La razza bovina Maremmana appartiene al ceppo podolico, un insieme di razze europee di bovini grigi, alcune delle quali oggi estinte, che si ritiene discendano da antenati comuni, vista la loro notevole somiglianza. La razza deve il suo nome alla zona di diffusione, la Maremma, regione costiera, una volta paludosa, estesa tra Toscana meridionale e Lazio settentrionale.
Storia
Molti ritengono la Maremmana e le altre razze podoliche dirette
discendenti dell'uro (Bos taurus primigenius,
Bojanus, 1827), l'antico bovino selvatico, oggi estinto, il
cui ultimo esemplare morì probabilmente in Polonia nel
1627.
L'uro è descritto da Giulio Cesare nel De
Bello Gallico, e Plinio (Historia Naturalis, VIII 30, 74),
racconta di un taurus silvestris, bovino selvatico e feroce
dal pelo fulvo e dagli occhi azzurri vivente in Etiopia. In effetti
sembra improbabile che quest'ultimo possa corrispondere all'uro,
essendo più probabilmente un animale di fantasia, la cui
descrizione risulterebbe da racconti indiretti, ingigantiti e
distorti.
L'opinione della discendenza diretta delle podoliche dall'uro
è un residuo delle teorie zootecniche del passato che proponevano
varie specie del genere Bos come progenitrici dei diversi
ceppi bovini (teoria polifiletica), soprattutto in base ai diametri
del cranio e alla lunghezza delle corna.
Il naturalista svizzero Ludwig Rütimeyer
nel 1862 classificò i resti dei bovini selvatici in due
specie: Bos primigenius e Bos brachyceros uguale
al Bos longifrons classificato da Owen, poi Nilsson classificò
una forma intermedia, Bos frontosus, quindi Wilkens propose
il Bos brachycephalus, e infine Arenander lanciò
il Bos akeratos. Lo zootecnico francese André Sanson
divise i bovini in 12 specie o razze naturali, con diversi aggettivi
geografici, sei delle quali erano dolicocefale (con cranio allungato)
e sei brachicefale (con cranio accorciato) (Malossini).
Secondo queste teorie le razze grigie delle steppe e le podoliche
sarebbero discendenti del Bos primigenius, mentre gli appassionati
di tauromachia, sostengono che la discendente diretta del Bos
primigenius sia la raza de lidia, quella da corrida.
La scienza tassonomica moderna chiarisce invece che l'uro apparteneva
alla stessa specie dei bovini domestici, e quindi i vari bovini
preistorici classificati con nomi specifici propri erano in realtà
forme diverse di Bos taurus, e tutte le attuali razze bovine
discendono dall'uro.
Già nel 1859 Charles Darwin
sosteneva la stessa tesi: Il dogma dell'origine delle
diverse nostre razze domestiche da diversi ceppi autoctoni, è
stato portato da alcuni autori a un estremo assurdo. Loro credono
che ogni razza che si alleva pura, sebbene i suoi caratteri distintivi
siano molto sfumati, abbia il suo prototipo selvatico. Con questo
ragionamento dovrebbero essere esistite almeno una ventina di
specie di bovini selvatici, e altrettante di ovini e molte di
caprini, solo in Europa, e diverse anche nella sola Gran Bretagna
(L'origine
delle specie, cap. I).
Quindi tutte le razze bovine attuali discendono dagli stessi antenati,
anche se alcune, meno sottoposte all'attività di miglioramento
genetico, hanno mantenuto una maggiore somiglianza con il progenitore
selvatico, come lo vediamo rappresentato in graffiti
e statuette preistoriche e nelle stampe
medievali. Va comunque sottolineato
che la razza Maremmana, pur essendo un animale molto rustico e
notoriamente poco mansueto, ha un passato secolare di animale
da lavoro, ed è quindi il risultato di una intensa e durissima
selezione come animale agricolo, che lo ha necessariamente allontanato
dal progenitore selvatico.
Altri particolari delle teorie sull'origine delle razze podoliche
si possono trovare in questo articolo.
Secondo la teoria tradizionale,
i bovini podolici sarebbero arrivati in Italia con le invasioni
barbariche dalle steppe dell'Europa orientale (la Podolia è
una regione dell'odierna Ucraina) nel V secolo, e incrociandosi
con il bestiame locale, avrebbero dato origine a diverse popolazioni.
In realtà non esiste alcuna documentazione su questa introduzione,
e le poche notizie lasciate dai cronisti dell'epoca portano piuttosto
ad escludere che le razze podoliche siano state portate in Italia
nel corso delle invasioni barbariche, anche perché molte
delle invasioni sono state compiute da eserciti a cavallo, che
si spostavano velocemente, senza le famiglie e le masserizie al
seguito, bovini compresi, ma che piuttosto razziavano gli animali
e le derrate che trovavano sulla loro strada. Ad esempio, la famosa
invasione degli Unni di Attila del 452, considerata da molti responsabile
dell'introduzione dei bovini podolici in Italia, durò solo
tre mesi, praticamente fu una scorreria, il che porta ad escludere
che le orde unne si fossero preoccupate di migliorare il patrimonio
zootecnico italiano.
Altri autori (Ciani
e Matassino), negano
l'origine balcanica delle razze grigie italiane, rilevando che
i bovini macroceri (cioè a corna lunghe), che convivevano
con il progenitore selvatico, sono documentati nel Mediterraneo
a partire dal Neolitico ed ipotizzano che sia invece il bestiame
balcanico ad essere derivato da quello italiano. Dalle rappresentazioni
pittoriche e plastiche egizie e minoiche, si evidenziano caratteristiche
simili ai bovini macroceri odierni, come i maremmani o alcune
razze iberiche, come la Cachena, spagnola e portoghese (vedi foto
di toro e vacche)
e la portoghese Barrosã (vedi foto di toro
e vacca), che mostrano un'incornatura
particolarmente simile alla Maremmana, pur avendo caratteristiche
per il resto molto diverse.
Anche in Italia esistono rappresentazioni di bovini macroceri, come la tazza in lamina di bronzo dell'XI sec. a.C. proveniente da Tolfa, in piena Maremma laziale, gli askos villanoviani, del museo di Tarquinia, nella Maremma laziale (VIII sec. a.C.), e di Bologna (725-680 a.C.), il gruppo bronzeo di un aratore con i buoi, della fine dell'VIII sec. a.C. e la scena di sacrificio su un vaso di bronzo della seconda metà dell'VIII sec. a.C., entrambe da Bisenzio (sul lago di Bolsena), gli affreschi etruschi della tomba dei tori del VI sec. a.C, di Caere (Cerveteri, sempre nella Maremma laziale), il toro dall'urna cineraria in argento decorata a sbalzo e il terminale di carro della tomba del Duce di Vetulonia (nella Maremma toscana), conservata al museo archeologico di Firenze, e le testine bovine che ornano la conca bronzea dalla tomba Bernardini di Palestrina (675 a.C.), esposta al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, nella sede di Villa Poniatowski.
Secondo alcuni autori
del passato, esisteva una razza Romana, molto simile alla Maremmana,
e così chiamata per il suo forte legame con la città
di Roma, dove era ampiamente usata come animale
da tiro, che veniva anche ferrato,
come principale fonte di carne,
introdotto in mandrie nella
città, e come protagonista della Giostra
delle vaccine, la corrispondente romana della corrida.
Nel 1908 il Meyers Großes Konversations-Lexikon,
vol. 16, a fianco della Ungherese-Transilvana e della Podolica-Bessaraba
cita una varietà italiana del ceppo podolico, la "romanische
Rasse" (razza romana) (Maróti-Agots).
Sempre nel 1908 Bartolini e Cazzella descrivono la razza
bovina brada dellAgro romano come suscettibile
di notevoli migliorie se (
) sottoposta a maggiori cure igieniche
e ad unalimentazione intensiva e la descrive come
di media e di alta taglia (da 1,60 a 1,80 al garrese), con
corna lunghe disposte generalmente a lira, mantello grigio, pelo
ruvido e pelle spessa. Vi si nota la correttezza delle forme:
tronco in genere orizzontale nella sua linea superiore; petto
quadrato, groppa poco sviluppata.
Per contro il bestiame romano non si macella che nei
mesi di estate di solito da giugno a ottobre. - La carne,
benché sapida, è poco apprezzata per la scarsa marezzatura,
provenendo quasi sempre da animali in mediocre stato di nutrizione
e in età piuttosto avanzata; e perché derivando
da animali fortemente strapazzati esposta allaria
diventa di colorito rosso-scuro, facilmente alterabile, per cui
non è suscettibile di una conveniente frollatura.
Bovini maremmani o romani sono comunemente ritratti da innumerevoli
pittori nei paesaggi della Campagna romana dal 1600 in poi (vedi
immagini qui sotto).
Una razza estera molto
simile alla Maremmana è la Grigia
Ungherese (Magyar szürke szarvasmarha), che secondo
alcuni sarebbe un'antenata del bestiame grigio, ipoteticamente
introdotto in Italia nel V secolo, ma che è anche una derivata
dalla Maremmana, quando nel XIX secolo i Lorena, granduchi di
Toscana, mandarono dei tori maremmani a insanguare il bestiame
dei loro possedimenti di famiglia nella puszta ungherese.
Altri invii di riproduttori maremmani per incroci sulla Grigia
ungherese si verificarono nel 1934 (2 vacche e 2 tori) e nel 1936
(9 tori e 7 manzette), dalle aziende statali di Tor Mancina, nel
comune di Monterotondo e Montemaggiore, in quello di Montelibretti,
entrambe in provincia di Roma, con altre esportazioni non meglio
quantificate, fino al 1944 (Hönsch, 1971). Nell'ottobre del 1971 furono esportati
in Ungheria un toro e tre torelli dalle aziende Alberese, Polverosa
e Musignano, nel grossetano (Hönsch, 1973).
La Maremma era caratterizzata da un ambiente ostile e da condizioni
di vita difficili anche per la popolazione umana, soprattutto
a causa della malaria che era presente nella zona fino all'inizio
del ventesimo secolo, così il bestiame che vi ebbe origine
era forte e resistente, adatto al pascolo brado. Con l'avvento
della meccanizzazione in agricoltura il numero dei capi si ridusse
drasticamente e da un'iniziale triplice attitudine (latte-carne-lavoro),
la razza passò a una duplice attitudine (carne-lavoro)
e oggi è una razza da carne.
Il tentativo di trasformare la Maremmana in una razza più
produttiva ma meno rustica, per mezzo di incroci di sostituzione,
per fortuna è stato abbandonato all'inizio del ventesimo
secolo, anche se all'epoca ridusse il numero dei capi in purezza.
Oggi la Maremmana è impiegata soprattutto in purezza, mentre
è in declino l'incrocio con tori di razze specializzate
da carne (di solito Charolaise, ma
anche Chianina, Limousine
e altre), per ottenere vitelloni con migliori caratteristiche
da carne, senza perdere la rusticità e la capacità
di allevamento delle vacche maremmane. Gli incroci Chianina x
Maremmana erano in passato noti come razza Cecinese (Mason).
Nel 1862 Cuppari descrive
la Maremmana come di bassa statura, con forme simili a quelle
del bufalo, "dal collo e capo in fuori", robusta
ma indocile. Nel 1872 Vallada distingue la razza "delle
Maremme" definita come "atta a sostenere i più
penosi lavori, d'una tempra delle più robuste che si possa
desiderare" ma cattiva produttrice di latte e di carne,
e la razza "Romana", la più antica d'Italia,
progenitrice delle razze di pianura italiane, molto somigliante
alla razza ungherese e incrociata con la razza Podolica dei Balcani,
dove sarebbe stata importata dai Romani, con grande resistenza
alle difficili condizioni ambientali nelle quali era allevata.
Nel 1903 Faelli menziona la razza Maremmana, presente in Toscana,
di origine podolica, con aspetto
semiselvaggio, ottima per il lavoro, poco stimata per la carne,
e la razza bovina del Lazio, detta anche razza dell'agro
romano, anch'essa di derivazione podolica d'aspetto robusto
e fiero, con grandi corna, treno anteriore molto sviluppato, più
del posteriore, groppa aguzza, pigmentazione apicale nera e mantello
grigio, fromentino nel vitello fino allo svezzamento. La razza
aveva attitudine al lavoro con scarsa propensione all'ingrassamento
e produzione lattea sufficiente solo per alimentare il vitello.
I tori, dopo aver servito qualche anno come riproduttori, erano
castrati ed adibiti all'ingrassamento. Per Faelli la razza era
suscettibile di miglioramento a condizione di essere curata dagli
allevatori.
Nel 1928 un intervento del prof. Renzo Giuliani ad un convegno
con gli allevatori a Grosseto pose le basi per la selezione della
razza, con la formazione delle prime associazioni di allevatori,
anche se la selezione morfologica era attuata da tempo dagli allevatori
più evoluti, che fornivano riproduttori ad allevatori di
altre regioni. Nel 1932 ad opera dell'Ispettorato regionale dell'Agricoltura
della Toscana e dell'Istituto di Zootecnia dell'Università
di Firenze, si avviò un programma di selezione morfologica
intervenendo sulle migliori mandrie anche con controlli ponderali,
su una schema proposto dal prof. Giuliani, ottenendo rapidamente
ottimi risultati. Dal 1936 iniziarono i "progeny test"
sulla prole dei tori e nelle province di Grosseto e Viterbo furono
creati nuclei di selezione.
Nel 1941 Albertario censiva 288.135 capi di Maremmana, circa centomila
in più della razza Frisona, definita allora come "Olandese".
I capi erano allevati per quasi la metà nel Lazio, e per
il resto in altre 14 regioni, soprattutto in Toscana, Marche e
Umbria.
Ancora nel 1941 il Manuale dell'Agronomo del Tassinari
elencava tra le caratteristiche funzionali della Maremmana: "spiccatissima
attitudine al lavoro, congiunta a rusticità ed a limitate
esigenze alimentari; subordinata l'attitudine alla produzione
della carne; buona capacità di allattamento dei vitelli.
Rend. al macello per gli adulti: 45-50%"
Allevamento
La Maremmana ha spiccate caratteristiche di rusticità,
con alta capacità di pascolare in ogni stagione su terreni
aridi, sfruttando risorse alimentari che altre razze non riuscirebbero
a trasformare, rendendo il loro mantenimento estremamente economico,
e dando ristalli in purezza o incrociati con razze specializzate
da carne. Inoltre la Maremmana è anche molto resistente
alla siccità, ai parassiti ed ai predatori, grazie alle
caratteristiche morfologiche e fisiologiche, ma anche a comportamenti
di difesa del gruppo e della prole molto simili a quelli dei ruminanti
selvatici.
L'allevamento della Maremmana è tradizionalmente brado
per tutto l'anno, richiedendo solo minime integrazioni di paglia
per soddisfare i propri fabbisogni. In inverno i bovini sfruttano
boschi e macchie per l'alimentazione e per riparo dal freddo.
In primavera, dopo i parti, si spostano sui pascoli, dove le vacche
hanno a disposizione maggiori risorse alimentari per l'allattamento.
In estate le mandrie sfruttano zone paludose, boschi, prati e,
quando disponibili, erbai irrigui, mentre in autunno tornano sui
pascoli già sfruttati in primavera, restandovi fino a novembre,
quando vanno a svernare nella macchia, dove le ampie corna aiutano
i bovini a farsi largo nell'intrico vegetale.
La rusticità della Maremmana comprende la sua ottima attitudine
materna, intesa come capacità di portare il vitello all'età
dello svezzamento (al quinto mese con il 98% di sopravvivenza
dei vitelli) e consistente in una grande facilità di parto
senza necessitare di assistenza, produzione di latte (10-12 l/d)
che garantisce ottimi accrescimenti medi giornalieri (anche 1
kg/d) e capacità di difendere sé stessa e il vitello
dagli attacchi dei predatori, soprattutto lupi e capi inselvatichiti.
I vitelli sono svezzati in autunno e nella primavera successiva,
all'età di circa un anno, sono marchiati a fuoco, durante
la "merca", occasione di feste tradizionali,
molto apprezzate anche dai turisti. Il periodo degli accoppiamenti
dura circa tre mesi, con gruppi di monta formati in primavera
e comprendenti un toro ogni 20-30 fattrici.
Morfologia
Le caratteristiche
principali della Maremmana sono le ampie corna, lunghe in media
60 cm, ma che possono raggiungere 145 cm. con distanza tra le
punte di un metro, a mezzaluna nei tori
e a lira nelle vacche. Il mantello
varia dal grigio chiaro al grigio scuro nella vacca, ed è
grigio scuro nel toro, con testa, collo, zampe anteriori e parte
anteriore del tronco più scuri.
Nel 1941 il Manuale dell'Agronomo del Tassinari elencava
come caratteri di pregio per i tori le macchie nere sotto-orbitarie
ed i peli neri su collo, spalle avambraccio e giogaia. Nei vitelli
alla nascita il mantello è fromentino
e muta a partire dal terzo mese d'età
Nei maremmani è indispensabile la pigmentazione apicale
nera, essenziale per sostenere l'allevamento all'aperto in zone
con forte irradiazione solare. Le parti interessate sono: zoccoli,
unghielli, punte delle corna, lingua, musello, mucose delle aperture
naturali, ciglia e mucosa delle palpebre, orecchie, ciuffo del
pisciolare, fondo dello scroto, fiocco della coda. Per soggetti
dotati dei requisiti morfofunzionali richiesti per l'iscrizione
ai registri genealogici sono tollerati il ciuffo rossiccio sul
sincipite, la coda grigia e la depigmentazione parziale delle
aperture naturali.
Lo sviluppo scheletrico è imponente e insieme allo sviluppo
del treno anteriore e alla correttezza degli appiombi, caratteristici
degli animali da lavoro danno a
questi bovini un aspetto possente. La storia secolare come animale
da lavoro è testimoniata dalla profondità della
cassa toracica, che con la successiva selezione per l'attitudine
carne ha dato luogo a maggiori diametri trasversali, con arcatura
più marcata delle coste.
Le articolazioni sono asciutte, la pelle è fina, elastica,
lassa e untosa, con buona funzionalità dei muscoli pellicciai,
adatta a respingere i parassiti, e l'addome è capace, sebbene
non troppo voluminoso, o cadente, consentendo un'adeguata capacità
ingestiva, per contenere i notevoli volumi di alimenti vegetali
grezzi, con basso valore nutritivo, che i bovini maremmani sono
in grado di valorizzare. La giogaia è ridotta rispetto
al passato, ma ancora rilevante, come residuo di quando era una
superficie aggiuntiva di dispersione del calore, indispensabile
per animali da lavoro in ambienti a clima molto caldo.
Le vacche maremmane raggiungono i 15-16 anni di età, anche
se lo sviluppo è piuttosto tardivo: a 18 mesi pesano solo
350-440 Kg, mentre da adulte arrivano a 600-700 Kg, contro 700-1200
Kg dei tori. Alla macellazione il vitellone maremmano (18 mesi)
dà carcasse con peso medio di 280,9 kg, con una resa al
macello del 52,88% e una resa netta del 58,65%. L'altezza al garrese
varia nei tori da 155 a 180 cm, e nelle vacche da 143 a 150 cm,
a seconda degli ecotipi.
Per confronto, nella tabella seguente si riportano i dati sulla
Maremmana, pubblicati nel 1941 sul Manuale dell'agronomo di Giuseppe
Tassinari:
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Tori |
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Torelli |
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Vacche |
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Giovenchi |
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Selezione
Il Libro Genealogico della Maremmana è tenuto dall'ANABIC (Associazione Nazionale
Allevatori Razze Italiane Bovine da Carne) che nel 1961 ha assorbito
l'Associazione degli Allevatori della razza Maremmana. I migliori
torelli sono provati in performance test in un Centro di Selezione
Torelli, ad Alberese (Grosseto), da cui a 15 mesi, se selezionati,
escono come riproduttori. La selezione dei riproduttori si basa
sulla produttività, la genealogia e la morfologia, quest'ultima
consistente in un giudizio sulla bellezza funzionale dell'animale,
centrata quindi soprattutto sullo sviluppo muscolare, piuttosto
che su criteri puramente estetici, come in passato. Dal 1986 l'ANABIC
ha introdotto una nuova scheda di valutazione morfologica basata
su questi nuovi principi.
Gli obiettivi della selezione sono la produzione di soggetti rustici
capaci di produrre carni di buona qualità, crescendo allo
stato brado e sfruttando risorse vegetali di bassa qualità.
Alle vacche si richiede longevità e buona attitudine materna.
Lo schema di selezione è
attuato presso il Centro di Selezione Torelli, e permette di avere
il massimo progresso in funzione delle diverse organizzazioni
aziendali. Gli allevamenti condotti col sistema pascolativo sono
divisi in due fasce: "A" che impiegano solo un toro
per ogni gruppo di monta, e da cui provengono i giovani tori (4)
e "B" (7): che impiegano più tori per gruppo
di monta (8) e possono produrre le femmine da rimonta ma non i
tori. I giovani tori sono valutati e scelti, in appositi centri
(1), in base alle caratteristiche produttive proprie e delle rispettive
madri, selezionate in base alla capacità materna e all'efficienza
riproduttiva (5). L'ANABIC pubblica sul suo sito
le immagini del toro e della
vacca ideali, in funzione dello
standard di razza.
Oggi
La consistenza del Libro genealogico è di oltre 11.000
capi, quasi la metà è in provincia di Roma, e il
76% vive nel Lazio, mentre il 22% è allevato in Toscana
(quasi tutti in provincia di Grosseto).
Molti capi di Maremmana sono presenti in allevamenti "istituzionali",
oltre alla Tenuta di Alberese
(Grosseto), azienda agricola biologica dellEnte Pubblico
Terre Regionali Toscane, sede del citato Centro di Selezione Torelli,
si contano la Tenuta
Presidenziale di Castelporziano, l'Azienda
agricola del Comune di Roma a Castel di Guido, e il Centro
di ricerca per la produzione delle carni ed il miglioramento
genetico (PCM) del CREA
a Tor Mancina, nel Comune di Monterotondo (Roma).
C'è un crescente interesse per la Maremmana da parte di
allevatori italiani (in particolare del Sud) ed esteri (Spagna
e America Centrale) interessati alla sua notevole rusticità
ed economicità di allevamento.
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