezia e Paesi Bassi, che rappresentava l'ala
rivoluzionaria del movimento sportivo, in contrapposizione con
la Socialist Workers' Sport
International (Lucerne Sport International), fondata nel 1920
a Lucerna, in Svizzera, di ispirazione riformista (Gounot).
I ciclisti
e la Resistenza
Durante la Resistenza, come anticipato, la bicicletta fu usata
come mezzo per collegare le bande partigiane, ma anche per compiere
azioni di guerra, per sfuggire alla polizia dopo i comizi volanti
improvvisati nelle città, e per consegnare armi, viveri
e materiale propagandistico. In questo si distinsero molte partigiane,
che rischiarono (e spesso persero) la vita per consegnare in bicicletta
messaggi, cibo e armi alle bande di ribelli annidati sulle montagne
(vedi le foto della riga qui sopra, clicca per ingrandirle).
Il partigiano Renato Romagnoli
("Italiano") nel suo libro
del 1974 «Gappista. Dodici mesi nella Settima
Gap "Gianni"»
(edito da Vangelista), citato da Giannantoni e Paolucci, racconta:
«Ben presto ogni bicicletta diventa un incubo
per i nazifascisti, in ogni ciclista si vede un ribelle pronto
a sparare sull'occupante, a colpire i suoi servi in camicia nera;
le cronache del tempo sono piene di proclami e di bandi sugli
usi consentiti e su quelli vietati del popolare mezzo di locomozione,
nessun fascista o tedesco, se non in gruppo, avrà mai il
coraggio di fermare un uomo in bicicletta (e quando i nemici fanno
gruppo sono visibili da notevole distanza per cui diventa facile
agire per evitarli). Bandi e proclami rimangono senza efficacia».
Di conseguenza, i fascisti in varie località vietarono
l'uso della bicicletta (vedi il bando di Carpi
e quello di Bologna). Lo stesso
libro di "Italiano" cita alcuni passi di un bando
apparso a Bologna il 26 aprile 1944: «A decorrere dal giorno 26 aprile
1944 è fatto divieto assoluto di circolare con le biciclette,
anche portate a mano, entro il perimetro della città di
Bologna delimitato dai viali (...) Coloro i quali abitano entro
il perimetro sopra descritto e, che per ragioni di lavoro, debbono
spostarsi con la bicicletta dal luogo di divieto alla periferia
e poi far ritorno al centro, dovranno essere muniti di una speciale
dichiarazione della ditta presso cui lavorano, vidimata dalla
questura di Bologna, ma per tutto il perimetro e le strade di
divieto dovranno portare la bicicletta a mano con le gomme delle
ruote sgonfie o con la catena staccata dalla moltiplica e dal
rocchetto».
Un bando simile, con minaccia di esecuzione sommaria in caso di
violazione, è citato da "Italiano" a proposito
di Ravenna. A Milano e Torino lo stesso divieto ebbe vita breve,
dato che la bicicletta era l'unico mezzo con il quale gli operai
potevano raggiungere le fabbriche, che erano fondamentali per
sostenere lo sforzo bellico nazifascista.
A Milano la bicicletta
fu fondamentale per l'attuazione di molte azioni di guerra partigiana,
e si distinse in particolare Giovanni
Pesce, con nomi di battaglia "Ivaldi" e "Visone",
che mise a segno diversi attentati contro i fascisti, grazie a
questo mezzo. Pesce spiegò «Era come l'aria che respiravo,
un mezzo indispensabile per muovermi in modo rapido in ogni frangente.
Senza la bicicletta non sarebbe stato pensabile compiere le azioni
che ho portato a termine». Il 24 aprile 1945 l'ordine di
insurrezione generale fu trasmesso da staffette in bicicletta
(Giannantoni
e Paolucci).
A Roma, nei nove mesi dell'occupazione nazifascista, la bicicletta
fu usata per compiere almeno due importanti attentati, il 18 dicembre
1943 da parte di Rosario Bentivegna
davanti al cinema Barberini, nell'omonima
piazza, per colpire i partecipanti ad una proiezione riservata
ai soldati nazisti, e il 26 dicembre 1943 davanti al corpo
di guardia del carcere di Regina Coeli, da parte di Mario
Fiorentini (Portelli). Gli attentati provocarono il
divieto di circolare in bicicletta per la città, che fu
però aggirato aggiungendo una terza ruota al mezzo, trasformandolo
in un triciclo.
Il grande campione ciclista fiorentino Gino
Bartali (1914-2000), sfruttando la sua popolarità
come campione sportivo, usò la sua bicicletta per nascondere
nei tubi del telaio, nel manubrio e nel sellino documenti falsi,
che recapitava a cittadini ebrei, nascosti in un convento di frati
Oblati a Lucca (a circa 90 km da Firenze) e ad Assisi (160 km,
dove si recò 40 volte), consentendo loro di risultare "ariani"
e salvandone così 4.000 dallo sterminio (Sbetti; Stevenson). Bartali camuffava le sue consegne
come allenamenti per tenersi in forma, nonostante la sospensione
dell'attività agonistica (il Giro d'Italia era sospeso
dal 1941), e quando veniva fermato per controlli, chiedeva di
non toccare la bici per non alterarne la perfetta messa a punto
(Stevenson). La polizia fascista spiava il
campione, ma non riusciva a rendersi conto del perché compisse
allenamenti così lunghi. Inoltre Bartali nascose in una
cantina della sua casa di Firenze la famiglia ebrea Goldenberg,
fino alla liberazione della città, nell'agosto del 1944
(Coen;
Stevenson). Per questo
Bartali, dopo la sua morte, fu insignito dall'Italia della medaglia
d'oro postuma al valor civile, e da Israele del titolo
di "Giusto
tra le Nazioni" e il suo nome è stato iscritto nel
giardino dello Yad Vashem. L'attività di Bartali era conosciuta
solo dai suoi familiari e da chi aveva collaborato con lui, e
fu resa nota solo dopo la sua morte, dato che Gino non riteneva
fosse il caso di prendersene il merito: al figlio Andrea spiegava
"Uno lo fa e basta" (Stevenson).
Il campione varesino Luigi Ganna, vincitore
del primo Giro d'Italia nel 1909, era invece diventato un fabbricante
di biciclette, e nel 1944 donò dieci delle sue biciclette
alla 121a Brigata Garibaldi "Walter
Marcobi" (Giannantoni
e Paolucci). Furono
partigiani anche Alfredo Martini
(1921-2014) corridore ciclista e poi per 22 anni commissario
tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, Luciano
Pezzi, ciclista e poi direttore tecnico di molti campioni,
tra i quali Felice Gimondi, e molti altri atleti professionisti.
Ciclisti
rossi oggi
In anni più recenti la bicicletta ha ripreso il suo ruolo
di staffetta operaia tra fabbriche in lotta contro i licenziamenti
o la chiusura. Nel 2009, in occasione del Giro d'Italia, operai
cassintegrati e precari veneti e toscani hanno compiuto un Giro
parallelo tra fabbriche presidiate dagli operai (Satta, 2009). Nel
2013 i socialisti romagnoli hanno dato vita ad una commemorazione
dei Ciclisti Rossi, in occasione del centenario della nascita
del movimento.
Il 25 aprile 2015, per celebrare il 70° anniversario della
Liberazione e il ruolo dei Gruppi di difesa della donna nella
Resistenza, l'UDI (Unione
Donne in Italia) di Modena, in collaborazione con FIAB
(Federazione Italiana Amici della Bicicletta), ha organizzato
un giro
in bicicletta nei luoghi della città più significativi
per la storia politica dell'epoca.
Le edizioni ZeroLire di Forlì pubblicano on-line
diverse opere sulla bicicletta e sulla sua vita sociale.
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Federazione
Giovanile Comunisti Italiani - Sezione "John Reed" Imola link
Formazioni di difesa proletaria, Wikipedia link
I ciclisti rossi link
Museum der
Arbeit - Das Fahrrad link
Archivio
dell'Osservatore Romano link
Partito Socialista
Italiano di Ravenna e della Romagna link
Storia e
Memoria di Bologna - Ottavio Zanelli link
UDI - Io vado ... come una staffetta link